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Lunedì 30 giugno 2014
Ore 18.15
Edmunds sollevò le due bottigliette davanti alla luce. Una annunciava di essere SHATTERED PINK, l’altra SHERWOOD. Dopo tre minuti di accurato esame, i due smalti per unghie gli sembravano ancora del tutto identici.
Era nel labirintico reparto cosmetici che dominava il pianterreno di Selfridges. Gli stand, posizionati a casaccio, sembravano un arcipelago nell’oceano, una prima barriera di difesa contro l’ondata di piena dei clienti che provenivano in massa da Oxford Street e si distribuivano nel negozio. Aveva incrociato parecchi volti con la medesima espressione smarrita, persone che avevano perso di vista i loro accompagnatori e ora vagavano senza meta tra gli espositori di eyeliner, rossetti e creme illuminanti per il viso che non avevano la benché minima intenzione di acquistare.
«Posso aiutarla?» gli disse una bionda dal trucco perfetto, vestita interamente di nero, con un abbondante strato di fondotinta che tuttavia non riusciva a mascherare il disprezzo che provava nei confronti di Edmunds, con i suoi capelli tutti per aria e le unghie laccate di viola.
«Prendo questi due» disse lui tutto felice, lasciandole una strisciata di glitter sull’avambraccio mentre le porgeva i flaconi.
La donna sorrise servile e trotterellò verso l’altro estremo del suo minuscolo impero per estorcere a Edmunds una somma spropositata.
«Io amo lo Sherwood» gli disse, «ma lo Shattered Pink l’adoro proprio.»
Edmunds abbassò lo sguardo verso i due oggetti indistinguibili che giacevano pateticamente in fondo all’enorme sacchetto di carta che lei gli aveva porto. Si assicurò di infilare subito lo scontrino nel portafogli, sperando di poterlo mettere in nota spese. Se così non fosse stato, si era appena bruciato metà del budget per la spesa settimanale per comprare dello smalto per unghie glitterato.
«C’è altro che le serve?» gli chiese la donna, ritornando al contegno gelido di poco prima ora che la transazione era stata completata.
«Sì, mi servirebbe capire come si fa a uscire da qui.»
Edmunds aveva perso di vista l’uscita quasi mezz’ora prima, ormai.
«Vada verso le scale mobili, l’uscita è proprio lì davanti.»
Edmunds serpeggiò fra la folla fino alle scale mobili, ma a quel punto si trovò davanti la sfida quasi impossibile del reparto profumi. Fece un cenno di saluto a un uomo che aveva incrociato per tre volte di fila nel reparto cosmetici e ricominciò la frenetica quanto futile ricerca di una via di fuga dal negozio.
Quell’inattesa e lunga deviazione sulla strada di casa era dovuta a uno sviluppo delle indagini accaduto quella mattina. Una volta che le squadre avevano completato il lavoro sulla scena del crimine, la Ragdoll era stata portata nel dipartimento di medicina legale, la domenica mattina all’alba. Era stato un procedimento estenuante, nello sforzo di preservare l’esatta postura e la distribuzione del peso di ciascuna delle parti corporee durante il trasporto. Una serie incessante di analisi, esami e raccolta di campioni aveva avuto luogo per tutta la notte, ma finalmente, alle undici del lunedì mattina, Baxter e Edmunds avevano ricevuto il permesso di accedere al corpo.
Privo dell’alone surreale e notturno della scena del crimine, il cadavere si era rivelato ancor più ripugnante sotto le impietose luci fluorescenti del laboratorio: brandelli di carne e ossa tagliati senza cura, che si decomponevano lentamente nel freddo della sala autoptica. I punti di filo spesso che li tenevano insieme, che sembravano quasi di un’altra dimensione nell’atmosfera sospesa dell’appartamento in penombra, lì invece erano esposti per quel che erano: violente mutilazioni.
«Come procedono le indagini?» aveva domandato Joe. Era il medico legale, e a Edmunds sembrava sempre una specie di monaco buddhista, con il cranio calvo e il camice in un pezzo unico, dal collo ai piedi.
«Benissimo, abbiamo quasi finito» rispose Baxter, sarcastica.
