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Martedì 1º luglio 2014
Ore 8.28
Londra era ritornata alla monocromaticità abituale. Il cielo coperto era punteggiato dagli alti palazzi grigi e sporchi che gettavano ombre profonde sull’infinita distesa di cemento e asfalto sottostante.
Mentre percorreva il breve tratto a piedi tra la fermata della metropolitana e New Scotland Yard, Wolf compose il numero di Andrea. Con sua sorpresa, lei accettò la chiamata quasi subito. Sembrava sinceramente perplessa dalla sua reazione e insistette con ostinazione a sostenere che la sua unica intenzione era quella di aiutare la polizia, facendo ammenda per i danni che lei stessa sapeva di aver provocato alle indagini. Secondo lei, indurre tutte le persone del Regno Unito a cercare Rana poteva solo fare bene, e Wolf non ebbe niente da ribattere a quell’affermazione tanto logica quanto egoistica. Riuscì però a farle promettere di confrontarsi con lui su qualsiasi altro dettaglio prima di parlarne in televisione.
Wolf entrò in ufficio, trovando Finlay già al lavoro. Era al telefono con qualcuno della Royal Courts of Justice e stava enfatizzando per l’ennesima volta di fila il concetto di ’questione di vita o morte’: era una cosa semplicissima da fare, perché ci mettevano tanto? Wolf si mise a sedere alla scrivania davanti a Finlay e sfogliò la pila di documenti lasciata dai colleghi del turno di notte, che avevano fatto ben pochi progressi. Privo di idee geniali su come rintracciare Rana, continuò da dove si erano fermati gli altri: l’arduo lavoro di spunta sistematica degli estratti conto della banca, delle carte di credito e del traffico telefonico.
Alle 9.23 il telefono di Finlay squillò e lui rispose sbadigliando. «Shaw.»
«Buongiorno, sono Owen Whitacre dell’Archivio nazionale. Le chiedo scusa per il tempo che ci è voluto per...»
Finlay attirò l’attenzione di Wolf con un gesto.
«Ha un nome da darci?»
«In effetti, sì. Le sto mandando per fax una copia del certificato, ma ho pensato di chiamarla direttamente data... Be’, data la natura di ciò che abbiamo scoperto.»
«E cosa avete scoperto?»
«Il nome originale di Vijay Rana era Vijay Khalid.»
«Khalid?»
«Allora abbiamo fatto un controllo e c’è un parente registrato, il fratello minore. Naguib Khalid.»
«Oh, porca trota.»
«Come, scusi?»
«No, niente. Grazie» disse Finlay, e riappese.
Pochi minuti dopo, Simmons aveva assegnato altri tre agenti che aiutassero Finlay a scavare nel passato nascosto di Rana. Si isolarono nella sala riunioni, lontani dai rumori e dalle distrazioni dell’ufficio principale, e si misero al lavoro. Avevano ancora quattordici ore e mezzo per trovarlo.
Avevano ancora del tempo.
Dopo aver trascorso tutta la notte sul divano più scomodo del mondo, il dolore al collo stava uccidendo Edmunds. Era rientrato a casa, la sua villetta a schiera comunale, alle otto e dieci la sera prima e aveva trovato la madre di Tia che lavava i piatti in cucina. Si era completamente dimenticato che sarebbe passata. Lei lo aveva salutato con l’abituale calore, avvolgendolo in un abbraccio con le mani coperte di sapone, sulle punte dei piedi per arrivargli al petto. Tia, da parte sua, era stata molto meno incline a perdonarlo. Percependo l’atmosfera tesa, sua madre si era scusata e si era allontanata educatamente appena possibile.
«La cena era organizzata da almeno due settimane» disse Tia.
«Mi hanno trattenuto al lavoro, mi dispiace di non essere arrivato in tempo.»
«E dovevi passare a prendere il dolce, non te lo ricordavi? Ho dovuto improvvisare una delle mie zuppe inglesi.»
Di colpo, gli dispiacque un po’ di meno di essersi perso la cena.
«Oh, no, che peccato» disse, riuscendo a simulare la delusione. «Dovevi tenermene da parte un po’.»
«L’ho fatto.»
Maledizione.
«Quindi è così che sarà la nostra vita da adesso in poi? Salterai le cene, arriverai a orari impossibili, e avrai le unghie smaltate?»
Edmunds, imbarazzato, cominciò a grattar via schegge di smalto.
