32. La fine del mondo
L'ombra morente.
Quando spinsi la porta della baracca del Guardiano, lo vidi che stava spaccando legna sul retro.
- Pare che verrà giù una bella nevicata, - disse senza posare l'ascia che teneva in mano. - Stamattina sono morte quattro bestie. Domani ne moriranno molte di più. Quest'anno l'inverno è più duro del solito.
Io mi tolsi i guanti e mi accostai alla stufa per scaldarmi le dita. Il Guardiano raccolse in un fascio la legna tagliata piccola e la gettò nella legnaia, poi chiuse la porta sul retro e riappese l'ascia al muro. Anche lui venne a scaldarsi le mani di fianco a me.
- In ogni caso, si direbbe che d'ora in poi i corpi delle bestie li dovrò bruciare da solo. Finora l'aiuto di chi lei sa mi aveva alleggerito il lavoro, ma cosa ci posso fare? È il mio compito.
- Sta male, la mia ombra?
- Non si può dire che stia bene, - rispose il Guardiano facendo ruotare la testa sulle spalle per rilassare i muscoli. - No, per niente bene. Sono tre giorni che non si alza. Io ho cercato di curarla, ho fatto del mio meglio, ma ognuno ha la sua durata di vita, bisogna rassegnarsi. C'è un limite alle capacità delle persone.
- Posso vederla?
- Sì, sì, certo. Cerchi di non superare la mezz'ora, però. Tra mezz'ora devo andare a bruciare le bestie morte.
Feci un cenno di assenso.
Il Guardiano staccò dal muro un mazzo di chiavi, e con una di esse aprì l'inferriata che dava accesso al piazzale delle ombre. Poi precedendomi l'attraversò a grandi passi, aprì la porta della casupola e mi fece entrare. L'interno della costruzione era quasi vuoto, senza un mobile, il pavimento di nudi e gelidi mattoni. Dagli interstizi della finestra entrava il vento invernale, l'aria sembrava doversi congelare da un momento all'altro. Pareva di essere in un igloo.
- Non è colpa mia, sa, - disse il Guardiano come scusandosi. - Non è per mio piacere che ho chiuso la sua ombra qui dentro. È la regola, che le ombre vengano fatte vivere in questo posto, io seguo solo la regola. Comunque la sua ombra è stata ancora fortunata. Nei momenti peggiori ce ne sono due o tre insieme.
Rispondere non serviva a nulla, così annuii in silenzio. Non avrei mai dovuto abbandonare la mia ombra in quel luogo.
- La sua ombra sta qua sotto. Ci vada, ci vada. La cantina conserva ancora un po' di calore. C'è soltanto un po' di puzza -. Così dicendo il Guardiano andò in un angolo della stanza e aprì una porta scorrevole di legno scuro e umido. Al di là non c'erano dei gradini, ma una semplice scala a pioli. Lui ne scese alcuni, poi mi fece cenno con la mano di seguirlo. Obbedii, dopo aver scosso la neve dal mio cappotto.
Arrivato nella stanza sotterranea, immediatamente un tanfo di orina ed escrementi mi prese al naso. Cambiare l'aria lì dentro era impossibile, non c'erano finestre. La stanza non era più grande di un ripostiglio, e il letto ne occupava un terzo. Vi era sdraiata sopra la mia ombra, estremamente dimagrita, col viso rivolto verso di me. Sotto il letto si vedeva un pitale di porcellana. C'era un vecchio tavolo semidistrutto sul quale ardeva una vecchia candela, l'unica fonte di luce e di calore. Il pavimento era di nuda terra, e l'aria era satura di un'umidità gelida che penetrava nelle ossa. La mia ombra, assolutamente immobile, si era tirata la coperta fin sotto le orecchie e mi guardava con uno sguardo spento. Aveva ragione il Colonnello, non ne aveva per molto.
- Be', io vado, - mi disse il Guardiano con l'aria di non sopportare il cattivo odore. - Vi lascio soli, potete dirvi quello che vi pare. Tanto ormai la sua ombra non ha più la forza di riattaccarsi a lei.