«Così bene, eh?» sogghignò l’uomo. Era abituato alle maniere ruvide di Baxter, e anzi, sembravano divertirlo. «Forse questo vi aiuterà.»
Le porse un grosso anello, dentro una busta di plastica trasparente per le prove.
«La mia risposta è assolutamente no, non lo voglio» disse lei.
Joe rise. «Proviene dalla mano sinistra, quella maschile. C’è un’impronta parziale e non appartiene alla vittima stessa.»
«E a chi allora?»
«Non ne ho idea. Potrebbe essere un indizio importante, ma potrebbe anche non esserlo.»
L’eccitazione di Baxter evaporò all’istante.
«C’è altro che puoi dirci, qualcosa da cui partire?»
«Lui...»
Baxter inarcò le sopracciglia.
«...o lei...»
Le sopracciglia ricaddero.
«...di sicuro aveva delle dita.»
Edmunds si lasciò sfuggire una risata involontaria, che cercò di far passare per un colpo di tosse, ma inutilmente, perché Baxter lo fulminò con lo sguardo.
«Aspettate, c’è dell’altro» disse Joe.
Indicò la gamba dell’uomo di colore, che recava una grossa cicatrice da intervento chirurgico. Poi sollevò una lastra davanti alla luce. Si vedevano due lunghe sbarre che spiccavano bianchissime rispetto allo scheletro sbiadito sottostante.
«Perni e placche per la tibia, la fibula e il femore» spiegò Joe. «Un grosso intervento. ’Operiamo? Amputiamo?’ Grosso così, intendo. Di sicuro qualcuno si ricorderà di un’operazione così.»
«Ma queste robe non hanno dei numeri di serie o qualcosa del genere?» chiese Baxter.
«Darò sicuramente un’occhiata. Ma se saranno tracciabili o meno dipende da quanto tempo fa è stato fatto l’intervento, e a me questa sembra proprio una cicatrice vecchia.»
Mentre Baxter studiava le radiografie, Edmunds si chinò a esaminare il braccio femminile destro, che puntava in modo decisamente inquietante verso il loro riflesso nel vetro della finestra. Ognuna delle cinque unghie era smaltata di un color viola scuro glitterato.
«L’indice è diverso» sbottò a un tratto.
«Ah, l’hai notato anche tu» si compiacque Joe. «Ci stavo giusto arrivando. Era impossibile accorgersene nell’oscurità dell’appartamento, ma qui si vede chiaramente che su quel dito è stato usato uno smalto diverso.»
«E questo in che modo ci aiuterebbe?»
Joe prese una lampada a ultravioletti dal carrello, la accese e illuminò tutto il braccio affusolato. Macchie scure apparvero e scomparvero mentre la luce violastra percorreva la pelle. Gli accumuli maggiori erano sul polso e tutt’attorno.
«Ha opposto resistenza» disse. «Ma guardate le unghie: nemmeno una sbeccatura. Sono state smaltate dopo.»
«Dopo la colluttazione o dopo la morte?»
«Direi entrambe. Non ho trovato segni di reazioni infiammative, il che vuol dire che è morta subito dopo aver subito le lesioni... Credo che il killer voglia dirci qualcosa.»
Per via dei lavori di ristrutturazione, una breve ma importante tratta della Northern Line era chiusa. La prospettiva di accalcarsi su un autobus non lo attirava per nulla, perciò Wolf prese la Piccadilly Line fino a Caledonian Road e poi si rassegnò a fare i venticinque minuti di camminata fino a Kentish Town. Dopo aver superato il parco e il bel campanile con le decorazioni di un delizioso verde prato, non c’era molto da ammirare lungo il tragitto. Tuttavia, la temperatura era scesa a un livello tollerabile e il tramonto tardivo aveva portato una dolce brezza mitigante in quella parte della città.
La giornata, improduttiva, era trascorsa nella vana ricerca di Vijay Rana. Wolf e Finlay erano andati a Woolwich e, prevedibilmente, avevano trovato la sua casa disabitata. Il giardino sul davanti era in condizioni pietose, quasi impressionanti, con l’erba lunga e le piante infestanti che si erano appropriate del sentierino che conduceva alla porta d’ingresso. Una montagna di corrispondenza non aperta e volantini di take-away si intravedevano attraverso una finestrella.
