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Sabato 28 giugno 2014

Ore 6.09

Baxter e Edmunds furono costretti ad attendere per oltre dieci minuti nella sala d’aspetto principale del QE. Serrande dall’aria fragile sbarravano l’accesso al caffè e al WH Smith’s e lo stomaco di Baxter borbottò quando lei guardò ancora le irraggiungibili pigne di Monster Munch. Finalmente, una guardia di sicurezza provocatoriamente sovrappeso si avvicinò ondeggiando al bancone e la scontrosa receptionist le indicò i due poliziotti.

«Ehi, voi due!» li richiamò, come avrebbe fatto con un cane. «Seguite Jack, vi porta giù lui.»

La guardia di sicurezza, a quanto pareva, aveva un rancore latente nei loro confronti. Controvoglia, li precedette con lentezza esasperante verso gli ascensori.

La loro guida parlò soltanto quando scesero al piano interrato.

«I ’veri’ poliziotti non si fidavano di noi umili guardie di sicurezza, secondo loro il compito di sedere fuori da una camera d’ospedale era troppo complesso per noi, così se ne sono occupati loro. E gli è servito eccome.»

«Il cadavere è stato sorvegliato dopo essere stato portato giù alla morgue?» chiese Edmunds educatamente, tentando di calmare la guardia. Aveva estratto il taccuino ed era pronto ad annotare la risposta mentre camminavano lungo l’angusto corridoio.

«Posso solo tirare a indovinare» disse l’uomo, con sarcasmo teatrale, «ma la polizia potrebbe aver ritenuto quel tizio una minaccia minore da morto. Però è soltanto un’ipotesi, eh?»

La guardia ridacchiò soddisfatta della propria arguzia. Edmunds lanciò un’occhiata a Baxter, aspettandosi che scuotesse il capo o lo prendesse in giro per quella domanda stupida. Sorprendentemente, però, lei lo difese.

«Quello che il mio collega sta cercando invano di farsi dire da lei è se la morgue è sorvegliata o meno.»

Si fermarono davanti a una doppia porta senza cartellini. L’uomo picchiettò con arroganza un dito sulla targhetta: VIETATO L’INGRESSO.

«Che ne dice di questo, tesoro?»

Baxter spintonò l’odioso uomo e lo superò, tenendo la porta aperta per Edmunds.

«Grazie, lei è stato davvero...» Sbatté la porta in faccia alla guardia di sicurezza. «...uno stronzo.»

Contrariamente alla guardia, che era stata di ben poco aiuto, il medico legale fu gentile ed efficiente; un uomo di poco più di cinquant’anni, che parlava a voce bassa, la barba grigiastra ben curata, come i capelli. In pochi minuti individuò sia il fascicolo cartaceo sia il file digitale relativi a Naguib Khalid.

«Non ero presente quando hanno fatto le analisi, ma stando al referto la causa di morte è stata identificata nella tetrodotossina. Ne hanno trovate tracce nel sangue.»

«E questa tetrossina...»

«Tetrodotossina» la corresse l’uomo senza il minimo accenno di condiscendenza.

«Sì, quella. Che cosa sarebbe? E come viene somministrata?»

«È una tossina naturale.»

Baxter e Edmunds lo guardarono senza comprendere.

«È un veleno, e molto probabilmente l’ha ingerito. La maggior parte dei decessi da tetrodotossina derivano dall’ingestione di pesce palla, per alcuni una prelibatezza, anche se io preferisco i Ferrero Rocher.»

Lo stomaco di Baxter si produsse in un ennesimo doloroso gorgoglio.

«Quindi devo tornare dall’ispettore capo a dirgli che un pesce ha ucciso il Cremation Killer?» gli domandò, per nulla colpita.

«Tutti moriamo, in un modo o nell’altro» disse l’uomo, con tono di scusa. «Ovviamente esistono altre fonti di TTX – alcuni tipi di stelle di mare, lumache... Se non ricordo male c’è anche un tipo di rospo che...»

Le sue parole non parvero rassicurare Baxter.

«Volete vedere il cadavere?» chiese il medico legale dopo un istante.

«Sì, grazie» replicò Baxter. Non capitava spesso che Edmunds la sentisse pronunciare quella parola.

«Posso chiedergliene il motivo?»

Si avvicinarono a una grossa parete coperta dagli sportelli in metallo lucido delle celle frigorifere.

«Dobbiamo controllare se ha ancora la testa» disse Edmunds mentre prendeva appunti nel taccuino.

Il medico legale guardò Baxter. Si aspettava di vederla sorridere, o forse che si scusasse per il pessimo senso dell’umorismo del collega, ma lei fece un cenno di conferma. Un po’ sconcertato, l’uomo individuò il cassetto corretto, sulla fila in basso, e con delicatezza lo estrasse dalla parete. Trattennero tutti e tre il fiato quando il famigerato serial killer si materializzò di fronte a loro.

