Trentasei ore dopo

Thomas Purview arrivava immancabilmente nel suo studio legale all’alba, ma quella mattina trovò un uomo che lo attendeva già fuori dall’ufficio. Pareva appena arrivato. In realtà sembrava stesse cercando di aprire la porta, ma Purview pensò che fosse piuttosto improbabile. Mentre entrava, l’uomo si girò e iniziò a zoppicare verso di lui: una mano teneva un bastone, l’altra era tesa.

«Buongiorno» salutò l’avvocato stringendogli la mano.

«Be’, è tutto da vedere» rispose lo straniero con un accento del Sud. Era esile, quasi smunto, e non rispose al sorriso di circostanza di Purview. L’avvocato si vantava della sua abilità nel capire il problema leggendo l’espressione del cliente, ma quell’uomo era imperscrutabile.

«Ha bisogno di me?» chiese Purview. «Di solito è necessario prendere un appuntamento.»

«Non ho un appuntamento, ma si tratta di una questione urgente.»

A Purview si spense il sorriso. Tutti i clienti avevano una questione urgente.

«La prego, entri pure. Desidera un caffè? Carol non è ancora arrivata, ma mi ci vorrà solo un minuto per prepararlo.»

«Non prendo nulla, grazie.» L’uomo entrò nell’ufficio e lanciò un’attenta occhiata tutt’intorno, esaminando le pareti di libri, la fila di schedari.

«Prego, si sieda.» Solitamente, Purview amava leggere il «Wall Street Journal» tra le sette e le otto del mattino, ma non poteva mandar via un probabile cliente, di certo non in quel periodo di recessione.

L’uomo si accomodò su una delle sedie dello spazioso ufficio, mentre l’avvocato si sedette alla sua scrivania. «Come posso aiutarla?»

«Ho bisogno di alcune informazioni.»

«Di che tipo?»

L’uomo sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa. «Mi perdoni per non essermi presentato. Agente speciale Aloysius Pendergast, Fbi.» Prese il tesserino dalla tasca del cappotto e lo appoggiò sulla scrivania.

Purview lo fissò senza toccarlo. «È qui per un’indagine ufficiale, agente Pendergast?»

«Sono qui per un’indagine, sì.» Si fermò per guardarsi ancora intorno. «Ha mai sentito parlare di una proprietà situata al numero 299 di Old County Lane, a Ramapo, New York?»

Purview esitò. «Non mi dice niente. Ma mi sono occupato di molte transazioni riguardanti tenute di Nanuet e dell’area circostante.»

«La proprietà in questione è un vecchio magazzino, ora vuoto e a quanto sembra abbandonato. Il suo indirizzo figura accanto alla società a responsabilità limitata che detiene l’atto di questa proprietà: lei è l’avvocato che ha firmato la documentazione.»

«Capisco.»

«Voglio sapere chi sono i veri proprietari.»

Purview rifletté un istante. «Capisco» ripeté. «E ha un’ordinanza del tribunale che mi imponga di mostrarle quella documentazione?»

«No.»

Purview si concesse un sorrisino di superiorità giuridica. «Allora di certo lei, in qualità di agente federale, sa che non posso violare il segreto professionale fornendole quell’informazione.»

Pendergast si chinò in avanti. Il suo viso era così impassibile da essere inquietante. «Signor Purview, lei è nella posizione di farmi un grandissimo favore, per il quale sarà ben ricompensato. Eccone una prova.» Prese dalla tasca una busta che posò sulla scrivania, riprendendosi il tesserino.

Purview non riuscì a trattenersi: aprì la busta e vide che conteneva un fascio di banconote da cento dollari.

«Diecimila dollari» precisò l’agente.

Una grossa somma di denaro per rivelare semplicemente un nome e un indirizzo. Purview iniziò a chiedersi di cosa si trattasse: droga, o magari criminalità organizzata. O forse una truffa? Oppure era una trappola per lui, per indurlo a commettere un reato? Qualunque cosa fosse, non gli piaceva.

«Dubito che i suoi superiori vedrebbero di buon occhio il suo tentativo di corruzione. Può tenersi il denaro.»

Pendergast liquidò l’obiezione con un cenno. «Le sto offrendo una carota.» Tacque come a far intendere che c’era dell’altro.

Purview avvertì un brivido. «C’è una procedura per tutto, agente… Pendergast. Soddisferò la sua richiesta quando vedrò un’ordinanza che mi dice di farlo; non prima. A ogni modo, non prenderò i suoi soldi.»

