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D’Agosta controllò il cellulare e vide che mancava un minuto all’una. Se ciò che aveva sentito sull’agente speciale Conrad Gibbs era vero, l’uomo sarebbe arrivato a breve.
Si sentiva a disagio. Gli unici contatti che aveva avuto con l’Fbi erano avvenuti tramite Pendergast: si rese conto che era peggio che essere completamente impreparati. I metodi di Aloysius, le sue azioni e la sua mentalità erano diversi, se non opposti, alle procedure standard dell’Fbi.
Diede un’occhiata al caffè di Starbucks e alle decine di ciambelle Krispy Kreme sistemate nel piccolo salotto del suo ufficio, poi guardò un’ultima volta l’orologio.
«Tenente D’Agosta?»
L’uomo che aspettava era lì, in piedi sulla soglia. D’Agosta si alzò sorridendo. La prima impressione fu buona. Era vero, l’agente speciale Gibbs corrispondeva allo stereotipo: camicia abbottonata, come da manuale, affascinante, tratti eleganti, un completo prêt-à-porter sul fisico snello, i capelli castani tagliati corti, le labbra sottili e il viso magro abbronzato grazie al precedente incarico in Florida; D’Agosta era stato fin troppo zelante nel raccogliere informazioni su di lui. Inoltre, l’agente aveva un’espressione aperta e cordiale; un atteggiamento neutro e privo di senso dell’umorismo era molto meglio di uno saccente.
Si diedero la mano: la stretta di Gibbs era ferma ma non troppo forte, rapida, essenziale. D’Agosta passò dall’altra parte della scrivania e condusse l’agente nel salotto, dove si sedettero entrambi.
Chiacchierarono amabilmente del tempo e delle differenze tra New York e la Florida. D’Agosta si informò sull’ultimo caso dell’agente, che si era concluso con un grande successo: un serial killer che disseminava brandelli delle sue vittime tra le dune. Gibbs era affabile e intelligente. D’Agosta apprezzava molto la prima qualità: oltre a rendere più semplice il lavoro, avrebbe fatto un buon effetto sulla sua squadra, sebbene la maggior parte dei membri fossero tipici sbruffoni newyorkesi.
L’unico problema era che, mentre Gibbs parlava del suo caso, cominciava a suonare sospettosamente prolisso. E non mangiava nulla… mentre D’Agosta avrebbe dato qualsiasi cosa per un Caramel Kreme Crunch.
«Come probabilmente sa, tenente» continuò Gibbs, «a Quantico teniamo costantemente aggiornato un database completo sui serial killer, come parte del programma del Centro nazionale per l’analisi dei crimini violenti. Viene definito serial killer un assassino che prende di mira estranei, che ha ucciso tre o più persone per motivi legati alla gratificazione psicologica, e che di norma lascia una firma riconoscibile in ogni omicidio.»
D’Agosta annuì.
«Fino a questo momento abbiamo solo due vittime, dunque non corrisponde alla definizione, non ancora almeno. Ma penso che concordiamo sul fatto che ci sia un’alta probabilità che seguano altri omicidi.»
«Certamente.»
Gibbs estrasse una sottile cartellina dalla valigetta. «Quando il capitano Singleton ci ha contattato ieri mattina, abbiamo fatto una ricerca sommaria e rapida nel nostro database.»
D’Agosta annuì. Le cose si facevano interessanti.
«Volevamo scoprire se ci fossero altri serial killer che hanno lasciato porzioni del proprio corpo sulla scena, che hanno un simile modus operandi, eccetera.» Posò la cartellina sul tavolino da caffè. «Naturalmente questi sono dati preliminari, ma possiamo tenerli per noi. Riassumerò, se non le dispiace.»
«Naturalmente.»
«Abbiamo un killer organizzato. Molto organizzato. È istruito, facoltoso, è a suo agio negli ambienti lussuosi. Il modus operandi dello smembramento non è insolito come si potrebbe pensare: decine di assassini seriali corrispondono a quel profilo, ma di norma portano via le parti del corpo. Questo non lo fa. Anzi, lascia le proprie sulla scena: una modalità unica.»
«Interessante» commentò D’Agosta. «Qualche idea?»
«Il capo della nostra unità di psicologia forense sta seguendo quella pista. Ritiene che l’assassino si identifichi con la vittima: è come se si stesse uccidendo in maniera seriale. È un individuo che prova odio per se stesso, che quasi certamente ha subìto abusi sessuali e psicologici da bambino, a cui hanno detto che era un buono a nulla e che sarebbe stato meglio se non fosse mai nato… quel genere di cose.»
«Ha senso.»
«L’aggressore in apparenza è normale. Non ha inibizioni e direbbe qualsiasi cosa per ottenere ciò che vuole, è molto convincente, sa essere affascinante e persino carismatico. Nel profondo, tuttavia, è un individuo fortemente disturbato, del tutto incapace di provare empatia.»
«Perché uccide?»
«È il punto cruciale della questione: è molto probabile che uccida per una gratificazione sessuale.»