I piedi e le gambe, dalla pelle olivastra, erano coperti di vecchie cicatrici e bruciature. Subito dopo emersero le braccia e il grembo. Baxter guardò a disagio le due dita storte della mano sinistra, ricordando la sera in cui Wolf era riemerso dalla cella di contenimento coperto di sangue. Quando i suoi superiori, il giorno dopo, l’avevano interrogata, aveva negato di aver visto qualcosa.

Quando il petto fu visibile alla luce, fissarono tutti le grosse cicatrici lasciate dalle numerose operazioni cui era stato sottoposto dopo l’aggressione di Wolf in tribunale. Finalmente il cassetto si aprì del tutto e i tre si ritrovarono a fissare il proprio riflesso distorto dal metallo, nello spazio in cui avrebbe dovuto trovarsi il cranio del killer.

«Merda.»

Wolf stava indugiando fuori dall’ingresso principale di New Scotland Yard, guardando nervosamente l’imponente folla che si era ammassata all’ombra dell’enorme edificio in vetro che occupava quasi un ettaro nel cuore di Westminster. Il tocco finale era dato dal podio improvvisato, eretto nel solito angolo congeniale ai media perché teneva sullo sfondo il famoso cartello triangolare girevole.

Qualcuno una volta gli aveva detto che le scritte riflettenti su quel cartello intendevano rappresentare la costante vigilanza della Met: riflettevano l’immagine dell’osservatore, sempre sotto controllo. Lo stesso poteva dirsi dell’enorme edificio che, nei giorni di cielo sereno, sembrava quasi svanire, visto che le finestre specchiavano i mattoni rossi dell’albergo vittoriano di fronte e la torre del 55 Broadway sul retro.

Il telefono di Wolf prese a vibrargli in tasca e lui si rimproverò di non essersi ricordato di spegnerlo. Vide che era Simmons a chiamarlo e rispose subito.

«Capo?»

«È arrivata conferma da Baxter. È Khalid.»

«Lo sapevo. Come?»

«Un pesce.»

«Cosa?»

«Veleno. Ingerito.»

«Si meritava ben altro» sbottò Wolf.

«Farò finta di non aver sentito.»

Un tizio con i pantaloni cargo stava facendo dei gesti a Wolf.

«Pare che tocchi a me, capo.»

«Buona fortuna.»

«Grazie» rispose Wolf, ironico.

«Vedi di non far casini.»

«Come no.»

Wolf riappese e si specchiò, assicurandosi di avere la patta chiusa e di non sembrare ancor più sfatto ed esausto del solito. Marciò fuori verso il podio con l’intenzione di sbrigarsela il prima possibile. Ma la sua sicurezza evaporò quando il vocio si intensificò e vide i dischi scuri degli obiettivi delle telecamere seguire ogni suo passo, come cannoni che prendevano la mira. Per un istante, gli sembrò di tornare indietro, di essere di nuovo fuori dall’Old Bailey, cercando inutilmente di nascondere la faccia dietro le mani mentre lo spingevano dentro il retro di un furgone della polizia, sotto le grida nervose dei giornalisti e i colpi violenti alle pareti metalliche del veicolo. Una scena che avrebbe sempre infettato i suoi incubi.

In apprensione, salì sul podio e iniziò il discorsetto che si era rapidamente preparato.

«Sono il detective William Fawkes della...»

«Come? Alzi la voce!» lo rimbrottò la folla.

Uno degli uomini che avevano preparato quel minuscolo palco salì e accese il microfono, con uno schiocco sonoro. Wolf cercò di ignorare le risate di disprezzo provenienti da quell’oceano di facce.

«Grazie. Come stavo dicendo, sono il detective William Fawkes della Metropolitan Police e faccio parte della squadra di investigazione assegnata al caso di omicidio multiplo di oggi.» Fin qui tutto bene, pensò. L’uditorio iniziò a sparare domande a raffica, ma Wolf le ignorò e proseguì: «Possiamo confermare di aver rinvenuto i resti di sei vittime in un appartamento di Kentish Town nelle prime ore di...»

Wolf fece l’errore di alzare lo sguardo dai suoi appunti e riconobbe istantaneamente la capigliatura rossa di Andrea. Gli parve di vederla sconvolta, cosa che lo distrasse ancor di più. Gli appunti gli caddero a terra e si chinò per recuperarli, consapevole di aver annotato una lista di dettagli che non doveva citare su uno dei foglietti. Recuperò quello incriminante e ritornò al microfono.