Le informazioni che il dipartimento Frodi era riuscito a raggranellare erano quasi inservibili, e il socio di Rana, vittima della truffa, aveva candidamente ammesso che se avesse saputo dove si nascondeva l’avrebbe ammazzato lui stesso. L’unica scoperta promettente era stata la peculiare assenza di informazioni sul conto di Rana antecedenti il 1991. Per qualche motivo, aveva cambiato nome. Speravano che, se la Royal Courts of Justice o gli archivi anagrafici nazionali fossero riusciti a fornire il nome che aveva prima, potessero saltar fuori numerosi peccati passati che li guidassero verso l’attuale nascondiglio di Rana.
Avvicinandosi al suo quartiere, Wolf notò una Bentley blu scuro con una targa personalizzata parcheggiata in divieto davanti all’ingresso principale del suo palazzo. Attraversò la strada davanti all’auto, osservando l’uomo dai capelli grigi al volante. Arrivò al portone e stava frugandosi in tasca in cerca delle chiavi quando il suo cellulare squillò. Il nome di Andrea comparve sul display. Se lo rimise immediatamente in tasca e poi udì una pesante e costosa portiera sbattere alle sue spalle.
«Perché non rispondi alle mie chiamate?» disse Andrea.
Wolf sospirò e si voltò a guardarla. Sembrava ritornata all’usuale splendore, probabilmente aveva trascorso quasi tutta la giornata davanti alle telecamere. Notò che indossava la collana che le aveva regalato per il primo anniversario di nozze, ma decise di non farne parola.
«Ho passato quasi tutto il sabato rinchiusa» continuò lei.
«Succede, quando si infrange la legge.»
«Dacci un taglio, Will. Sai bene quanto me che, se non l’avessi detto io, l’avrebbe fatto qualcun altro.»
«Lo sai per certo?»
«Assolutamente sì. Ma, secondo te, se non l’avessi trasmesso io il killer avrebbe pensato: ’Oh, che peccato, non l’ha letto, tanto vale dimenticarmi tutta ’sta faccenda dell’elenco di gente da fare a pezzi’? Certo che no. Avrebbe trovato un altro canale televisivo e probabilmente avrebbe pure aggiunto il mio nome alla lista.»
«È questo il tuo modo di chiedermi scusa?»
«Non ho nulla di cui scusarmi. Ma voglio che mi perdoni.»
«Prima ci si scusa, poi si viene perdonati. È così che funziona.»
«E chi lo dice?»
«Che ne so, l’educazione?»
«Che detto da te...»
«Senti, inutile discuterne» disse Wolf, sorpreso di constatare come fosse facile ricadere nelle vecchie abitudini, anche in quelle circostanze. Alzò lo sguardo oltre Andrea, verso l’auto posteggiata accanto al marciapiedi. «Quand’è che tuo padre si è comprato una Bentley?»
«Ma vai a quel paese!» sbottò lei, cogliendolo alla sprovvista.
Con un po’ di ritardo, Wolf capì perché lei l’aveva presa male.
«Oddio, è lui, vero? Il tuo nuovo giocattolino da letto» disse, spalancando gli occhi nello sforzo di vedere oltre il parabrezza fumé.
«Sì, è Geoffrey.»
«Ah, Geoffrey si chiama, eh? Be’, sembra davvero molto... Ricco. Quanti anni ha, sessanta?»
«Smettila di fissarlo.»
«Fisso chi mi pare.»
«Sei un immaturo.»
«A pensarci bene, meglio che non ci giochi pesante, con lui, potresti rompergli qualche osso.»
Nonostante tutto, un’ombra di sorriso spuntò sulle labbra di Andrea.
«Seriamente, però...» aggiunse Wolf a bassa voce, «mi hai davvero mollato per lui?»
«No, ti ho mollato per te.»
«Ah.»
Ci fu un silenzio imbarazzato.
«Vorremmo invitarti a cena. È da un’ora e passa che siamo qui ad aspettarti e ho fame.»
