5. Il paese delle meraviglie
Calcoli - Evoluzione - Libido.
Il vecchio tornò su per ridare il suono alla nipote che aveva lasciato afona e io mi rimisi in silenzio ai miei calcoli, sorseggiando una tazza di caffè.
Non saprei dire con precisione per quanto tempo lui si assentò. Avevo regolato il mio orologio digitale in modo che l'allarme suonasse a cicli alternati - un'ora / trenta minuti, un'ora / trenta minuti - e su quel ritmo regolavo lavoro e riposo. Avevo spento il quadrante dell'orologio per non vederlo: preoccuparmi del tempo avrebbe solo intralciato i calcoli. Sapere che ore fossero non aveva alcuna relazione con quello che stavo facendo, il mio lavoro inizia quando incomincio a calcolare e termina quando finisco. L'unica misura temporale di cui abbia bisogno è un ciclo alternato di un'ora / trenta minuti.
Durante l'assenza del vecchio feci un paio di pause, o forse tre, durante le quali mi distesi sul divano a pensare ai fatti miei, andai al gabinetto, eseguii delle flessioni sulle braccia. Il divano era comodissimo. Né troppo duro né troppo soffice. Anche il cuscino che mi misi sotto la testa aveva la consistenza ideale. Ogni volta che mi reco da qualche parte per effettuare dei calcoli, durante la pausa mi sdraio sempre sul divano che trovo sul posto, ma è raro che ce ne sia uno comodo. La maggior parte sono comprati a caso, fabbricati malamente, e anche quelli che a prima vista sembrano di buona qualità e molto costosi, quando mi ci sdraio quasi sempre mi deludono. Chissà perché la gente non ci mette un po' di criterio quando compra un divano.
Sono convinto - ma forse è un pregiudizio da parte mia - che un divano rivela molto sul suo proprietario. Un divano costituisce un mondo compatto e inviolabile. Questa però è una cosa che possono capire soltanto le persone che sono cresciute sedendosi su buoni, comodi divani. Come si cresce leggendo buoni libri o ascoltando buona musica. Da divano comodo nasce divano comodo, da divano scomodo nasce divano scomodo. Così funzionano le cose.
Conosco gente che se ne va in giro su automobili di lusso ma a casa ha divani di seconda o terza categoria. Non ho nessuna fiducia in queste persone. Una macchina di lusso costa, d'accordo, ma in fin dei conti è soltanto un oggetto caro. Alla portata di chiunque abbia quattro soldi. Ma scegliere un buon divano richiede discernimento, esperienza e tutta una filosofia di vita. Non basta pagare per procurarsene uno, anche se i soldi sono necessari. Bisogna avere un'immagine ben chiara di come dev'essere fatto un divano.
Quello sul quale stavo sdraiato in quel momento era eccellente. Tanto che cominciavo a provare simpatia per il vecchio. Chiusi gli occhi e ripensai al suo modo spiccio di parlare, alla sua strana risata. Anche quella capacità di sopprimere il suono provava che nel suo campo era un luminare di livello straordinario, non c'era dubbio. Quale altro scienziato era in grado di togliere e mettere il suono alle cose a suo piacimento? Anzi, tanto per cominciare a nessuno sarebbe venuta in mente un'idea del genere. Altro fatto certo, il vecchio aveva una buona dose di eccentricità. È vero che tra gli uomini di scienza non mancano i tipi bizzarri che rifuggono da ogni contatto, ma chi, onde evitare occhi indiscreti, andrebbe mai a costruirsi un laboratorio segreto per accedere al quale bisogna passare sotto una cascata sotterranea?
Messa sul mercato, la sua tecnica di togliere e mettere il suono avrebbe potuto fruttare enormi somme di denaro. Provai a immaginarne le applicazioni. Prima di tutto dalle sale di concerto sarebbe sparito un buon numero di apparecchiature. L'epoca degli enormi amplificatori di volume, ormai inutili, sarebbe tramontata. Ma diventava possibile anche l'operazione contraria. Applicando agli aerei un congegno che ne sopprimesse il rumore, si sarebbe migliorata notevolmente la qualità di vita della gente che abitava vicino agli aeroporti. Al tempo stesso però la tecnica poteva venire usata a fini militari o criminali. Sarebbero comparsi cannoni e fucili silenziosi, o bombe che esplodevano con un fracasso tale da distruggere il cervello. Si sarebbero inventati metodi sempre nuovi e più raffinati di operare massacri sistematici, non era difficile immaginarli. Se il vecchio invece di divulgare i risultati delle sue ricerche li teneva per sé, di sicuro era perché aveva previsto tutto ciò. Un altro motivo per trovarlo ancora più simpatico.
