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Venerdì 4 luglio 2014

Ore 18.10

Wolf si svegliò scoprendo di essere tornato a Londra. Lui e Finlay avevano attraversato tutto il Paese, andata e ritorno, per consegnare Andrew Ford alla squadra Protezione Testimoni. Nessuno dei due conosceva la destinazione finale di Ford, anche se avevano dei ragionevoli sospetti che si trattasse di una località remota nel Sud del Galles, dato che l’appuntamento con i colleghi era avvenuto nel parcheggio del bacino idrico di Pontsticill, da qualche parte nelle Brecon Beacons.

Durante il viaggio di quattro ore, Ford li aveva sfiniti, soprattutto dopo che la notizia della morte prematura di Garland era stata trasmessa da tutti i notiziari radio. Quando si erano fermati a far benzina, Wolf aveva provato a chiamare Baxter ma aveva trovato la segreteria. Finlay si era rassegnato ad acquistare una bottiglia di vodka da far tracannare al loro passeggero per il resto del viaggio, sperando che lo facesse stare zitto per un po’.

«Eccotela, Andrew» aveva detto ritornando all’auto. Ford lo aveva ignorato e Finlay aveva fatto un profondo sospiro. «Come vuoi. Eccotela, santo Andrew, assistente degli infanticidi.»

Ford aveva raccontato anche a Finlay la storia di quando aveva salvato il Cremation Killer da un lupo feroce ancorché valoroso, e da allora si era rifiutato di rispondere a meno che non lo chiamassero col titolo completo di santo. Aveva scombussolato pesantemente i loro piani rifiutandosi di lasciare lo squallido appartamento a Peckham quella mattina, il che voleva dire che erano arrivati in ritardo alla consegna, e adesso si ritrovavano a tornare verso Londra in piena ora di punta.

Per lo meno, il bacino idrico si era rivelato una bella sorpresa. Quando erano usciti dall’auto, avevano udito il ruggito delle correnti d’acqua. Lo scenario sarebbe stato già più che spettacolare di per sé, con il sole che brillava su una distesa d’acqua blu cinta da chilometri di foresta. Poi avevano visto una sottile passerella di metallo che partiva dalla costa e finiva in quella che sembrava essere la parte superiore di una torre affondata. Le pareti di pietra erano interrotte da finestre ad arco, e un segnavento di ferro battuto spuntava dal tetto a cono in rame, come per ritrarsi dalla marea crescente che aveva già reclamato a sé il resto di quel castello, ormai solo immaginario.

Al di sotto della precaria passerella, un enorme vuoto si apriva nell’acqua, risucchiando le correnti nell’oscurità sottostante, come se un enorme tappo fosse stato tolto dal fondo della terra. Il vortice sembrava voler trascinare con sé nell’abisso anche l’ultima parte emersa della torre. Erano rimasti per qualche tempo a osservare la scena prima di cominciare il viaggio di ritorno.

Wolf sbadigliò sonoramente e si raddrizzò per vedere dov’erano.

«Hai fatto tardi stanotte?» chiese Finlay, sforzandosi di non infrangere il voto di non dire parolacce quando un’Audi, con arroganza, lo superò a pochi metri da un semaforo rosso.

«Se devo essere sincero, non riesco a dormire bene.»

Finlay si voltò a guardare l’amico.

«Ma che ci fai ancora qui, ragazzo?» gli chiese. «Vattene. Prendi un aereo e vattene.»

«E dove? La mia cavolo di faccia ormai è stampata su tutti i giornali del pianeta.»

«E che ne so... Nella foresta pluviale dell’Amazzonia? Nell’entroterra australiano? Vai e aspetta che passi tutto.»

«Non posso vivere così, guardandomi le spalle il resto della mia vita.»

«Ma così almeno te l’allunghi, la vita.»

«Se lo arrestiamo, è tutto finito.»

«E se non ci riusciamo?»