Quando il Guardiano si fu allontanato, la mia ombra restò qualche secondo in attesa, poi mi fece cenno di avvicinarmi.
- Scusa, potresti mica salire a vedere se il Guardiano sta lì ad ascoltare? - mi chiese sussurrando.
Io annuii, risalii la scala a pioli, aprii la porta e mi guardai intorno: non si vedeva nessuno. Tornai giù.
- Se n'è andato, - dissi.
- Ti devo parlare, - fece lei. - Non sto affatto male come sembra. È tutta una messinscena per ingannare il Guardiano. È vero che fisicamente sono indebolita, ma il fatto di vomitare, di non riuscire ad alzarmi, è solo una finta. Sono perfettamente in grado di alzarmi e camminare.
- Cioè hai intenzione di scappare?
- È evidente. Altrimenti perché farei tutto questo? In questo modo ho guadagnato tre giorni. Ma entro tre giorni dobbiamo scappare. Se aspetto oltre, non mi reggerò più sulle gambe per davvero. L'aria qui sotto è mortifera, fa un freddo cane, che ti penetra nelle ossa. A proposito, fuori che tempo fa?
- Nevica, - dissi infilando le mani nelle tasche del cappotto. - Le notti sono ancora peggio, fa un freddo polare.
- Più nevica, più bestie muoiono. E più bestie muoiono, più aumenta il lavoro del Guardiano. Ce ne andremo mentre lui è occupato a bruciare i cadaveri nel bosco di meli. Tu prenderai il mazzo di chiavi che è appeso al muro, aprirai il recinto, e scapperemo insieme.
- Dal cancello?
- No, non dal cancello. È chiuso a chiave dall'esterno, e anche se riuscissimo a uscire di lì, il Guardiano ci riacchiapperebbe in un baleno. E nemmeno scaleremo la muraglia. Quella possono superarla solo gli uccelli.
- E allora da dove scapperemo?
- Fidati di me. Ho messo a punto un piano perfetto. Ho raccolto un sacco di informazioni su questo posto. Ho studiato la mappa disegnata da te fino a consumarla, e tante cose me le ha dette il Guardiano stesso. È convinto che ormai non scapperò più, e mi ha spiegato gentilmente come funziona la città. Grazie a te, che hai fatto in modo che allentasse l'attenzione. Ci è voluto più tempo del previsto, ma il piano in sé sta procedendo bene. Come ha detto il Guardiano, ormai non ho più la forza spirituale di riattaccarmi a te, ma una volta fuori di qui resusciterò, e allora torneremo insieme. Io non dovrò morire in questo posto assurdo, tu ritroverai i tuoi ricordi e tornerai a essere quello di prima.
Io guardavo la fiamma della candela senza dire nulla.
- Cosa c'è, cosa ti succede? - chiese la mia ombra.
- E com'ero, prima? - risposi.
- Ehi, piantala! Non avrai mica esitazioni, adesso?
- Invece sì. Certo che esito. Prima di tutto non mi ricordo nemmeno come fossi prima. È davvero un mondo nel quale vale la pena di tornare, un me stesso che vale la pena di ritrovare?
La mia ombra fece per dire qualcosa, ma io alzai una mano a fermarla.
- Aspetta un momento! Lasciami parlare sino alla fine. Ho dimenticato com'ero nella mia vita precedente, ma il mio io attuale ha incominciato a provare affetto per questa città. La ragazza che ho conosciuto alla biblioteca mi attrae, e anche il Colonnello è una brava persona. Mi piace guardare le bestie; l'inverno è rigido, ma nelle altre stagioni il paesaggio è bello. Qui nessuno lotta, nessuno aggredisce nessuno. La vita è frugale, ma a suo modo piena, soddisfacente, siamo tutti uguali, qui. Nessuno parla male degli altri, nessuno ruba. Tutti lavorano, e ognuno è contento di farlo. Si lavora per il solo gusto di lavorare, non si viene sfruttati né maltrattati da nessuno. Non c'è invidia. Non ci sono lamentele né odio.