Avevo appena iniziato il mio quinto o sesto ciclo di lavoro, quando lui tornò. Portava sul braccio un grande cestino.
- Caffè e sandwich appena fatti! - disse. - Ai cetrioli, al prosciutto e al formaggio. Le piacciono?
- Sì, molto, - risposi. - La ringrazio.
- Vuole mangiare subito?
- Appena ho finito questo ciclo di calcoli.
I sandwich erano tanti, cinque o sei volte la quantità che ci avrebbero portato in un bar, e ne mangiai in silenzio i due terzi. Quando faccio operazioni di lavaggio, non so perché mi viene una fame da lupi. Me li infilavo in bocca l'uno dopo l'altro - al prosciutto, ai cetrioli, al formaggio - e ci bevevo sopra tazze di caffè caldo.
Nel tempo in cui io divoravo tre panini, il vecchio ne mangiava uno. Dovevano piacergli i cetrioli, perché dopo aver sollevato il pane li cospargeva della giusta quantità di sale e li sgranocchiava a piccoli morsi. Aveva un'aria molto educata ed elegante mentre mangiava.
- Ne prenda quanti ne vuole, - disse. - Quando si arriva alla mia età, si mangia sempre meno. E ci si muove sempre meno. I giovani invece devono nutrirsi bene. Nutrirsi bene e ingrassare. Adesso tutti hanno orrore di ingrassare, ma se posso dire la mia, è perché mettono su chili nella maniera sbagliata. E finiscono col perdere salute e bellezza. Tutto questo non succede se uno ingrassa nel modo giusto. L'esistenza diventa più completa, la libido aumenta, il cervello funziona meglio. Io da giovane ero bello grasso. Anche se adesso mi vede ridotto così, oh, oh, oh... - Il vecchio rise stringendo la bocca. - Cosa mi dice di questi sandwich? Buoni, vero?
- Sì, davvero ottimi, - ammisi. E lo pensavo sul serio. Soddisfacevano pienamente i miei criteri di giudizio, che riguardo ai sandwich sono severi quanto riguardo ai divani. Il pane era fresco, ben affettato con un coltello dalla lama affilata. È un dettaglio che si rischia di sottovalutare, ma per fare dei buoni sandwich un buon coltello è assolutamente indispensabile. Mettere insieme gli ingredienti più squisiti non serve a nulla se il coltello non taglia bene. Quelli che stavo mangiando erano perfetti: la mostarda di ottima qualità, la lattuga freschissima, la maionese probabilmente fatta a mano. Era da molto che non ne gustavo di altrettanto buoni.
- Li ha fatti mia nipote. Apposta per lei, mi ha detto, - continuò il vecchio. - Bravissima a fare i sandwich, quella ragazza! Sono la sua specialità.
- Infatti sono fantastici. Degni di un cuoco professionista, anzi migliori.
- Bene, mi fa piacere. Quando glielo dirò sarà contenta. Non viene quasi mai nessuno qui, non ci sono molte occasioni di far apprezzare ad altri la sua cucina. Siamo sempre noi due soli a mangiare quello che prepara.
- Non c'è nessun altro che viva con voi? - chiesi.
- No. Da tanti anni ormai. Io è da un pezzo che non frequento più nessuno, e mia nipote ha finito per adottare le mie abitudini. Un bel problema, anche per me. Mai che cerchi di uscire, di andare fuori. È intelligente e piena di salute, ma non ha il minimo interesse nel mondo esterno. Non va mica bene, quando si è giovani. Bisogna sfogare gli istinti sessuali, prendersi delle soddisfazioni. Non pensa? Non la trova affascinante, come donna, mia nipote?
- Sì, sì, certamente. Molto affascinante.
- L'istinto sessuale è un'energia positiva. Su questo non c'è dubbio. Se uno l'accumula, se non la sfoga, finisce col perdere anche la lucidità intellettuale e l'equilibrio fisico. Questo è valido sia per l'uomo sia per la donna. Nella donna, il ciclo mestruale diventa irregolare, e i nervi salgono a fior di pelle. - Oh.