«Nelle prime ore di stamattina.» Sentiva la gola secca e sapeva di essere arrossito come gli capitava sempre, quindi lesse rapidamente l’ultimo foglietto. «Stiamo procedendo a identificare le vittime e contatteremo le famiglie prima di divulgare i nomi. Trattandosi di un’indagine ancora in corso, questo è tutto ciò che posso dire al momento. Grazie.»

Fece una pausa di qualche secondo, aspettandosi un applauso, poi capì che sarebbe stato decisamente inappropriato e che la sua performance non l’avrebbe comunque meritato. Scese dal podio e si allontanò dalle voci che gridavano il suo nome.

«Will! Will!»

Wolf si voltò e vide Andrea che correva verso di lui. Era riuscita a schivare il primo agente, ma era stata bloccata da altri due. Wolf fu travolto dalla stessa rabbia confusa che aveva contraddistinto i loro pochi incontri dopo il divorzio e fu quasi tentato di lasciare che i poliziotti la trascinassero via, ma decise di intervenire quando un membro del Corpo di protezione diplomatica, armato con un fucile d’assalto Heckler & Koch G36C, si avvicinò a lei.

«Va bene, va bene, lasciatela passare per favore» li richiamò, controvoglia.

L’ultima volta che si erano visti, per discutere ulteriori complicazioni riguardanti la vendita della loro casa, l’atmosfera era stata particolarmente gelida, quindi fu colpito quando lei corse da lui e lo strinse in un forte abbraccio. Wolf respirò dalla bocca, cercando disperatamente di non inalare il profumo dei suoi capelli, sapendo che sarebbe stato quello che lui amava tanto. Quando alla fine lei lo lasciò andare, vide che era prossima alle lacrime.

«Non posso dirti nient’altro, Andie...»

«Ma non guardi mai il telefono? È da due ore che cerco di chiamarti!»

Wolf non riusciva a stare al passo con i suoi cambiamenti di umore. Adesso sembrava davvero furiosa con lui.

«Scusa tanto, eh, ma ho avuto un po’ da fare oggi» disse, poi si avvicinò e le sussurrò con fare cospiratorio: «Pensa, pare che ci sia stato un omicidio o una roba del genere stanotte».

«Accanto al tuo appartamento!»

«Già» disse Wolf, pensieroso. «Che ti devo dire, il quartiere fa schifo.»

«Devo chiederti una cosa e ho bisogno che tu mi dica la verità, ok?»

«Uhm.»

«C’è dell’altro, vero? Il corpo è stato cucito... come un pupazzo.»

Wolf iniziò a balbettare, a disagio. «Come hai... Dove hai... A nome della Metropolitan Police io...»

«È di Khalid, vero? La testa?»

Wolf afferrò Andrea per un braccio e la spostò di lato, il più lontano possibile dagli altri poliziotti. Lei prelevò una spessa busta marrone dalla borsa.

«Credimi, sono l’ultima persona che vorrebbe fare il nome di quel mostro. Per quanto mi riguarda, sono convinta che sia stato lui a rovinare il nostro matrimonio. Ma l’ho riconosciuto dalle foto.»

«Foto?» chiese Wolf, ostile.

«Oddio! Lo sapevo che erano vere» disse lei, sconvolta. «Qualcuno mi ha mandato delle foto di questa specie di... pupazzo. Sono ore che le ho, ma non ho detto nulla. Devo tornare al lavoro.»

Andrea tacque mentre qualcuno passava accanto a loro.

«Will, chiunque sia stato a mandarmele ha aggiunto una lista. È per questo che cercavo di chiamarti, perché non so cosa significhi: sei nomi, con una data accanto a ciascuno.»

Wolf le strappò di mano la busta e la aprì.

«Il primo nome è quello del sindaco Turnble, accanto alla data di oggi» disse Andrea.

«Il sindaco Turnble?» chiese Wolf. Sembrava che un abisso gli si fosse spalancato sotto i piedi.

Senza aggiungere una parola, si voltò e tornò di corsa all’interno. Sentì Andrea urlare qualcosa alle sue spalle, ma le parole erano indecifrabili: si erano schiantate contro il vetro spesso delle porte.

Simmons era al telefono con il commissario, che era passato a minacce per nulla sottili riguardanti la sua rimpiazzabilità sentendolo scusarsi di continuo per la mancanza di progressi della sua squadra. Simmons era a metà del resoconto del suo piano d’azione quando Wolf si precipitò nel suo ufficio senza farsi annunciare.

«Fawkes! Fuori di qui!» sbraitò Simmons.

Wolf si sporse sulla scrivania e premette un tasto sul telefono, interrompendo la chiamata.

«Ma che diavolo credi di fare?» chiese Simmons, furioso.

Wolf aprì la bocca per rispondere quando una voce distorta eruppe dall’altoparlante. «Sta parlando con me, Simmons?»

«Merda.» Wolf premette un altro pulsante.