- E non esistono il denaro, la proprietà o la posizione sociale, - continuò la mia ombra. - Né processi, né malattie, e soprattutto non si invecchia, né si deve temere la morte. Non è così?
Feci cenno di sì.
- Tu cosa ne pensi? - chiesi. - Quali ragioni ho per voler lasciare questa città?
- Già, - fece la mia ombra tirando fuori una mano da sotto la coperta e strofinandosi le labbra secche. - Quello che dici non è sconclusionato. Se esistesse una tale città, sarebbe la realizzazione dell'utopia. Non avrei nulla in contrario. Potresti fare come ti piace. Io sarei d'accordo e mi lascerei morire. Ma hai dimenticato alcune cose. Cose molto importanti.
A quel punto la mia ombra fu scossa dalla tosse. Aspettai che l'accesso passasse.
- L'ultima volta che ti ho visto, ti ho detto che in questa città c'è qualcosa di innaturale, di sbagliato. Che è completa nella sua innaturalezza ed erroneità. Tu ora mi hai appena parlato della sua completezza e della sua perfezione. Allora io ti parlo della sua innaturalezza e della sua erroneità. Ascoltami bene, per favore. Prima di tutto, e questo è il punto principale, la perfezione non esiste. Così come non esiste il moto perpetuo, te l'ho già detto l'altra volta. L'entropia normalmente è espansione. Dov'è lo sbocco di questa città? È vero, questa gente (be', a eccezione del Guardiano), è del tutto inoffensiva, senza odio, senza avidità. Tutti sono soddisfatti e vivono in pace. Come pensi che sia possibile? È perché non hanno il cuore.
- Questo lo so bene, - dissi.
- La perfezione di questa città è basata sul fatto che i suoi abitanti non hanno sentimenti. Avendo perso il cuore, ogni essere è chiuso in un tempo allungato all'infinito. Per questo nessuno invecchia, nessuno muore. Innanzitutto noi ombre veniamo staccate dal corpo che ci genera e lasciate morire. Una volta morte noi ombre, non ci sono grossi problemi. Basta solo schiumare quella modesta spuma di sentimenti che ogni giorno si forma.
- Schiumare?
- Di questo ti parlerò dopo. Prima di tutto il problema del cuore. Hai detto che in questa città non ci sono conflitti, non c'è odio, non c'è avidità. Il che è una cosa magnifica. Se ne avessi l'energia farei un bell'applauso. Me se non ci sono tutte queste brutte cose, significa che non c'è nemmeno il loro contrario. La gioia, la felicità, l'amore. Se c'è la delusione è perché c'è la speranza, se c'è la tristezza è perché c'è la sua controparte, la gioia. Non esiste da nessuna parte la felicità senza delusione. Questa è la natura di cui parlo io. E poi considera l'amore. Anche riguardo a quella ragazza della biblioteca di cui parli. È probabile che tu l'ami. Ma è un sentimento che non può avere sbocchi. Perché lei non ha un cuore. È una persona senza cuore è semplicemente un'illusione che cammina. Che senso ha riuscire ad avere una persona del genere? Desideri veramente una tale vita in eterno? Diventare anche tu un'illusione? Se adesso io muoio, tu diventerai uno di loro e non potrai andartene mai più da questa città.
Un silenzio freddo e opprimente riempì per qualche momento la stanza. La mia ombra tossì ancora più volte.
- Però io non voglio lasciarla qui, quella ragazza, - dissi. - Qualunque cosa lei sia, io la amo e la desidero. Non posso ingannare il mio cuore. Se adesso scappo, dopo lo rimpiangerò. Una volta uscito di qui, non ci potrò più tornare.