Wolf fece spallucce. Non aveva una risposta da dargli. Il semaforo passò al verde e Finlay ripartì.

Quando tornò in redazione, Andrea fu accolta da una standing ovation. Gente le dava pacche sulle spalle, farfugliava congratulazioni. Lei cercò di insinuarsi tra la folla per raggiungere la propria scrivania. Sapeva di avere ancora addosso il sangue finto dell’uomo morto, nonostante avesse cercato di lavarsi i vestiti nella toilette dell’ospedale.

Moriva di preoccupazione per Rory, che era dovuto rimanere in ospedale a subire periodiche irrigazioni di una soluzione per contrastare l’effetto dell’acido, che otto ore dopo l’incidente continuava a corrodergli la carne. Lo specialista le aveva detto che molto probabilmente Rory avrebbe perso il pollice della mano destra e, se altri nervi fossero stati lesionati, anche l’uso dell’indice.

Quando l’applauso spontaneo scemò in maniera disordinata e imbarazzata, Andrea si mise a sedere. La ripresa di Garland che bruciava vivo scorreva al rallenty sugli schermi appesi al soffitto, mentre l’emittente la trasmetteva per la centesima volta quel giorno. La telecamera di Rory, anche se abbandonata a terra, aveva ripreso ogni cosa e, anzi, la crepa della lente conferiva qualcosa di artistico all’inquadratura. Andrea distolse lo sguardo, orripilata, e trovò il messaggio che Elijah aveva scritto per lei.

Le mie scuse, ho dovuto andarmene. Le riprese dell’omicidio? GENIO! Ci vediamo lunedì mattina per discutere del tuo futuro. Te lo sei meritato. Elijah.

Quel vago messaggio poteva voler dire solo una cosa: che voleva offrirle l’incarico di conduttrice, il lavoro che aveva sempre sognato. Eppure, invece di provare gioia, si sentiva vuota. Distratta, prese la busta marrone che riposava in cima alla corrispondenza inevasa e la aprì. Qualcosa cadde fuori, sulla scrivania. Andrea esaminò la piccola spira metallica e poi tolse dalla busta anche una foto in cui si vedevano lei e Rory che uscivano dall’ME London.

Prese il telefono e scrisse un messaggio a Baxter. Anche se quel secondo contatto da parte del killer era una notizia esplosiva, che confermava ulteriormente che quella storia le apparteneva, rimise dentro la busta i contenuti e la chiuse nella cassettiera.

Non aveva più intenzione di stare a quel gioco.

Il pericolante accrocchio di candele posto al centro del tavolo Ikea era in parti uguali un gesto romantico e un pericolo d’incendio imminente. Toccava a Tia chiudere il negozio, quindi Edmunds era riuscito ad arrivare a casa prima di lei e si era messo immediatamente a preparare la cena. Quando lei era rientrata e l’aveva trovato così duramente al lavoro, si era commossa e aveva rimesso in freezer il pasto per una persona che aveva preparato. Trascorsero la serata insieme, con vino bianco e una torta presa da Waitrose, proprio come facevano sempre quando Edmunds non era ancora alla Omicidi.

Prima di uscire dall’ufficio, Edmunds aveva stampato una serie di fascicoli di vecchi casi, che intendeva esaminare dopo che Tia fosse andata a letto. Li aveva impilati sopra la credenza in cucina, dove il metro e cinquanta di Tia non sarebbe mai arrivato, ma a mano a mano che le ore passavano si era completamente dimenticato della loro esistenza. Poi però avevano iniziato a parlare del suo lavoro.

«Tu eri presente?» chiese Tia, accarezzandosi inconsciamente la pancia sporgente. «C’eri quando quel poveraccio...»

«No.»

«Ma c’era la tua capa? Ho sentito che la tizia indiana faceva il suo nome.»

«Baxter? Non è proprio la mia capa, è... Be’, in effetti è come se lo fosse.»

«Allora a cosa stavi lavorando mentre succedeva quella roba?»