«Sono le otto e mezzo, T. Non mi sembra proprio un orario impossibile.»
«Perciò può anche peggiorare, è questo che intendi dire?»
«Potrebbe. Ma è il mio lavoro, adesso» scattò Edmunds.
«Ed è esattamente per questo che non volevo che lasciassi le Frodi» ribatté Tia, alzando la voce.
«Ma io lo volevo!»
«Non puoi essere egoista e un padre allo stesso tempo, lo capisci o no?»
«Egoista?» gridò Edmunds, incredulo. «Io lavoro per mantenere questa famiglia! Mi spieghi altrimenti come facciamo a sopravvivere? Con la tua paga da parrucchiera?»
Rimpianse la rispostaccia immediatamente dopo averla pronunciata, ma era ormai troppo tardi. Tia salì le scale e sbatté la porta della camera da letto. Lui aveva sperato di potersi scusare al mattino dopo, ma dovette uscire per andare al lavoro prima che lei si alzasse. Si ripromise di prenderle dei fiori quella sera, tornando a casa.
Incontrò Baxter, sperando che lei non si accorgesse che aveva la stessa camicia del giorno prima (le altre, pulite e stirate, erano appese oltre la porta chiusa a chiave della camera da letto) e che non riusciva a girare la testa a destra. Mentre la collega si indaffarava a contattare chirurghi ortopedici e fisioterapisti per indagare sulla gamba operata, a lui venne assegnato l’incarico di scoprire tutto il possibile sull’anello d’argento.
Cercò sul cellulare il gioielliere più vicino e si incamminò verso Victoria. Quando arrivò, il commesso gay fu felice di aiutarlo, sentendosi al centro dell’attenzione. Condusse Edmunds in una saletta sul retro, dove l’illusoria atmosfera elegante e rilassata del negozio cedeva il passo a una schiera di imponenti casseforti, attrezzi sporchi, lucidi e paste per la pulizia e monitor che trasmettevano le immagini di almeno una decina di telecamere nascoste, a sorveglianza di ciascuna teca di vetro rinforzato.
Un uomo trasandato e pallido, nascosto alla vista come un lebbroso per non intimidire la clientela borghese, prese l’anello, lo posò sul suo banco da lavoro ed esaminò l’interno con una lente d’ingrandimento.
«Non è argento, ma platino della migliore qualità, con il marchio di garanzia dell’Edinburgh Assay Office. Prodotto da qualcuno con le iniziali TSI nel 2003. Può controllare con loro per risalire al produttore.»
«Grazie, è stato incredibilmente d’aiuto» disse Edmunds mentre prendeva appunti. Era stupefatto che l’altro fosse riuscito a ottenere così tante informazioni da una piccola serie di simboli incomprensibili. «Ha idea del valore di quest’anello?»
L’uomo posò il grosso anello su una bilancia e poi prese un catalogo dal fondo di un cassetto.
«Non è una marca di design, cosa che abbatterebbe di un po’ il prezzo. Abbiamo anelli simili, si aggirano sulle tremila.»
«Tremila sterline?» chiese Edmunds per conferma. Per un istante gli tornò alla mente la lite con Tia la sera prima. «Questo ci dà quanto meno un’indicazione della classe sociale della vittima.»
«Le dice molto di più, invece» rispose l’altro, sicuro. «Questo è uno degli anelli più banali che abbia mai visto. Non ha praticamente alcun merito artistico. È come andarsene in giro con in tasca rotoli di banconote da cinquanta: puro e pretenzioso materialismo. Tutto fumo, niente arrosto.»
«Dovrebbe venire a lavorare con noi» scherzò Edmunds.
«Nah» rispose l’uomo, «pagate una miseria.»
All’ora di pranzo, Baxter aveva telefonato a oltre quaranta ospedali. Quando uno dei chirurghi le aveva detto di aver eseguito un’operazione di quel tipo, lei, emozionata, gli aveva inviato per email le foto delle radiografie e della gamba. Cinque minuti dopo lui l’aveva richiamata per dire che non avrebbe mai lasciato una cicatrice così orrenda, e non sapeva come altro aiutarla. Senza una data o un numero di serie, avevano troppo poco su cui procedere.
Baxter osservò Wolf nella sala riunioni. Anche lui era al telefono, nello sforzo frenetico, insieme alla sua squadra, di rintracciare Rana. Lei non aveva ancora accettato l’idea che il nome di Wolf comparisse sulla lista del killer, forse perché non era sicura di che reazione lui si aspettasse da lei. Ora più che mai non sapeva definire il loro rapporto.