- Non ci posso credere, - disse la mia ombra alzandosi a sedere sul letto e appoggiandosi alla parete. - Che fatica convincerti! Conoscendoti da tanto tempo, so quanto tu sia cocciuto. Ma che tu ora venga a creare certe complicazioni in una situazione d'emergenza come questa! Cosa intendi fare, dunque? Se vuoi dire che dobbiamo scappare di qui tutti e tre, tu, io e quella ragazza, scordatelo! Una persona senza ombra non può vivere fuori di qui.
- Questo lo so. Sto solo dicendo che potresti provare a scappare solo tu. Io ti aiuto.
- No, ancora non hai capito, - rispose la mia ombra sempre appoggiata alla parete. - Se io scappo lasciandoti qui, ti abbandono in una situazione disperata. Me l'ha spiegato bene il Guardiano. Le ombre, tutte, devono morire nella città. Anche quelle che ne sono state cacciate ci tornano per morire. Un'ombra che non sia morta qui, per quanto defunta, si lascia dietro una morte incompleta. Insomma, vivresti in eterno tenendoti dentro il cuore. Ma in fondo ai boschi. Nei boschi vivono le persone che non sono riuscite a eliminare definitivamente la loro ombra. Verresti confinato lì, e lì vagheresti in eterno con tutti i tuoi ricordi. Li conosci i boschi?
Feci cenno di sì.
- E non potresti portare con te la ragazza, - continuò la mia ombra. - Perché lei è perfetta. Non ha il cuore. Le persone perfette vivono nella città. Non nei boschi. Saresti solo, dunque che senso avrebbe restare qui?
- E dove va il cuore delle persone?
- Scusa, ma non sei il Lettore di Sogni? - mi chiese la mia ombra con aria sconcertata. - Come fai a non saperlo?
- Be', non lo so.
- Allora te lo spiego io. Il cuore viene portato fuori dalla città dalle bestie. Questo volevo dire con «schiumare». Le bestie vanno in giro ad assorbire i sentimenti della gente e li portano nel mondo esterno. E quando viene l'inverno muoiono con l'identità che si portano dentro. Non è il rigore dell'inverno né la fame a ucciderle. È il peso dell'identità che impone loro la città. Poi in primavera nascono i piccoli. Tanti quante sono le bestie morte. E quando crescono a loro volta prendono su di sé l'identità espulsa dalle persone e poi muoiono. Questo è il prezzo della perfezione. Che senso ha una perfezione così? Una perfezione che si mantiene scaricando tutto addosso ai più deboli e indifesi?
Io mi guardavo la punta delle scarpe, senza dire nulla.
- Quando le bestie muoiono, il Guardiano taglia loro la testa, - continuò la mia ombra. - Perché lì dentro è contenuta tutta la loro identità. Le teste vengono ripulite bene, messe per un anno sottoterra e, quando la loro forza è al lumicino, portate sugli scaffali della biblioteca. A quel punto interviene il Lettore di Sogni che con le sue mani libera nello spazio la forza residua. Il ruolo di Lettore di Sogni - cioè tu - tocca a una persona appena arrivata in città, la cui ombra non è ancora morta. Le identità lette dal Lettore di Sogni vengono assorbite dall'aria, e si dissolvono. Questo sono i vecchi sogni. Tu funzioni come un cavo a terra. Capisci cosa voglio dire?
- Sì, certo, - dissi.
- Quando la sua ombra muore, il Lettore di Sogni smette di esercitare la sua funzione e si integra alla città. In questo modo la città continua a percorrere in eterno il circolo della perfezione. Le parti imperfette le scarica addosso a esseri imperfetti, e vive prendendo per sé solo il meglio. Pensi che sia una cosa giusta? È un mondo vero, questo? È così che devono andare le cose? Prova un po' a vedere la cosa dal punto di vista degli esseri deboli e imperfetti. Dal punto di vista delle bestie, delle ombre, della gente che vive nei boschi.
Ero rimasto a guardare la fiamma della candela tanto a lungo che gli occhi mi facevano male. Mi tolsi gli occhiali e col dorso della mano mi asciugai le lacrime che mi colavano.
- Vengo domani alle tre, - dissi. - Hai ragione tu. Questo non è un posto per me.