Trenta ore dopo

Mezzanotte. Pendergast sedeva nella sua Rolls-Royce fuori dalla casa del dottor Allerton, con il motore acceso.

Era stato fortunato: quel particolare tipo di granito si trovava soltanto in una zona dove sorgeva anche una cava. La cava era di proprietà della Reliance Sand and Gravel Company, con sede appena fuori da Ramapo, New York. La società gestiva la triturazione della ghiaia e riforniva un’area che comprendeva gran parte della contea di Rockland. Usando il portatile per visitare il sito della Reliance, Pendergast era riuscito a individuare l’area di maggior densità dei clienti della ditta, che annotò con precisione su una mappa della contea.

Poi si concentrò sull’analisi del fango effettuata dal dottor Allerton. Era in gran parte composto da un insolito tipo di argilla, identificata come allanite micacea stagionata, fortunatamente non comune nella regione, sebbene – secondo il geologo – diffuso nel Québec e nel Vermont del Nord. Allerton aveva fornito a Pendergast una mappa della sua distribuzione geografica, che aveva scaricato da una rivista online.

Pendergast la confrontò con l’area di diffusione della ghiaia. Si sovrapponevano soltanto in una zona di poco meno di un chilometro quadrato, a nordest di Ramapo.

Consultò Google Earth e individuò le coordinate. Zoomando fino a raggiungere la massima risoluzione, esaminò il territorio: una gran parte era ricoperta da boschi, situati lungo il confine dello Harriman State Park. Un quartiere periferico occupava il resto della zona, ma si trattava di costruzioni recenti e tutte le strade e i vialetti sembravano accuratamente lastricati. In altri punti vide alcuni sentieri sterrati, edifici e fattorie, ma nessun terreno che apparisse ricoperto di ghiaia. Infine scorse una struttura che sembrava promettente: un grande magazzino isolato. Aveva un lungo vialetto e un piccolo parcheggio fangoso su cui sembrava essere stata sparsa della ghiaia chiara.

Pendergast chiuse il computer, lo ripose e partì facendo stridere le gomme, diretto verso New Jersey Turnpike.

Novanta minuti dopo, parcheggiò la Rolls su un lato della strada, a ottocento metri dall’impianto di smaltimento rifiuti di Rockland County, in un luogo alberato poco distante dal magazzino. Attraverso gli alberi spogli, pallidi al chiaro di luna, riuscì a distinguere l’edificio, illuminato solo da una lampada di fronte alla pesante porta metallica di lamiera ondulata. Controllò la struttura per una mezz’ora. Nessun movimento: sembrava abbandonata.

Dopo aver preso una torcia dal sedile posteriore, ma senza averla accesa, scivolò fuori dall’auto e si avvicinò silenziosamente, nascondendosi tra gli alberi. Fece il giro dell’edificio con prudenza. L’unica finestra era oscurata.

Pendergast si accucciò, con una smorfia di dolore. Tirò fuori dalla tasca il campione di ghiaia e, alla luce della torcia, la confrontò con quella del vialetto. Corrispondeva perfettamente. Si mise sul dito una piccola quantità del fango che c’era sotto la ghiaia, e lo sfregò tra il pollice e l’indice. Perfetto anch’esso.

Percorse rapidamente il perimetro del magazzino, si addossò alla parete ondulata, poi si fece strada fino all’ingresso principale. Dall’esterno sembrava un edificio in disuso. Eppure, per essere una struttura tanto malandata, il lucchetto sull’unica porta pareva nuovo e costoso.

Pendergast lo sollevò, passandoci sopra l’altra mano con un gesto che somigliava a una carezza. Non si aprì subito: dovette prima forzarlo con un piccolo cacciavite e una chiave a urto. Lo sganciò e, con la pistola spianata, socchiuse la porta e sbirciò all’interno. Oscurità e silenzio. Poi la aprì un po’ di più, scivolò dentro il magazzino e la richiuse dietro di sé.