Tia stava palesemente cercando di interessarsi al suo lavoro. Anche se era tutto confidenziale, lui non se la sentì di chiudersi dietro il segreto d’ufficio. Decise di condividere con lei i dettagli meno importanti dell’indagine, con anche lo scopo di tranquillizzarla circa gli incarichi assolutamente inoffensivi che svolgeva nella squadra.

«Hai visto le foto della Ragdoll sui giornali? Be’, il braccio destro apparteneva a una donna.»

«A chi?»

«È quello che sto cercando di scoprire. Aveva sulle unghie due tipi di smalto diversi, e riteniamo che sia un indizio utile a scoprirne l’identità.»

«Due smalti sulla stessa mano?»

«Il pollice e tre dita avevano uno smalto color Crush Candy, ma l’ultimo ha un colore lievemente differente.»

«E pensi davvero che dello smalto per unghie possa farti capire chi è quella donna?»

«È l’unico indizio che abbiamo» disse Edmunds.

«Dev’essere uno smalto davvero speciale, no?» disse Tia. «Se dev’essere d’aiuto, intendo.»

«Speciale?»

«Sì, cioè, per esempio, c’è questa vecchia tutta in tiro che viene al salone una volta alla settimana a farsi le unghie, e Sheri deve ordinare uno smalto speciale per lei perché ha dentro delle scaglie d’oro vero, una cosa così.»

Edmunds ascoltò Tia con maggior attenzione.

«Nei negozi non lo vendono perché è facile rubarlo e costa tipo cento sterline a bottiglietta.»

Edmunds prese Tia per mano, eccitato.

«T, sei un genio!»

Dopo meno di mezz’ora a cercare su Internet informazioni su smalti speciali, in edizione limitata e costosissimi, Edmunds ritenne di aver scovato il colore che mancava: Chanel Limited Edition Feu De Russie 347.

«Questa roba la vendevano alla settimana della moda a Mosca, nel 2007, per diecimila dollari al flacone!» lesse Tia, mentre Edmunds riempiva i bicchieri.

«Per dello smalto per unghie?»

«Probabilmente era una cosa per beneficenza» suggerì lei. «In ogni caso, non credo che ci sia molta gente che gira per strada con una boccetta di quello smalto nella borsa.»

Il mattino seguente, Baxter ricevette da Edmunds un messaggio che le chiedeva di incontrarsi alla Boutique Chanel di Sloane Street alle dieci. Quando lei gli ricordò che la volevano estromettere dalle indagini lunedì, lui con semplicità le rispose che tanto era solo sabato.

Era in ritardo, non aveva sentito la sveglia, e per di più era rimasta intrappolata dietro una persona sulla sedia a rotelle per quasi due minuti. Dopo l’orribile morte di Garland, non avrebbe voluto far altro che vegetare e stare al sicuro, così si era rannicchiata sul divano a guardare i programmi televisivi del venerdì sera. Era anche riuscita a finire quasi due bottiglie di vino da sola.

Quando la sedia a rotelle rimase bloccata da un tombino, ne approfittò per superarla e trovò Edmunds ad aspettarla poco più avanti. Aveva riflettuto molto sulla sua ipotesi che qualcuno della squadra fosse una talpa. Più ci pensava e più le sembrava una cosa assurda. Wolf ovviamente non era coinvolto, e lei dava per scontato di potersi fidare di Finlay. Simmons stava rischiando sanzioni disciplinari pur di difenderla e, anche se non gliel’avrebbe mai confessato, si fidava di Edmunds quanto di tutti gli altri.

Lui le porse un caffè tiepido da asporto e le spiegò la scoperta di Tia. Baxter apprezzò il fatto che fosse tornato a rivolgersi a lei come a un suo superiore dal brutto carattere. Non c’era più alcuna traccia di pietà nel tono rassicurante di cui il giorno precedente lei aveva avuto un disperato bisogno. La fiducia di Edmunds in lei le restituì un po’ di sicurezza in se stessa.