- Quella ragazza ha bisogno di avere al più presto dei rapporti sessuali con l'uomo giusto. Ne sono assolutamente convinto, in veste sia di tutore sia di biologo, - proseguì il vecchio cospargendo di sale i cetrioli.
- Ma... è poi riuscito a ripristinarle il suono? - chiesi. Non avevo nessuna voglia, mentre lavoravo, di sentir parlare dei bisogni sessuali di chicchessia.
- Ah, sì, mi ero dimenticato di dirglielo, - rispose il vecchio. - Ha di nuovo la voce. Per fortuna lei mi ha ricordato che gliel'avevo tolta, altrimenti chissà per quanti giorni sarebbe andata avanti così! Quando mi chiudo qui dentro, passano secoli prima che torni su. E non è facile vivere senza poter emettere suoni.
- Sì, lo immagino, - convenni per compiacerlo.
- Come le ho già detto, mia nipote non frequenta quasi la società esterna, quindi non ne gliene sarebbero derivati grandi fastidi, ma non poteva nemmeno parlare al telefono. L'ho chiamata un sacco di volte da qui, ma non rispondeva, mi pareva strano. Anzi no, a dir la verità non ci ho neppure fatto caso.
- Se non poteva parlare, non poteva neanche andare a far la spesa, no?
- Perché, che problema c'è? Al mondo esistono i supermercati, dove si può comprare senza aprire bocca. Praticissimi. A mia nipote piacciono molto i supermercati, va a fare la spesa tutti i momenti. La sua vita si svolge tra il supermercato e l'ufficio.
- Ma a casa non torna?
- Al massimo una volta alla settimana. Adora stare in ufficio. È provvisto di cucina, doccia, tutto il necessario per condurre una vita normale.
Feci un vago cenno di assenso sorseggiando il mio caffè.
- A proposito, è riuscito a intendersi benissimo con mia nipote, sa? - disse il vecchio. - Come ha fatto? Telepatia o qualcosa del genere?
- Lettura sulle labbra. Tempo fa ho seguito dei corsi organizzati dalla municipalità. All'epoca avevo tempo libero e nient'altro da fare. Ho pensato che avrebbe potuto tornarmi utile.
- Ah, ecco! Lettura sulle labbra, - disse il vecchio annuendo parecchie volte con aria convinta. - Tecnica valida, la lettura sulle labbra, tecnica valida, non c'è dubbio. Anch'io la conosco un po'. Senta, perché non proviamo per qualche minuto a parlarci in silenzio, noi due?
- No, no, meglio di no. Meglio parlare normalmente, - mi affrettai a dire. Non avevo nessuna voglia di ripetere l'esperienza più volte nella stessa giornata.
- La lettura sulle labbra è una tecnica molto primitiva, è ovvio, e presenta parecchi inconvenienti. Bisogna guardare per tutto il tempo la bocca dell'interlocutore, e quando non c'è luce a sufficienza non si capisce più niente. Ma come metodo di passaggio è molto efficiente. Devo dire che lei è stato davvero previdente a impararla.
- Metodo di passaggio? - chiesi.
- Proprio così, - rispose il vecchio annuendo di nuovo. - Ascolti bene, lo dico solo a lei: d'ora in poi il mondo cambierà, diventerà privo di suono.
- Privo di suono? - ripetei di riflesso.
- Sì. Del tutto privo di suono. Perché il suono non è di alcuna utilità all'evoluzione del genere umano. Anzi, è dannoso. Per questo prima o poi verrà eliminato.
- Oh, - feci. - Vuol dire che spariranno anche il canto degli uccelli, il rumore dei fiumi, la musica, tutte quelle cose lì?
- È evidente.
- Sì, ma mi sembra una cosa molto triste.
- Mi spiace, ma l'evoluzione ha i suoi svantaggi. È sempre dura e triste. Non esiste qualcosa come un'evoluzione gioiosa -. Così dicendo il vecchio si alzò, si avvicinò alla scrivania, prese da un cassetto un piccolo tronchesino per le unghie e tornò a sedersi sul divano. Poi, cominciando dal pollice della mano destra e finendo con il mignolo della mano sinistra, si tagliò l'una dopo l'altra tutte e dieci le unghie. - Sono ancora in piena ricerca, non posso fornirle dettagli, ma grosso modo le cose stanno così. Non ne faccia parola fuori di qui, però. Il giorno in cui i Semiotici ne avessero sentore, sarei davvero nei guai.
- Non si preoccupi, noi Cibermatici non siamo secondi a nessuno nel mantenere un segreto.