«Sessuale? Ma non è stato rinvenuto liquido seminale e non sembra esserci stata violenza carnale. La seconda vittima era un uomo anziano.»
«Esatto. Ma lasci che le spieghi una cosa. Il nostro database è costituito su quelli che chiamiamo dati aggregati e correlazioni. Quanto le sto dicendo su questo assassino si basa su uno stretto grado di somiglianza con decine di altri con profilo e modus operandi simili. Il database accoglie i risultati ottenuti nel corso degli interrogatori di oltre duemila serial killer che hanno risposto a domande sul perché e su come abbiano compiuto quel tipo di azioni. Non è infallibile, ma ci va parecchio vicino. Tutto indica che questo omicida tragga una soddisfazione sessuale dai propri crimini.»
D’Agosta annuì, ma nutriva ancora dubbi.
«Per continuare: i delitti hanno una componente di gratificazione sessuale. Risulta dall’eccitazione provocata da due fattori: la sensazione di controllo e potere sulla vittima e la presenza del sangue. Il sesso della vittima è poco rilevante. La mancanza di liquido seminale può significare soltanto che il killer non ha raggiunto l’orgasmo o l’ha fatto mentre era vestito. L’ultima opzione è la più comune.»
D’Agosta si mosse inquieto sulla sedia. La ciambella non sembrava più tanto appetitosa, adesso.
«Un altro elemento comune in questo tipo di omicidi seriali è la forte componente rituale. L’assassino si sente gratificato uccidendo nello stesso modo, con la stessa sequenza, usando lo stesso coltello e infliggendo la stessa mutilazione a ogni cadavere.»
D’Agosta annuì di nuovo.
«Ha un lavoro, probabilmente buono. Questo tipo di killer di norma agisce soltanto in un ambiente che conosce bene; potrebbe essere un ex impiegato, oppure, più probabilmente, un ex ospite di entrambi gli hotel.»
«Stiamo già confrontando la lista degli ospiti e degli impiegati con la descrizione dell’assassino.»
«Eccellente.» Gibbs inspirò a fondo. Era di certo prolisso, ma D’Agosta non l’avrebbe fermato. «È molto abile con il coltello, il che significa che potrebbe usarlo per lavoro o semplicemente essere un appassionato. Ha molta fiducia in se stesso, è arrogante. È un’altra caratteristica di questo tipo di assassini. Non gli importa di essere ripreso dalle telecamere: si fa beffe della polizia e pensa di poter manovrare le indagini. Ecco il motivo dei messaggi.»
«Ci stavo riflettendo: avete delle teorie su questo aspetto?»
«Come dicevo, sono provocazioni.»
«Secondo lei a chi sono dirette?»
Un sorriso comparve sul volto di Gibbs. «A nessuno in particolare.»
«Buon compleanno? Pensa che non fosse rivolto a nessuno?»
«No. Questi serial killer si prendono gioco della polizia, ma non prendono di mira, di norma, un singolo investigatore, in particolare all’inizio. Siamo tutti uguali per lui: un nemico senza volto. Il compleanno è probabilmente qualcosa di generico o potrebbe essere un riferimento a qualsiasi anniversario, magari proprio quello del killer. Un’altra pista che potreste seguire.»
«Buona idea. Ma non è possibile che quei messaggi siano indirizzati a qualcuno che non è un poliziotto?»
«Altamente improbabile.» Gibbs fece un cenno verso la cartellina. «C’è dell’altro: l’aggressore è stato abbandonato dalla madre, vive da solo, ha relazioni insoddisfacenti con l’altro sesso oppure, se è omosessuale, con il suo stesso sesso.
Infine, è successo qualcosa di recente che l’ha attivato: è stato respinto dalla persona di cui è innamorato, ha perso il lavoro, o – questa opzione è la più probabile – sua madre è morta.»
Gibbs si appoggiò allo schienale con un’espressione soddisfatta sul viso.
«Questa è la vostra analisi preliminare?» chiese D’Agosta.
«La renderemo molto più dettagliata non appena avremo maggiori informazioni. Il database è una risorsa potente.» Gibbs fissò D’Agosta negli occhi. «Devo dire, tenente, che avete fatto molto bene a sottoporci la questione. L’unità di analisi comportamentale è la migliore al mondo. Le garantisco che lavoreremo a stretto contatto, ma non saremo invadenti, rispetteremo i suoi uomini e condivideremo ogni informazione in tempo reale.»
D’Agosta annuì. Non poteva chiedere di meglio.
Quando Gibbs se ne fu andato, D’Agosta rimase a lungo seduto sulla poltrona. Mentre masticava pensieroso la ciambella, rifletté su quanto aveva detto Gibbs riguardo al killer e alle sue motivazioni. Aveva senso. Forse troppo.
Pendergast gli sarebbe stato davvero utile in quel momento.
Scosse la testa, terminò la sua ciambella, si leccò le dita e, dimostrando grande forza di volontà, richiuse la scatola.