La direttrice del negozio li aveva raggiunti da Oxford Street. La donna, estremamente efficiente, trascorse più di un’ora a fare telefonate e a controllare ricevute e scontrini al posto loro. Riuscì alla fine a presentare un elenco di diciotto transazioni, sette delle quali con nomi e indirizzi di consegna.

«Ce n’erano altri esemplari» disse la donna, con un parlare forbito, «che sono stati spediti per aste, premi ed eventi di beneficenza. Le persone di cui conserviamo i contatti naturalmente sono i nostri migliori clienti e...»

La donna lasciò cadere la frase mentre rileggeva la stampata.

«Problemi?» chiese Baxter.

«Il signor Markusson. È uno dei nostri clienti regolari di Oxford Street.»

Baxter le sfilò il foglio dalle mani e lesse l’indirizzo.

«Qui dice che vive a Stoccolma» disse.

«Risiede tra Stoccolma e Londra. Lui e la sua famiglia possiedono degli immobili a Mayfair. Sono sicurissima di avere un indirizzo di consegna. Se mi scusate un istante...»

La donna compose nuovamente il numero della sede centrale.

«Che possibilità ci sono che il signor Markusson sia nudo in qualche sauna in Svezia adesso?» mormorò Baxter a Edmunds.

«Oh, non è così, cara» disse la donna, tenendo il telefono lontano da sé con fare teatrale. «È venuto in negozio ieri.»

Simmons aveva deciso di tornare alla scrivania di Chambers. Molti si erano rivolti a lui per questioni banali, cambi di turno e richieste di ferie, ma lui si era rifiutato di gestire quelle faccende, accettando solo quelle più urgenti. Voleva concentrarsi su ciò che stava facendo.

Sua moglie non aveva preso bene la notizia di una sua possibile retrocessione, così lui aveva dovuto trascorrere quasi tutta la notte a rassicurarla che sarebbero ancora stati in grado di pagare il mutuo e di andare in vacanza d’estate. Se la sarebbero cavata. Come sempre.

Ora era nel bel mezzo del noiosissimo compito di confrontare l’elenco che Edmunds aveva compilato delle persone coinvolte nel processo a Khalid con il database delle persone scomparse, un nominativo alla volta. Non era affatto convinto, come lo era Edmunds, che gli omicidi avessero come fulcro Khalid. Tuttavia, non c’era una pista più promettente su cui lavorare.

La sua concentrazione iniziava a vacillare quando, al cinquantasettesimo nome, finalmente ottenne una corrispondenza. Fece doppio clic sul rapporto per esaminare i dettagli del fascicolo. Era datato sabato 29 giugno, il giorno prima del rinvenimento della Ragdoll, ed era stato registrato dalla Metropolitan Police. Doveva essere una delle loro vittime senza nome.

«Figlio di puttana» mormorò.

Baxter e Edmunds salirono i ripidi scalini fino alla porta d’ingresso della residenza a quattro piani situata in una zona verde ma trafficata del quartiere di Mayfair. Dovettero bussare due volte prima di udire il rintocco di passi in avvicinamento nel corridoio. Un uomo imponente aprì la porta, con il caffè in mano e un telefono infilato tra la spalla e l’orecchio. Aveva capelli biondissimi, portati lunghi ma ordinati, era chiaramente molto muscoloso e indossava una camicia costosa e dei jeans. Un forte profumo di dopobarba li avvolse mentre lui li squadrava impaziente.

«Sì?»

«Signor Stefan Markusson?»

«Sono io.»

«Polizia. Dobbiamo farle qualche domanda.»

Contrariamente alla prima impressione, Markusson si rivelò amichevole e accogliente. Li condusse attraverso la sua incredibile magione, che poteva essere descritta soltanto come un incrocio tra fantascienza e architettura georgiana. Entrarono nel salotto, dove un’immensa vetrata era stata ripiegata ad ante per aprirsi sul terrazzo del giardino interno. Baxter era certa che Rory avrebbe adorato quel posto, e decise che se solo il loro ospite li avesse lasciati da soli per qualche istante avrebbe scattato delle foto da portargli.

