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Sabato 12 luglio 2014
Ore 8.36
«Sei stato tu?» sibilò Vanita a Finlay precipitandosi nella sala riunioni. Si voltò verso Simmons. «O tu?»
Nessuno dei due aveva idea di che cosa stesse parlando. Ulteriormente irritata dalle loro espressioni vacue, afferrò il telecomando dal supporto e passò di canale in canale finché non trovò Andrea seduta alla scrivania, con il conto alla rovescia in sovrimpressione sopra la sua testa. Vanita alzò il volume e un’immagine sfuocata riempì lo schermo.
«...ritrae Ashley Lochlan scortata attraverso l’aeroporto di Dubai dal capo della sicurezza Fahad Al Murr» lesse Andrea.
Un breve video registrato col cellulare scorreva al rallentatore.
«E qui vediamo il detective Fawkes e Ashley Lochlan che attraversano il terminal uno dell’aeroporto di Glasgow.»
«Questo lo sapevamo già» disse Finlay.
«Aspetta» sbottò Vanita.
Andrea riapparve sullo schermo.
«Una fonte vicina alle indagini ci ha rivelato in esclusiva che la signorina Lochlan è stata una testimone chiave del processo al Cremation Killer e ha un collegamento con gli altri omicidi del caso Ragdoll. La fonte ha confermato il coinvolgimento del detective Fawkes nell’operazione di allontanamento della signorina Lochlan dal Paese.»
«Che ragazza intelligente» sorrise Finlay.
«Come?» chiese Vanita.
«Emily. Non ha passato nessuna informazione importante, solo quanto bastava per dimostrare che quella Lochlan è l’obiettivo del killer. Non ha senso che lui cerchi di nuovo di colpire la piccola Ashley, né le altre Ashley Lochlan del Paese. Baxter ha appena fatto sapere a tutto il mondo che il killer fallirà.»
«No, ha appena fatto sapere a tutto il mondo che la Metropolitan Police è talmente incompetente che quella donna ha preferito cavarsela da sola piuttosto che lasciare che la proteggessimo noi!» disse Vanita.
«L’ha fatto per salvare delle vite.»
«Ma a che prezzo?»
Il telefono dell’ufficio di Vanita prese a squillare. Lei imprecò a mezza voce e marciò fuori, richiamando Simmons dietro di sé come un cagnolino. Simmons esitò, incrociando lo sguardo di Finlay.
«Terrence!» esclamò di nuovo la comandante, e Finlay lo osservò disgustato correrle appresso.
«La servitù dei potenti» borbottò fra sé.
Edmunds si fece da parte per lasciar passare Simmons mentre entrava nella sala riunioni. In silenzio, aprì la borsa da lavoro, senza mostrare alcun interesse per il telegiornale poiché ne aveva già discusso a lungo con Baxter.
«Quindi è davvero Will?» chiese Finlay.
Edmunds annuì solenne e gli porse l’incartamento che aveva appena prelevato dalla borsa, ma Finlay lo rifiutò.
«Ti credo» disse, poi tornò a rivolgere la propria attenzione al televisore.
«Se posso permettermi... Non mi sembri troppo sorpreso» disse Edmunds.
«Quando avrai alle spalle tutti gli anni di servizio che ho io, capirai che niente può più sorprenderti. Può soltanto rattristarti. Se c’è una cosa che ho imparato è che se spingi qualcuno al limite, prima o poi quel qualcuno risponderà alla spinta.»
«Stai cercando di giustificare le azioni di Wolf?»
«Ovviamente no. Ma negli anni ne ho viste di ’brave’ persone fare cose tremende agli altri. Mariti che strangolano mogli infedeli, fratelli che proteggono sorelle dai partner che le maltrattano. Alla fine capisci...»
«Capisci cosa?»
«Che non esistono le ’brave’ persone. Ci sono solo persone che non sono ancora state spinte al limite, e altre invece sì.»
«Sembra quasi che tu non voglia che Wolf venga arrestato.»
«Dobbiamo arrestarlo. Alcune di quelle vittime non meritavano quello che è successo.»
«Ma secondo te altre sì, invece?»
«Certo, alcune sì. Non ti preoccupare, ragazzo. Voglio prenderlo, più di tutti voialtri, perché più di tutti voialtri non voglio che si faccia del male.»
Vanita e Simmons rientrarono nella sala riunioni con l’aria abbattuta e presero posto. Edmunds passò a ciascuno dei presenti una copia del profilo del killer che aveva redatto.
