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perplessa.
Quando spensi, apparve sollevata.
"Meno male, sei sempre tu, Kaori. Non riuscivo a capire cosa ti era successo" disse.
Quando lui mi telefonò al negozio, ero nel magazzino e stavo aprendo alcuni pacchi arrivati da poco.
Poiché mia zia è elegante in tutto, anche il magazzino non era un deposito buio, ma una stanza luminosa arredata in modo essenziale. Le pareti erano ricoperte di scaffalature fino al soffitto, costruite in modo che si potesse prendere con facilità qualsiasi merce. C'era anche una macchina per il caffè espresso. Mentre ne bevevo uno, allungato con un po' d'acqua, tiravo fuori dalle scatole gli articoli che avevo comprato, ci mettevo i prezzi ricavati dai miei calcoli, e prendevo degli appunti per capire quali erano le merci attualmente in deposito.
Le cose che avevo acquistato mi suscitavano già nostalgia. Nell'aprire le scatole, si sprigionava l'odore degli aeroporti italiani. Questo bastava a farmi rivivere la sensazione di camminare su quel pavimento, il ticchettio dei miei passi. Rivedevo persino le grandi pupille nere dei cani antidroga.
Ogni cosa mi ricordava un momento: Ah, questo l'ho comprato in quella strada quel giorno che era tutto nuvoloso... pensavo. Al negozio ogni tanto arrivava qualche cliente, e la commessa part-time aveva l'aria molto indaffarata. Di solito offrivamo il caffè alle clienti che si trattenevano a lungo e facevano molti acquisti, o alle persone che avevano appuntamento con la zia, e quel giorno la ragazza veniva continuamente a preparare il caffè per portarlo agli ospiti. Era piacevole avere tanto movimento al negozio.
Stavo lottando nel tentativo di sistemare i materiali di imballaggio riducendone il volume, quando squillò il telefono.
"Kaori, c'è una telefonata per te, da un certo signor Shinoda" disse la commessa.
Shinoda? Chi poteva essere? Forse quel signore della bottega di oreficeria a Firenze? Oppure quell'artigiano che costruiva violini a Cremona? Mentre cercavo rapidamente di passare in rassegna i giapponesi che avevo incontrato in quei posti, risposi al telefono.
"Sono Morisawa" dissi.
"Io..." disse una voce maschile.
"Chiedo scusa, ma lei è la signorina che qualche giorno fa era sull'aereo