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Nascosto in una postazione d’artiglieria di un muro in rovina, Pendergast aveva visto le barche del colonnello avvicinarsi al molo. Dapprima aveva pensato che fosse parte del finto attacco che avevano progettato, ma poi, con sgomento, si era reso conto che Souza aveva cambiato i piani. Si stava dirigendo verso le banchine.
Pendergast credette di capire il ragionamento del colonnello: la rapidità era essenziale. Avevano discusso insieme quella possibile strategia, ad Alsdorf, escludendola per il pericolo di un’imboscata. C’era sempre l’eventualità che, avuta notizia dell’attacco al villaggio, gli uomini nella fortezza potessero prontamente predisporre una trappola. Il colonnello l’aveva ritenuto poco probabile, ma alla fine il punto di vista di Pendergast aveva prevalso.
A quanto sembrava, però, non abbastanza.
Li guardò avvicinarsi, con i battiti che acceleravano. Avrebbe potuto funzionare. In effetti, si accorse che il colonnello aveva portato con sé molti meno uomini di quanti ne avevano programmati: con un’unità tanto piccola, l’effetto sorpresa e la rapidità sarebbero stati fondamentali.
Se avesse funzionato, tanto meglio. Ma era un rischio, un rischio enorme.
E poi, alla prima esplosione, le banchine erano saltate in aria, gli uomini erano caduti in acqua, le due imbarcazioni si erano rovesciate di lato. Pendergast avvertì lo shock impadronirsi di lui per l’improvviso capovolgimento. Udì il crepitare distante delle mitragliatrici e scorse, dietro un crinale subito sotto le mura del castello, il bagliore dei fucili. Dal punto in cui si trovava non riusciva a vedere i nemici, ma valutò che doveva trattarsi di un discreto numero di soldati – forse cento, una buona parte delle guardie della fortezza – ben addestrati e organizzati. Mentre il fumo dell’esplosione sul molo si diradava, osservò la portata della sconfitta. Molti degli invasori erano stati uccisi all’istante o erano gravemente feriti; i sopravvissuti venivano crivellati di colpi nell’acqua. Ma il colonnello sembrava essere scampato al massacro, insieme a una manciata di uomini. Pendergast li vide portarsi dietro ad alcuni massi lungo la riva, correre al riparo più avanti sulla collina e poi scattare verso il varco nelle mura, mentre un altro militare veniva abbattuto. Il colonnello riuscì a raggiungere la breccia con quattro uomini, scomparendo all’interno.
Cinque soldati, più lui. Sei uomini contro una fortezza di soldati armati di tutto punto, ben addestrati, e geneticamente modificati per essere spietati e intelligenti. Inoltre erano nel loro ambiente; difendevano la loro terra, la città, la fortezza, la ragione stessa della loro esistenza.
Mentre Pendergast rifletteva, cominciò a rendersi conto che poteva non esserci alcuna via d’uscita. La sua unica consolazione era che la guerra era la più imprevedibile di tutte le attività umane.
Lasciando la postazione, Pendergast percorse un tunnel a passo rapido, nascondendosi in una galleria laterale, da dove sentì alcuni soldati avvicinarsi. Non appena si furono allontanati, uscì di nuovo allo scoperto, scendendo una scala in rovina che conduceva alle fondamenta della fortezza. Udiva, sotto di lui, l’eco di una sparatoria all’interno delle mura: senza dubbio le guardie si stavano radunando, nel tentativo di respingere gli ultimi uomini del colonnello vicino al varco o all’interno.
Il rumore dei colpi divenne più forte quando raggiunse l’enorme tunnel sotterraneo che costeggiava la parte interna delle mura. Udì dei passi dietro di lui; riuscì a nascondersi appena in tempo in un laboratorio, chiudendo la porta prima del loro passaggio. Altri spari, grida di uomini feriti. I brasiliani, almeno, stavano combattendo come leoni.
Tornò nel corridoio e proseguì finché non raggiunse una curva a gomito oltre la quale un gruppo di soldati tedeschi si trovava nell’ombra, bloccato dal fuoco dei brasiliani. Gli stretti corridoi, le pesanti pareti di pietra e le numerose rientranze in cui nascondersi aiutavano gli uomini del colonnello a bilanciare un po’ la loro inferiorità numerica. Tendendo l’orecchio, Pendergast dedusse che i soldati di Souza dovessero trovarsi in una ridotta facile da difendere all’interno delle mura. Combattevano con tutte le loro forze, ma erano circondati. Erano spacciati, a meno che non fossero riusciti a trovare una via di fuga.
Pendergast scivolò dietro l’angolo, attese un’esplosione più forte e poi, coperto dal rumore, abbatté uno dei militari tedeschi con un colpo all’arteria femorale della coscia: in quel modo sarebbe stato più facile intuire la provenienza dello sparo. Attese ancora, cogliendo l’occasione per mettere fuori gioco un secondo tedesco. Come aveva sperato, i soldati, non rendendosi conto che il fuoco arrivava dalle loro spalle, indietreggiarono verso di lui, confusi, pensando di essere presi di mira frontalmente. Pendergast si ritrasse rapido nel laboratorio per lasciarli passare. Poi, frugando nelle tasche di uno dei caduti, prese diverse granate e due caricatori pieni per lo Sturmgewehr.
Rifornito di munizioni, Pendergast tornò nel laboratorio, legò insieme le granate e fece un nodo intorno alle micce. Poi cercò un cavo sottile e tolse la sicura a tutte le bombe. Con infinita prudenza, tornò nel tunnel, ascoltando le pause tra le esplosioni e i colpi di fucile. Al momento giusto, scattò lungo il corridoio, fermandosi in un punto in cui il tetto era pieno di crepe che salivano dal pavimento. Portò fuori da un laboratorio adiacente una barella, vi salì, legò la serie di granate al soffitto mediante un passacavo e srotolò il filo, che teneva ferme le spolette delle bombe. Riportò la barella nella stanza e si acquattò sulla soglia, di nuovo in ascolto.
Un momento dopo lasciò partire una scarica dal fucile. «Sie sind hier!» gridò. «Schnell, venite qui!»
Alle urla fece seguire un’altra raffica. «Fate in fretta!»
I soldati tedeschi si mossero rapidi verso di lui, tenendosi bassi e sparando mentre si ritiravano, camminando all’indietro.
Pendergast sparò ancora, poi chiamò aiuto. «Hilfe! Hilfe!»
Mentre i nemici si avvicinavano, Pendergast tirò il filo, togliendo le spolette a tutte le granate, e si rifugiò nel laboratorio, chiudendo dietro di sé la porta d’acciaio. Una violenta esplosione risuonò nel corridoio. La finestrella andò in frantumi e anche la porta venne scardinata e scaraventata nella stanza. Pendergast, rannicchiato accanto alla parete posteriore, si alzò e corse fuori dal laboratorio, tra i blocchi di pietra che cadevano nel tunnel parzialmente crollato. Ancora immerso nella polvere soffocante, che gli toglieva visibilità, arrivò alla ridotta di Souza.
«Colonnello, sono Pendergast!» gridò in inglese. Poi, in portoghese, aggiunse: «Me aiude! Seguitemi, ci resta pochissimo tempo!».
Si voltò e tornò di corsa tra la povere accecante. Il colonnello e i quattro soldati rimasti lo seguirono.