«Questa è la segreteria di...» prese a dire una voce robotica.

Simmons aveva un’espressione inorridita, la testa tra le mani, mentre Wolf pigiò tutti i tasti uno dopo l’altro.

«Come si fa a chiudere ’sta cosa?» urlò Wolf, esasperato.

«Il grosso pulsante rosso con la...» intervenne in aiuto il commissario, prima che uno schiocco secco, seguito dal silenzio, confermasse che la sua indicazione era, in effetti, corretta.

Wolf sparse sulla scrivania le Polaroid che ritraevano quel grottesco cadavere.

«Il killer ha mandato alla stampa le foto e una lista di obiettivi.»

Simmons si strofinò il volto e abbassò lo sguardo sulle foto che ritraevano il corpo nelle diverse fasi di assemblaggio.

«Il primo nome è quello del sindaco Turnble. Oggi.»

Ci volle qualche istante prima che quelle parole avessero effetto.

Di colpo, Simmons entrò in azione. Prese il cellulare.

«Terrence!» rispose allegro il sindaco. Sembrava che fosse all’aperto. «A cosa devo l’onore?»

«Ray, dove sei?» gli chiese Simmons.

«A fare una passeggiata su Ham Gate a Richmond Park, il nostro vecchio quartiere, ricordi? Poi devo andare a un incontro di raccolta fondi per beneficenza a...»

Simmons riferì a bassa voce i luoghi a Wolf, che era al telefono con la sala controllo.

«Ray, abbiamo un problema: una seria minaccia alla tua vita.»

Il sindaco prese quella notizia sorprendentemente bene.

«Tutto nella norma, dunque» rise.

«Resta dove sei. Abbiamo inviato delle auto a prenderti per scortarti qui fino a che non ne sapremo di più» gli disse Simmons.

«È davvero necessario?»

«Ti spiego tutto quando arrivi qui.»

Simmons chiuse la comunicazione e si rivolse a Wolf.

«Tre veicoli in arrivo. Il più vicino è a quattro minuti. Uno è un’unità di intervento speciale.»

«Bene» rispose Simmons. «Fai venir qui subito Baxter e Comesichiama. E poi voglio che questo piano sia chiuso, nessuno entra e nessuno esce. Comunica alla sicurezza che faremo entrare il sindaco dall’ingresso del garage. Vai!»

Il sindaco Turnble era seduto pazientemente nel sedile posteriore della sua Mercedes Classe E con autista. Aveva chiesto al suo assistente di annullare tutti i suoi impegni di quel giorno mentre tornava verso l’auto, presentendo che sarebbe stata una giornata lunga e tediosa.

Appena due mesi prima aveva ricevuto un’email di minacce ed era stato costretto a rintanarsi nella sua casa a Richmond per un intero pomeriggio. Fino a che non avevano scoperto che era stata mandata da un undicenne, alla cui scuola aveva fatto visita all’inizio della settimana. Si domandò se anche stavolta si sarebbe trattato di una monumentale perdita di tempo.

Le code all’ingresso del parco, gente che voleva approfittare di un nuovo weekend di sole, li avevano costretti a spostare l’auto. Adesso erano posteggiati davanti alla Royal Star and Garter Home, sgombrata di recente. Il sindaco osservò il magnifico edificio in cima a Richmond Hill e si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto prima che l’ennesimo immobile londinese ricco di storia e tradizione subisse il disonore estremo di vedersi convertito in abitazione per ricchi banchieri.

Aprì la valigetta, trovò l’inalatore e se lo portò alla bocca, facendo un profondo respiro. L’ondata di caldo aveva portato con sé pollini in abbondanza, affannandogli il respiro, ma lui era deciso a non finire in ospedale per la terza volta in quell’anno. Il suo rivale politico più agguerrito già gli stava alle costole, ed era certo che gli impegni saltati quel giorno non sarebbero sfuggiti alla sua attenzione.

Sentendo lo stress aumentare, abbassò il finestrino e si accese una sigaretta. L’ironia del pacchetto di sigarette accanto all’inalatore era presto passata, specialmente dopo che era riuscito così bene a ridurre la quantità di sigarette giornaliere. Udì le sirene in lontananza e fu abbattuto dalla consapevolezza che erano per lui.

Un’autopattuglia si fermò accanto a loro e un poliziotto scese per conferire con l’autista. Trenta secondi dopo si misero in moto, saltando le code e passando sulle corsie preferenziali. Pregò che nessuno stesse filmando quelle ridicole, esagerate misure. Altre due autopattuglie affiancarono la sua Mercedes fin troppo riconoscibile.

Il sindaco si abbassò sul sedile, osservando le grandi case lasciare il posto a palazzi di uffici, che svettavano sempre più alti in una sorta di competizione che oscurava il cielo.