Era stupefatta dal modo in cui Wolf si era gettato anima e corpo nel lavoro. Uomini più deboli sarebbero finiti in pezzi, si sarebbero nascosti, avrebbero cercato appoggio e rassicurazioni da coloro che li circondavano. Ma non Wolf. Anzi, era diventato più forte, più determinato, sempre più simile all’uomo che aveva conosciuto durante le indagini sul Cremation Killer: un ordigno esplosivo ambulante, spietato, autodistruttivo, efficiente. Nessun altro aveva notato quel leggero cambiamento in lui, ma se ne sarebbero accorti presto.
Edmunds aveva fatto notevoli progressi con l’anello. Aveva già contattato l’Edinburgh Assay Office, il quale gli aveva riferito che il contrassegno con le iniziali apparteneva a una gioielleria indipendente di Old Town. Lui aveva inviato una foto dell’anello, annotandone a mano le dimensioni, e mentre attendeva che lo richiamassero si stava arrovellando sulle tonalità di smalto per unghie. Si era fermato al Superdrug and Boots mentre tornava in ufficio e adesso era l’orgoglioso proprietario di altri sei flaconcini di smalto glitterato, nessuno dei quali però combaciava con l’esatta sfumatura che stavano cercando.
«Hai un aspetto da far schifo» rimarcò Baxter, rimettendo giù il telefono dopo aver chiamato il quarantatreesimo ospedale.
«Non ho dormito granché» replicò Edmunds.
«Hai la stessa camicia di ieri.»
«Davvero?»
«In tre mesi, non hai mai messo la stessa camicia due giorni di fila.»
«Non mi ero accorto che tenessi il conto.»
«Hai litigato» disse lei, un’affermazione e non una domanda, godendosi forse un po’ troppo la riluttanza di Edmunds a parlarne. «Una bella nottata sul divano, eh? Ci siamo passati tutti.»
«Se per te è uguale, non potremmo cambiare argomento? Per favore?»
«Quindi, qual è il problema? Non le va giù che lavori con una donna?» Baxter fece girare la sedia e lo guardò sbattendo le ciglia più volte.
«No.»
«Ti ha chiesto com’era andata la giornata e ti sei reso conto di non aver nulla da dirle che non fosse brandelli di cadavere o sindaci bruciati vivi?»
«C’era sempre lo smalto per unghie» sorrise lui, mostrandole le unghie dipinte e scrostate. Provò a scherzare per mostrarle che era inutile provocarlo, non ci sarebbe riuscita.
«Allora vuol dire che ti sei dimenticato qualcosa. Compleanno? Anniversario?»
Quando Edmunds non rispose, lei capì di essere sulla strada giusta. Lo fissò e attese con pazienza la sua risposta.
«Cena con sua madre» mormorò Edmunds.
Baxter scoppiò a ridere.
«Cena con la mammina? Cristo, ma dille di darsi una calmata. Stiamo dando la caccia a un serial killer, per l’amor di Dio.» Si avvicinò a lui con fare cospiratorio. «Vedevo un tizio. Ho saltato il funerale di sua madre perché stavo inseguendo una barca sul Tamigi!»
Rise forte, e lo stesso fece Edmunds. Si sentiva però in colpa per non aver difeso Tia, per non aver spiegato che lei doveva ancora abituarsi al suo nuovo lavoro, ai suoi ritmi diversi, ma scoprì che gli piaceva aver qualcosa da condividere con la sua partner.
«Dopo non mi ha più richiamato» aggiunse lei.
Quando la risata sfumò verso il silenzio, Edmunds ebbe l’impressione di scorgere una profonda tristezza dietro quella facciata sprezzante. Un istante, l’attimo in cui forse lei si chiese come sarebbero state le cose se avesse fatto una scelta diversa.
«Aspetta di vedere cosa succede quando il tuo erede deciderà di uscire dalla pancia proprio mentre siamo su una scena del crimine e tu non puoi esserci.»
«Non andrà così» disse Edmunds, sulla difensiva.
Baxter fece spallucce e rigirò la sedia. Prese il telefono e compose il numero del successivo ospedale sull’elenco.