Wolf emise un grugnito di delusione non troppo convincente.
«Mi piacerebbe, davvero, ma stavo uscendo.»
«Ma se sei appena arrivato!»
«Senti, apprezzo il gesto ma ti dispiace se rimandiamo? Ho un sacco di lavoro da fare e un giorno solo per trovare Rana e...» Wolf si rese conto di aver parlato troppo solo quando vide gli occhi di Andrea accendersi d’interesse.
«Non l’avete trovato?» chiese, stupefatta.
«Andie, sono stanco. Non so quello che dico. Devo andare.»
Wolf la abbandonò sulla soglia ed entrò nel palazzo. Andrea risalì sul sedile del passeggero della Bentley e chiuse la portiera.
«Uno spreco di tempo, immagino» disse Geoffrey.
«Tutt’altro» replicò Andrea.
«Se lo dici tu. Cena al Greenhouse, allora?»
«Te la cavi senza di me stasera?»
Geoffrey sbuffò. «Quindi, ufficio?»
«Sì, grazie.»
Wolf aprì la porta del suo miserevole appartamento e accese la televisione per cancellare il frastuono della solita litigata serale della coppia soprastante, due individui palesemente incompatibili. Il presentatore di un programma televisivo stava mostrando a due sposini una villetta con tre camere da letto ai margini di un parco idilliaco, in una zona molto più attraente della nazione rispetto al quartiere di Wolf. Era allo stesso tempo comico e avvilente ascoltarli discutere del bassissimo prezzo di vendita, che nella capitale non avrebbe permesso nemmeno di acquistare il tugurio in cui lui abitava.
Wolf si avvicinò alla finestra della cucina e fissò lo sguardo nelle tenebre della scena del crimine, dall’altra parte della strada. Fece una pausa, quasi aspettandosi che la Ragdoll fosse ancora lì appesa, ad aspettarlo. La trasmissione televisiva terminò (la coppia aveva deciso che con quei soldi poteva trovare ben di meglio) e un meteorologo predisse, con convinzione, che la sera seguente l’ondata di afa sarebbe giunta a una conclusione spettacolare, con temporali e pioggia in abbondanza.
Spense il televisore, chiuse le persiane e si lasciò cadere sul materasso appoggiato al pavimento, afferrando il libro che stava cercando di leggere ormai da quattro mesi. Riuscì a completare una pagina e mezza prima di cadere in un sonno tormentato.
Fu svegliato dal telefono che vibrava appoggiato ai vestiti del giorno prima, ripiegati in un angolo. Subito lo colpì il dolore al braccio sinistro e abbassò lo sguardo scoprendo che la ferita aveva inzuppato le garze nel corso della notte. La stanza aveva un’aria straniante alla luce del mattino, una luce grigia e non più arancione come nelle due settimane precedenti. Rotolò e afferrò il telefono.
«Boss?»
«Si può sapere cos’hai combinato?» lo aggredì Simmons.
«Non lo so. Cos’ho combinato?»
«Tua moglie...»
«Ex moglie.»
«...ha sbattuto la faccia di Vijay Rana su tutti i notiziari del mattino annunciando che non siamo capaci di rintracciarlo. Se è tutta una strategia per farmi licenziare, dimmelo.»
«No. Non intenzionalmente, almeno.»
«Occupatene.»
«Me ne occupo.»
Wolf si mise in piedi e barcollando uscì dalla stanza. Prese due antidolorifici per il braccio e riaccese il televisore. Andrea comparve sullo schermo, impeccabile come sempre ma con indosso gli stessi vestiti della sera prima. Con il solito talento drammatico, stava leggendo una dichiarazione, sicuramente inventata, di un «portavoce della polizia» che implorava familiari e amici di Rana di farsi avanti, per il suo stesso bene.
Nell’angolo superiore destro dello schermo, un timer contava alla rovescia le ore e i minuti che mancavano a mercoledì mattina. Non avevano la minima idea di dove anche solo iniziare a cercare Rana, ma avevano soltanto altre diciannove ore e ventitré minuti per farlo. Poi il killer avrebbe ucciso la sua prossima vittima.