«Non abbiamo molto tempo» disse loro, «perciò ho raccolto tutto ciò che sappiamo del nostro assassino, più qualche cauta deduzione per restringere il campo della ricerca. Maschio bianco, alto da un metro e ottanta a un metro e novanta, calvo o con capelli rasati corti, cicatrice sull’avambraccio destro e sulla nuca, stivali numero 42 in dotazione all’esercito fino al 2012, è o era un soldato. Elevato quoziente intellettivo, che mette alla prova su base regolare per alimentare il proprio ego. Distaccato emotivamente, non dà valore alla vita umana, gode della sfida e vuole essere sfidato. È annoiato, quindi probabilmente non fa più il soldato. La messinscena così teatrale indica che si sta divertendo. È un tipo solitario, un outsider, non è sposato e ha una casa con giusto l’essenziale. Considerando i prezzi di Londra, scommetto che ha un appartamento in una brutta zona della città.
«Le persone che entrano nell’esercito unicamente perché adorano uccidere tendono a farsi riconoscere e finiscono per essere congedate con disonore dopo aver fatto, o essere state sospettate di aver fatto, qualcosa di orribile. Poiché non abbiamo le sue impronte nel sistema, probabilmente è stato solo sospettato di qualcosa. Tuttavia non possiamo escludere che sia stato ferito, considerando le cicatrici.»
«È un bel lavoro di immaginazione» disse Simmons.
«Deduzioni e ipotesi, e comunque è un punto da cui partire» disse Edmunds senza scusarsi. «Dobbiamo compilare un elenco di nomi che corrispondano alla descrizione, persone che siano state congedate dall’esercito negli anni immediatamente precedenti al primo caso dell’archivio, quello del 2008.»
«Eccellente lavoro, di nuovo, Edmunds» disse Vanita.
«Con il suo permesso, vorrei continuare a esaminare le prove insieme a Finlay. Sarebbe utile se il detective Simmons potesse compilare l’elenco per me.»
Simmons non apprezzò affatto che la nuova recluta gli delegasse il suo lavoro e stava per protestare, ma Vanita lo precedette.
«Tutto ciò che ti serve» rispose. «Presumo che Baxter sia là fuori a dare la caccia a Fawkes, giusto?»
«Baxter rimarrà accanto alla ragazzina fino a mezzanotte, e tutti gli ordini, le minacce e le preghiere del mondo non servirebbero a farle cambiare idea. Non sprecherei tempo» disse Edmunds.
Finlay e Simmons si scambiarono un’occhiata stupefatta. Adesso dava ordini anche alla comandante?
«Il killer si è avvicinato sistematicamente alle indagini, omicidio dopo omicidio. Il suo piano è concludere la faccenda faccia a faccia. Se troviamo lui, troviamo anche Wolf.»
La seduta fu aggiornata. Vanita e Simmons tornarono nell’ufficio della comandante, mentre Edmunds si trattenne per parlare con Finlay in privato. Chiuse la porta della sala riunioni e poi esitò, insicuro su come approcciare quell’argomento insolito.
«Finlay... ho una domanda strana.»
«Ok?» disse Finlay, lanciando uno sguardo verso la porta chiusa.
«Ieri tu e Simmons avete detto una cosa.»
«Dovrai essere un pelino più specifico, temo» rise Finlay.
«Faustiano» disse Edmunds. «Mi chiedevo cosa intendevate.»
«A dire il vero, a stento mi ricordo di cosa abbiamo parlato in questa riunione.»
Il taccuino fece la sua apparizione.
«Stavamo discutendo delle vittime, e poi tu hai detto: ’sembra quasi l’elenco delle vittime di Will, se non fosse che c’è pure il suo nome’ e poi Simmons ha detto: ’è quasi faustiano’ o qualcosa di simile.»
Finlay annuì, gli stava tornando la memoria.
«Non era niente, una stupida battuta» disse.
«Potresti spiegarmela, per favore?»
Finlay fece spallucce e si mise a sedere.
«Qualche anno fa abbiamo avuto una serie di persone che spergiuravano la loro innocenza nonostante i cadaveri ai loro piedi.»
«E davano la colpa a un demone o a Satana?» chiese Edmunds, affascinato.
«Esatto, l’alibi faustiano, come l’abbiamo ribattezzato» sogghignò Finlay.
«E come fa uno a organizzare una cosa simile?»
«Come scusa?»
«In termini pratici, intendo.»
«In termini pratici?» chiese Finlay, confuso. «È una leggenda urbana, ragazzo.»
«Assecondami.»
«Ma che cosa c’entra con tutto quanto?»
«Potrebbe essere importante. Per favore.»
