29

Il capitano Laura Hayward si affrettava lungo il corridoio centrale della scuola pubblica 32, diretta verso l’auditorium. Quell’autunno era stata registrata un’ondata di crimini e odio nei confronti dei senzatetto: numerose aggressioni e persino un caso in cui alcuni giovani violenti avevano dato fuoco a un barbone a Riverside Park. La Hayward era stata incaricata dal commissario di sensibilizzare gli studenti sulla situazione dei senzatetto e sulla realtà della vita nelle strade. Anche i senza fissa dimora sono persone era il suo messaggio. Nelle ultime settimane aveva parlato in cinque o sei scuole e la risposta degli alunni era stata gratificante. Sentiva di fare qualcosa di davvero utile; le piaceva ed era molto preparata sull’argomento. L’oggetto della sua tesi di master era stata la struttura sociale di una comunità di senzatetto di New York: aveva trascorso mesi a osservarli, ascoltando i loro problemi, provando a capire le loro storie, le motivazioni e le difficoltà. Negli ultimi anni era stata troppo impegnata con il lavoro di routine della polizia per far fruttare il suo master in sociologia, ma ora la sua preparazione era perfetta per affrontare quel compito.

Svoltando l’angolo, si sorprese di imbattersi in D’Agosta, che veniva nella sua direzione.

«Vinnie!» esclamò, evitando di baciarlo perché erano entrambi in servizio. «Cosa ci fai qui?»

«Cercavo te, in realtà» rispose lui. «Ero da queste parti. Volevo parlarti di una cosa.»

«Perché non lo hai fatto a colazione?» gli chiese. Lui aveva un’espressione turbata e un po’ colpevole. Qualcosa lo preoccupava e lei se n’era accorta già da qualche giorno. Ma non voleva mettergli fretta: doveva aspettare che lui fosse pronto ad aprirsi. E doveva cogliere l’occasione prima che cambiasse idea.

Laura diede un’occhiata all’orologio. «Devo cominciare la presentazione tra dieci minuti. Vieni, possiamo parlare nell’auditorium.»

D’Agosta la seguì lungo il corridoio. Sbucarono in uno spazio che sembrava uscito dagli anni Cinquanta, con una balconata e un ampio palco, che ricordava a Laura l’aula magna della sua scuola superiore dove ci si radunava per fare il tifo per le squadre, per le esercitazioni e per vedere i film. Era già mezzo pieno di studenti. Si sedettero nelle ultime file.

«Cosa succede?» chiese, voltandosi verso di lui.

Dopo un istante di silenzio, D’Agosta disse: «Si tratta di Pendergast».

«Perché non sono sorpresa?»

«Sono molto preoccupato per lui. Ha vissuto un’esperienza terribile e ora si comporta in maniera strana, persino per lui.»

«Raccontami» rispose la Hayward.

«Dopo la morte di sua moglie, si è ritirato nel suo appartamento e sono piuttosto sicuro che si stia curando da solo, non so se mi spiego… con roba forte.»

«Che tipo di roba?»

«Non so esattamente che tipo di droghe, ma ho la sensazione che si stia autodistruggendo, che abbia iniziato una corsa verso il suicidio. Ho seguito il tuo consiglio e gli ho dato il fascicolo del caso del killer degli hotel perché ci rimuginasse un po’. Sembra che lo abbia sconvolto. È passato dall’apatia all’ossessione. È comparso sulla scena del terzo delitto, ha mostrato le sue credenziali e ora è diventato il tormento dell’agente Gibbs. Te lo assicuro, quei due si scontreranno. Credo che Pendergast si comporti così perché è fuori di sé. Intendo dire, l’ho già visto punzecchiare e sfidare le persone, ma in passato c’è sempre stato un motivo valido.»

«Oh santo cielo. Forse la mia idea dopo tutto non era così buona.»

«Non ti ho raccontato la parte peggiore.»

«Di cosa si tratta?»

«La sua teoria sui delitti. È quantomeno bizzarra.»

La Hayward sospirò. «Cioè?»

Un’altra esitazione. «Crede che il killer degli hotel sia suo fratello Diogenes.»

La donna era perplessa. «Pensavo fosse morto.»

«Lo credono tutti. Il problema è che Pendergast non vuole spiegarmi perché pensa che l’assassino sia suo fratello. È tutto così illogico. Ho davvero paura che la morte di sua moglie l’abbia fatto impazzire.»

«Quali sono le prove, secondo lui?»

«Nessuna, che io sappia. Almeno, non le ha condivise con me. Ma onestamente non ne vedo. Il modus operandi è diverso, non c’è nulla che colleghi questo caso a suo fratello. E una ricerca a grandi linee nel database indica che lui è davvero scomparso ed è ritenuto morto. È folle.»

«E Singleton cosa pensa di questa teoria?»

«Questo è un altro problema.» Anche se lì nessuno avrebbe potuto ascoltarli, D’Agosta abbassò la voce. «Pendergast non vuole riferire a nessuno questa teoria. Non posso farne parola con Gibbs, con Singleton, con nessuno.»

La Hayward lo guardò, aprì bocca per rispondere E perché non me l’hai detto prima?, ma non lo fece. D’Agosta aveva un’aria così turbata. Ora le stava chiedendo un consiglio.

«Il problema è che, se ci fossero davvero prove che collegassero Diogenes al killer, lui e io saremmo obbligati a comunicarle. C’è sempre una possibilità che possano essere d’aiuto. Ma gli ho promesso di non dire nulla.» Scosse la testa. «Cristo santo, non so davvero cosa diavolo fare.»

Lei gli prese la mano con dolcezza. «Vinnie, è tuo dovere riferire qualsiasi tipo di informazione, per quanto improbabile. Sei il comandante della squadra.»

D’Agosta non rispose.

«So che Pendergast è tuo amico. So che ha passato un momento terribile. Ma qui non si tratta di amicizia. E non si tratta nemmeno di cosa sia meglio per la tua carriera. Si tratta di arrestare un pericoloso assassino che probabilmente colpirà ancora. Vinnie, devi fare la cosa giusta. Se Pendergast ha davvero informazioni importanti, devi convincerlo a parlare. E quando lo farà, devi rivelare ciò che ti dirà. È semplice.»

D’Agosta abbassò lo sguardo.

«Per quanto riguarda lui e Gibbs, sono fatti dell’Fbi. Lascia che se la vedano tra loro. Okay?» Gli strinse più forte la mano. «Ora devo andare a tenere quel discorso. Ne riparliamo stasera.»

«Okay.»

Gli lanciò un ultimo sguardo prima di dirigersi sul palco, dispiaciuta nel vederlo così tormentato.

Due tombe
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