«Matrimonio. Detective. Divorzio. Chiedilo a chiunque altro qui dentro, la sequenza è sempre quella. Matrimonio, detective, divorzio... Oh, buongiorno, sono la detective Baxter della...»
Simmons uscì dal suo ufficio e si fermò un istante a guardare la pila di fotografie dell’autopsia che Baxter aveva sparso sulla scrivania vuota di Chambers.
«Quand’è che ritorna Chambers?» le chiese.
«Non ne ho idea» rispose lei, mentre era in attesa di essere passata all’ennesimo reparto di fisioterapia.
«Ero convinto fosse oggi.»
Baxter fece un gesto a indicare che non lo sapeva e non le interessava saperlo.
«Mi ha già fregato una volta, per una settimana intera, quella volta del vulcano islandese. Meglio che non dica di essere ’bloccato’ ai Caraibi. Chiamalo da parte mia, fammi ’sto favore, ok?»
«Chiamalo tu» ribatté secca lei, irritata dall’interminabile canzone di Will Young che le risuonava all’orecchio nell’attesa.
«Ho una telefonata con la comandante. Fallo e basta, chiaro?»
Mentre ancora aspettava di essere messa in comunicazione, Baxter prese il cellulare e compose il numero di casa di Chambers, che conosceva a memoria. Trovò la segreteria.
«Chambers! Baxter. Dove sei, razza di bastardo fancazzista? Merda, spero che i bambini non sentano questo messaggio. Arley, Lori, se state ascoltando, per favore ignorate le parole ’bastardo’ e ’merda’, ok?»
All’altro telefono, qualcuno dell’ospedale finalmente rispose, cogliendo alla sprovvista Baxter.
«Cazzo» sbottò nel cellulare, prima di riappendere.
Mano a mano che le ore passavano, Wolf si sentiva sempre più inutile. Alle quattordici e trenta ricevette una telefonata dall’agente che aveva spedito a controllare la casa del cugino di Rana. Anche quella, così come tutte le altre piste possibili, si era rivelata un nulla di fatto. Wolf era sicuro che Rana e la sua famiglia si stessero nascondendo da amici o parenti. Erano scomparsi senza lasciar traccia oltre cinque mesi prima, con due bambini in età scolare che sarebbe stato impossibile nascondere durante la settimana. Si strofinò le palpebre, stanche, e vide Simmons camminare nervoso avanti e indietro nel suo minuscolo ufficio, costretto ad affrontare le innumerevoli telefonate dei suoi superiori mentre faceva zapping da un notiziario all’altro per controllare i danni più recenti.
Trascorse un’ulteriore mezz’ora e poi, d’improvviso, Finlay urlò: «Ho qualcosa!»
Wolf e gli altri interruppero quello che stavano facendo e si misero ad ascoltarlo.
«Quando la madre di Rana è morta nel 1997 ha lasciato la casa in eredità ai due figli, ma non è mai stata venduta. Qualche anno dopo l’hanno intestata alla figlia di Rana, appena nata. Un altro modo per evadere le tasse, senza dubbio.»
«Dove?» chiese Wolf.
«Lady Margaret Road, Southall.»
«Dev’essere lì.»
Wolf perse la conta con la morra cinese e toccò a lui andare a riferire a Simmons, interrompendo la sua conference call. L’ispettore capo li raggiunse nella sala riunioni e Finlay gli spiegò cos’aveva scoperto. Fu deciso che Wolf e Finlay avrebbero catturato Rana da soli. La discrezione era la chiave della sopravvivenza di Rana, e serviva al loro scopo di lasciare che la stampa li facesse a pezzi, denunciando la loro incapacità di rintracciarlo, per poi mostrarlo sano e salvo il giovedì mattina.
Simmons ebbe l’idea di usare i suoi contatti nel programma Protezione Testimoni inglese, molto meglio equipaggiato per affrontare un trasporto in incognito e la sorveglianza, condividendo la responsabilità della salvaguardia di Rana fino a pericolo scampato. Aveva appena preso il telefono per chiamarli quando si udì un timido bussare alla porta della saletta.
«Non ora!» abbaiò quando un’agente subalterna entrò trepidante e si chiuse la porta alle spalle. «Ho detto non ora!»
«Mi dispiace molto di interrompervi, signore, ma c’è una telefonata. Credo che debba prenderla.»
«E perché?» chiese Simmons, sprezzante.
«Perché Vijay Rana è appena entrato nel commissariato di Southall per costituirsi.»
«Oh.»