Finlay guardò l’orologio, sapendo che avevano poco tempo.
«E va bene, è l’ora della storiella, dunque. Ci sono questi numeri di telefono che circolano, semplici numeri di telefono. Nessuno sa a chi appartengano e nessuno è mai stato in grado di rintracciarli. Sono validi soltanto per una chiamata e poi vengono disconnessi. Se una persona entra in possesso di uno di quei numeri, e vuole farlo, può offrirsi per uno scambio.»
«Un patto col diavolo» disse Edmunds, affascinato dalla storia.
«Già, un patto con il ’diavolo’» sospirò Finlay. «Ma come in ogni storia in cui c’è il diavolo, c’è anche un trucco: una volta che ha fatto il suo dovere, si aspetta qualcosa in cambio...»
Finlay fece una pausa e un gesto a indicare a Edmunds di avvicinarsi.
«La tua anima!» urlò, facendo sobbalzare Edmunds.
Finlay scoppiò a ridere e tossire e sputacchiare alla reazione del suo collega.
«Credi che ci sia qualcosa di vero in questa storia?» chiese Edmunds.
«Il diavolo usa e getta? No. No, non ci credo» disse Finlay, ora serio. «Oggi devi concentrarti su cose più importanti, chiaro?»
Edmunds annuì.
«Bravo ragazzo» disse Finlay.
I coniugi Lochlan stavano guardando la televisione nel salotto pulcioso di Edmunds. Dalla sedia in cucina, Baxter udiva Ashley giocare al piano di sopra. Stava per alzarsi e farsi qualcosa da mangiare quando all’improvviso Ashley si azzittì.
Baxter si mise in piedi, cercando di ascoltare meglio nonostante il volume del televisore, ma si rilassò quando sentì i passi pesanti della bambina sul pianerottolo e poi sulle scale. Entrò di corsa in cucina con un assortimento di forcine per capelli e fiori puntati a casaccio sulla testa.
«Ciao, Emily» disse, tutta allegra.
«Ciao, Ashley» replicò Baxter. Non se l’era mai cavata bene a parlare con i bambini. Era come se riuscissero a percepire che aveva paura di loro. «Sei molto carina.»
«Grazie. Anche tu.»
Baxter dubitava che fosse vero, ma le fece comunque un sorriso stanco.
«Volevo soltanto dirti, devo ancora avvisarti subito se vedo qualcuno fuori?»
«Sì, certo» disse Baxter, con tutto l’entusiasmo che riuscì a racimolare. «Sto aspettando un amico» mentì.
«Ok!»
Baxter si aspettava che la bambina corresse di nuovo su per le scale, invece rimase lì a ridacchiare.
«Cosa?»
«Cosa?» rise Ashley.
«Cosa c’è?» disse Baxter, con l’ultimo residuo di pazienza che le rimaneva.
«C’è quello che mi hai chiesto tu di fare! C’è qualcuno nel giardino sul retro.»
Il sorriso forzato di Baxter scomparve in un istante. Afferrò Ashley e corse nel salotto, facendo gesti ai genitori allarmati.
«Andate su, chiudete le porte» sussurrò, gettando la figlia tra le loro braccia.
Mentre i tre salivano rapidi, Baxter tornò in cucina e prese la pistola dalla borsa. Si bloccò quando udì un rumore graffiante dal fianco della casa. Si avvicinò con cautela alle finestre sul retro ma non vide niente fuori.
Ci fu un colpo alla porta d’ingresso.
Baxter sfrecciò lungo il corridoio ed entrò in bagno. Sollevò la pistola udendo un rumore metallico contro la serratura. La porta si aprì cigolando e una grossa ombra si stagliò sulla soglia. Baxter trattenne il fiato e attese che la sagoma oltrepassasse la porta del bagno, poi uscì e puntò la canna della pistola contro la testa incappucciata. L’intruso lasciò cadere a terra una borsa piena di rasoi, forbici e guanti monouso.
«Polizia» disse Baxter, guardando l’assortimento di strumenti pericolosi ai suoi piedi. «Chi sei?»
«Tia. La fidanzata di Alex. Vivo qui.»
Baxter si sporse e vide l’evidente rigonfiamento sotto il top della donna incinta.
«Gesù! Mi dispiace tanto» disse, abbassando l’arma. «Sono Emily. Emily Baxter. Finalmente ci conosciamo.»
Il capo della sicurezza dell’aeroporto di Dubai aveva già parlato con Wolf quando Ashley scese dall’aereo. Era un uomo terrificante, che abbaiava ordini a chiunque gli capitasse a tiro, quindi non avrebbe dovuto sorprenderla che avesse costretto la compagnia aerea a ricombinare i posti a sedere per farla salire sul volo per Melbourne.