Per circa cinque minuti non si mosse, ma puntò la torcia intorno a sé, studiando il pavimento, le pareti e il soffitto. Il magazzino era quasi completamente spoglio, con il suolo di cemento, le pareti metalliche, gli scaffali vuoti lungo il perimetro. Sembrava non offrire indizi, proprio come il taxi bruciato.

Percorse lentamente il perimetro dell’interno, fermandosi ogni tanto per esaminare qualcosa che attirava la sua attenzione: raccoglieva frammenti, scattava una foto, riempiva bustine con campioni di prove quasi invisibili. Nonostante il magazzino apparisse completamente spoglio, sotto il suo sguardo indagatore iniziò a emergere una storia, anche se solo abbozzata.

Dopo un’ora, Pendergast ritornò alla porta chiusa del magazzino. Inginocchiandosi, sparse a terra una decina di bustine sigillate di plastica trasparente, ognuna conteneva un frammento: limatura metallica, vetro, olio prelevato da una macchia sul cemento, vernice secca, plastica. I suoi occhi si soffermarono su ogni campione, creando un’immagine.

Il magazzino era stato utilizzato come nodo di scambio. A giudicare dalle condizioni delle macchie oleose sul pavimento, un tempo doveva essere stato usato spesso. Più di recente, tuttavia, aveva ospitato soltanto due veicoli. Uno, stando alle deboli tracce del battistrada sul cemento, Goodyear di misura 215/75-16, era la Ford Escape usata per la fuga. Alcuni schizzi gialli su una parete, e le tracce di una vernice spray su un pezzo di legno gettato in un angolo, indicavano anche che quello era il luogo in cui la Escape era stata trasformata in un taxi newyorkese, dotato persino di una licenza falsa.

L’altro veicolo era più difficile da identificare. I segni lasciati dagli pneumatici erano più larghi di quelli della Escape ed erano molto probabilmente di gomme Michelin. Potevano forse appartenere a una berlina europea di lusso, come una Audi A8 o una    750. All’interno della porta del magazzino si vedeva una traccia leggerissima di vernice, forse lasciata da un urto recente; Pendergast trasferì con attenzione le particelle di pittura in un’altra bustina con un paio di pinzette. Era vernice per automobili, metallizzata e di un colore insolito: rosso cupo.

Mentre esaminava la vernice, i suoi occhi colsero, nello stretto binario della porta scorrevole, una piccola perla di fiume.

Il suo cuore si fermò.

Dopo un istante, Pendergast si riprese e la raccolse con le pinzette. Guardandola, riuscì a visualizzare ciò che era successo più o meno ventiquattr’ore prima: il taxi che entrava in quel magazzino abbandonato. A bordo dovevano esserci quattro persone: l’autista, due uomini che indossavano tute da jogging, e una passeggera recalcitrante, Helen. Lì doveva essere stata trasferita nell’auto straniera rosso cupo. Mentre si preparavano a partire, doveva esserci stata una colluttazione. Lei aveva tentato di fuggire, spalancando la portiera dell’auto – doveva essere quello il motivo delle tracce di vernice vicino all’ingresso – e per tenerla ferma dovevano averle accidentalmente strappato la collana, spargendo le perle sul sedile del passeggero e, senza dubbio, sul pavimento del magazzino. Avevano imprecato, forse l’avevano punita, e si erano affrettati a raccogliere le perle sparse sul cemento.

Quella che Pendergast teneva stretta tra le pinzette doveva essergli sfuggita.

Con Helen prigioniera nella seconda auto, i veicoli dovevano aver preso strade diverse: il taxi contraffatto era stato ridotto in cenere a Irvington, il veicolo rosso si era diretto verso una destinazione ignota.

Pendergast, ancora accucciato, restò immerso nelle sue riflessioni per altri dieci minuti. Poi, alzandosi a fatica, uscì dal magazzino, richiuse il lucchetto dietro di sé e senza far rumore tornò alla sua auto.

Due tombe
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