Per un istante, l’agente non disse nulla. Poi, con un sospiro lievissimo – impossibile dire se fosse di scontento o di irritazione –, raccolse il denaro dal tavolo e lo ripose nella tasca interna del completo nero. «Mi dispiace per lei, allora» replicò a bassa voce. «La prego, mi ascolti con attenzione. Ho davvero pochissimo tempo. Non ho la voglia né la pazienza di discutere con lei di cavilli legali. Si è dimostrato un uomo onesto: meglio per lei. Ora verificheremo fino a che punto… sarà coraggioso. Posso assicurarle che lei mi consegnerà quella documentazione. L’unica cosa che resta da stabilire è quante umiliazioni dovrà sopportare prima di farlo.»

In tutta la sua vita da adulto, Thomas Purview non aveva mai permesso a nessuno di intimidirlo. Non aveva intenzione di cominciare adesso. Si alzò. «Se ne vada per favore, agente Pendergast, o chiamerò la polizia.»

Ma Pendergast non aveva alcuna intenzione di muoversi. «La documentazione che riguarda il magazzino in questione è relativamente vecchia» spiegò. «Almeno vent’anni. Non è disponibile in formato digitale: ho controllato. A ogni modo, molte altre informazioni sono disponibili se si ha un computer a disposizione. Volano attraverso la rete, signor Purview, basta allungare la mano e afferrarle. E ho una fonte che è molto abile nel carpire tali informazioni. Mi ha fornito un altro indirizzo di cui penso dovremmo parlare. Oltre al 299 di Old County Lane, intendo. È un indirizzo di particolare interesse.»

Purview afferrò il telefono e iniziò a comporre il 911.

«È il 129 di Park Avenue South.»

La mano si fermò a mezz’aria.

«Vede, signor Purview» proseguì Pendergast, «su internet non si trovano soltanto verbali e documenti. Ci sono anche immagini. Per esempio quelle delle telecamere di sicurezza, se si sa come accedervi.»

Pendergast prese un taccuino dalla tasca del completo. «Nelle ultime ore, la mia… fonte ha inviato un virus, usando un software di riconoscimento facciale con il suo viso. Ha trovato l’immagine in diversi luoghi, tra cui le telecamere di sicurezza di quell’indirizzo.»

Purview rimase in silenzio.

«Quei video la ritraggono in compagnia di una certa Felicia Lourdes, dell’appartamento 14-A. Una ragazza deliziosa, così giovane da poter essere sua figlia. E lei ne ha diverse. Di figlie, intendo. Esatto?»

Purview non disse nulla. Riagganciò.

«Nelle immagini della sicurezza vi baciate con passione in ascensore. Una scena commovente. E ce ne sono diverse. Deve essere vero amore, non è così?»

Ancora silenzio.

«Cosa diceva Hart Crane sull’amore? È “un fiammifero spento che scivola lungo un orinatoio”. Perché la gente corre simili rischi?» Pendergast scosse la testa con tristezza. «129 Park Avenue South. Un gran bell’indirizzo. Mi chiedo come faccia la signorina Lourdes a permetterselo. Con il suo misero stipendio da paralegale, intendo.» Pausa. «La persona che troverebbe quest’indirizzo particolarmente interessante naturalmente è sua moglie.»

Ancora silenzio.

«Sono un uomo disperato, signor Purview. E non esiterò a procedere immediatamente se lei non soddisfa la mia richiesta. In verità, in quel caso sarei costretto, nell’infelice gergo dei nostri tempi, a “infierire”.»

La parola rimase sospesa a mezz’aria.

Purview rifletté un momento. «Credo che adesso uscirò dal mio ufficio per una passeggiata di un quarto d’ora. Se, in quel lasso di tempo, qualcuno si introducesse nel mio ufficio e frugasse nel mio archivio, be’, non verrei mai a saperlo. Specialmente se i documenti in questione rimanessero esattamente al loro posto.»

Pendergast non si mosse mentre Purview raccoglieva la copia del «Wall Street Journal», si allontanava dalla sua scrivania e si avviava alla porta. Raggiunta la soglia, si voltò. «A ogni modo, la pregherei di non mettere tutto sottosopra: provi il terzo schedario, secondo cassetto dal basso. Un quarto d’ora, agente Pendergast.»

«Buona passeggiata, signor Purview.»

Due tombe
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