Ashley si sentiva in colpa. Vedeva gli altri passeggeri accalcati fino in fondo alla cabina, mentre lei era circondata da quattro file vuote. L’orologio sui monitor nei sedili indicava i cambiamenti di fuso orario. Adesso era ufficialmente domenica mattina, a Londra, ma lei non era ancora al sicuro. Controllò il suo orologio, che non aveva regolato, sapendo di non poter abbassare la guardia fino a che in Inghilterra non fosse sopravvenuta la mezzanotte.
Sin da quando Wolf le aveva detto del suo piano Ashley aveva nutrito ampie riserve sul salire a bordo di un aereo pieno di gente innocente. L’assassino sembrava ubiquo e capace di colpire senza confini, e lei non poteva fare a meno di chiedersi se abbattere un velivolo non rientrasse nelle sue capacità così estese. Si era aggrappata ai braccioli per ore, aspettandosi di precipitare da un momento all’altro. Su ordine di Wolf, aveva rifiutato cibo e bevande e aveva osservato con invidia tutti quelli che si alzavano per andare alla toilette.
Le luci smorzate lampeggiarono tutt’attorno a lei e Ashley alzò lo sguardo, allarmata. Il personale di bordo sembrava tranquillo, andava avanti e indietro tra i passeggeri addormentati. Il bracciolo iniziò a tremare violentemente sotto la sua mano, e un trillo sconvenientemente allegro accompagnò l’illuminazione del segnale delle cinture di sicurezza.
L’aveva trovata.
L’aereo iniziò a vibrare violentemente e i passeggeri si svegliarono. Ashley vide le espressioni preoccupate del personale di bordo, benché rassicurassero tutti mentre tornavano rapidi alla sicurezza dei loro sedili. Le luci si spensero. Ashley cercò a tentoni il finestrino al suo fianco ma vedeva soltanto oscurità. Era come se fosse già morta...
Le vibrazioni a poco a poco cessarono e le luci ritornarono al precedente splendore. Dei risolini nervosi riempirono l’abitacolo e, poco dopo, il segnale delle cinture di sicurezza si spense nuovamente. La voce del capitano, dagli altoparlanti, si scusò per la turbolenza e fece una battuta, dicendo che era come avere delle sedie massaggianti, meglio che in prima classe.
Mentre gli altri tornavano a dormire, Ashley iniziò a contare i secondi nella mente, e i minuti che mancavano all’atterraggio.
Andrea chiuse con il suo ormai caratteristico messaggio: il conto alla rovescia della morte diceva «più sedici ore, cinquantanove minuti e cinquantasei secondi». Il segnale ON AIR si spense. Le era piaciuta quella giornata, piena di positività e di gente che augurava il meglio a Ashley Lochlan o che offriva consigli su come sfuggire all’imbattibile serial killer. L’orrendo conto alla rovescia aveva superato la mezzanotte e ora era sui numeri positivi, tanto da essere stato rinominato «il conto alla rovescia della vita» da un telespettatore e, per la prima volta dall’inizio di quella storia, simbolizzava la speranza e non la disperazione, accumulando le ore che davano la misura del fallimento del killer.
Ma l’umore di Andrea peggiorò rapidamente quando tornò in redazione e vide Elijah che la attendeva sulla sua stretta passerella. Con un gesto pieno di arroganza la convocò su da lui e poi tornò di gran carrriera nel proprio ufficio.
Andrea si rifiutò di correre. Si fermò alla sua scrivania e si concesse un istante per calmare i nervi, cercando di non pensare alla gravità della decisione che stava per prendere, che aveva già preso. Attraversò la stanza immersa nel caos, fece un respiro profondo e risalì la scala di metallo.
Wolf stava guardando i notiziari in un bed & breakfast da quattro soldi che aveva pagato in contanti. Era teso e in ansia da ore ormai e si tuffò dall’altra parte della stanza quando il suo cellulare usa e getta emise un trillo, poco dopo mezzanotte. Aprì il messaggio proveniente da un numero sconosciuto e si abbandonò sul letto sollevato quando lesse:
Sono ancora qui! L x
Ashley era salva.
Rimosse la sim dal telefono e la spezzò a metà, poi rotolò all’altro lato del letto e spense il televisore, fermandosi solo un istante quando si rese conto che l’emittente televisiva di Andrea aveva resettato il conto alla rovescia della morte. Vide tre minuti della sua vita sparire come se fossero secondi prima di premere il pulsante di spegnimento.
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