Markusson chiese all’adorabile figlia di tornare su quando lei scese per vedere chi era arrivato, e quando poi la sua bellissima moglie, dotata di entrambe le braccia, si allontanò per preparare del tè freddo, Edmunds si chiese se non fosse una perdita di tempo. Tuttavia, l’esperienza aveva insegnato a Baxter che raramente gli uomini comprano regali così costosi per le mogli e che in assenza di quella di Markusson sarebbe stato più facile ottenere da lui risposte sincere.

«Allora, come posso aiutarvi?» chiese Markusson, con un accento ora più marcato.

«Riteniamo che lei fosse a Mosca nell’aprile del 2007» disse Baxter.

«Aprile del 2007?» Markusson fissò lo sguardo nel vuoto. «Ah, sì, la settimana della moda. Mia moglie mi trascina a tutte quelle cose.»

«Dobbiamo farle qualche domanda su una cosa che ha acquistato in quell’occasione...» Baxter fece una pausa, aspettandosi che l’uomo si ricordasse un acquisto da diecimila dollari. Ma venne fuori che non se lo ricordava affatto. Un flacone di smalto per unghie di Chanel?

In quel momento la signora Markusson rientrò con le bevande, e Baxter notò l’espressione di disagio sul volto del marito.

«Perché non vai a tenere compagnia a Livia, cara?» disse l’uomo a sua moglie, allungando una mano per accarezzarla affettuosamente. «Usciamo presto.»

Baxter alzò gli occhi al cielo mentre la meravigliosa bionda sculettava obbediente fuori dalla stanza, e Edmunds notò un deciso cambiamento del suo umore.

«Allora, lo smalto da dieci bigliettoni?» chiese non appena si fu chiusa la porta.

«Era per una donna che ho conosciuto quand’ero qui a Londra. Viaggiavo spesso avanti e indietro in quel periodo, e ci si sente molto soli quando...»

«Non me ne frega proprio niente» lo interruppe Baxter. «Come si chiama questa donna?»

«Michelle.»

«Cognome?»

«Gailey, credo. Quando ero in città uscivamo a cena. Adorava tutta quella roba di moda, così le ho portato un regalo.»

«E di preciso come vi siete conosciuti?» chiese Baxter.

Markusson si schiarì la voce. «Su un sito di appuntamenti.»

«RicchiStronzi.com?»

Markusson non reagì all’insulto, probabilmente pensava di meritarselo.

«Michelle non era di famiglia ricca. Ecco perché le facevo quei regali» spiegò. «Per evitare complicazioni, mi sembrava saggio frequentare qualcuno di una diversa classe sociale.»

«E ci credo.»

«Quand’è stata l’ultima volta che l’ha vista?» chiese Edmunds, continuando a prendere appunti sul taccuino come suo solito. Distrattamente, bevve un sorso di tè e iniziò a tossire. Baxter lo ignorò.

«Ho troncato tutto quando è nata mia figlia, nel 2010.»

«Gentile da parte sua.»

«Da allora non l’ho più vista. È strano...»

«Cosa è strano?» incalzò Baxter.

«È una settimana che penso spesso a lei, probabilmente per via di tutte le cose che si sentono al telegiornale in questi giorni.»

Baxter e Edmunds si scambiarono un’occhiata.

«Quali cose?» chiesero in coro.

«La morte del Cremation Killer. Naguib Khalid, si chiamava così, no? È solo che io e Michelle abbiamo parlato a lungo di lui l’ultima volta che ci siamo incontrati. Era una grossa opportunità per lei.»

«In che senso?» dissero entrambi, di nuovo in coro.

«Era stata assegnata a lui» spiegò Markusson, pensieroso. «Era in libertà vigilata, e Michelle era la sua addetta alla sorveglianza.»