- Bene, le sue parole mi tranquillizzano, - rispose il vecchio, mentre raggruppava col bordo di una cartolina i pezzi di unghie sparpagliati e li gettava nel cestino della carta straccia. Poi prese un altro sandwich ai cetrioli, lo cosparse di sale e se lo mangiò, con l'aria di trovarlo squisito.
- Non tocca a me dirlo, ma sono proprio ottimi, - fece.
- È brava anche a cucinare, sua nipote? - chiesi.
- No, non proprio. Solo i sandwich li fa divinamente. In cucina se la cava, non c'è dubbio, ma non c'è confronto.
- Un vero genio dei sandwich, insomma.
- Infatti. Proprio così. E sa cosa penso? Che lei la capisce alla perfezione quella ragazza. Guardi, a lei la darei tranquillamente. Tranquillamente.
- A me? - chiesi, un po' sorpreso. - Soltanto perché ho fatto le lodi dei suoi sandwich?
- Vuol dirmi che non le piacciono?
- Mi piacciono alla follia, - risposi cercando di ricordarmi la ragazza grassa quel tanto che bastava, senza che interferisse con i miei calcoli. Poi bevvi un sorso di caffè.
- Sa cosa le dico? Che in lei c'è qualcosa. Oppure le manca qualcosa. Tanto il risultato è lo stesso, - disse il vecchio.
- A volte lo penso anch'io, - ammisi sinceramente.
- Noi scienziati chiamiamo tale condizione un processo evolutivo. Prima o poi se ne renderà conto anche lei, ma l'evoluzione è qualcosa di severo. E sa qual è l'aspetto più severo dell'evoluzione?
- No, non lo so. Me lo dica lei.
- Il fatto di non poter scegliere in che maniera evolvere. Nessuno può deciderlo come vuole. È come per le alluvioni, le valanghe, i terremoti... Non si sa quando arrivano, e una volta che sono arrivati è troppo tardi.
- Oh, - feci. - E quest'evoluzione ha qualcosa a che fare con quello che diceva prima, con la perdita del suono? Insomma, non saremo più in grado di parlare?
- Non è esattamente così. Che uno possa parlare o meno, sostanzialmente non è un problema grave. È soltanto il primo gradino.
Confessai che non lo seguivo. Di solito sono una persona sincera, quando una cosa l'ho capita lo dico, e anche quando non l'ho capita. Non do risposte ambigue, l'ambiguità crea solo guai. E se la maggior parte delle persone al mondo si esprime in maniera ambigua, è perché in fondo al cuore è in cerca di guai, ne sono fermamente convinto. Non riesco a pensare diversamente.
- Comunque, per ora chiudiamo l'argomento, - disse il vecchio, e di nuovo scoppiò nella sua strana risata. - Piantiamola lì, tutti questi discorsi complicati rischiano di intralciare i suoi calcoli.
Non avevo nulla da obiettare. Proprio in quel momento la suoneria del mio orologio squillò e mi rimisi all'opera. Il vecchio tirò fuori dal cassetto della scrivania delle specie di molle da fuoco in alluminio, e tenendole nella mano destra incominciò ad andare e venire davanti allo scaffale sul quale erano allineati i teschi. Ogni tanto se ne serviva per colpirne leggermente uno, tendendo bene le orecchie al suono che produceva. Sembrava un virtuoso del violino che contemplasse la sua collezione di Stradivari, ne prendesse a turno uno in mano e ne pizzicasse le corde per controllarne le condizioni. Solo a sentire quel suono si poteva capire l'amore fuori del comune che nutriva per i suoi teschi.
Erano solo delle scatole craniche, ma avevano ognuna una risonanza diversa, dal tintinnio che produce un bicchiere da whisky al suono sordo di un enorme vaso da fiori. E pensare che un tempo vi erano attaccate carne e pelle, che tutte avevano contenuto un cervello - in varie quantità -, che avevano avuto pensieri di cibo e di sesso e di tante altre cose. Tutto sparito, quei teschi erano diventati soltanto una serie di suoni differenti: di un bicchiere, di un vaso da fiori, di una scatola di plastica, di un tubo di piombo, d'altro ancora...
Provai a immaginare il mio cranio senza carne né pelle, svuotato del cervello e posato su uno scaffale, mentre il vecchio ci batteva sopra con delle molle in alluminio. Una sensazione stranissima. Dopo averlo fatto risuonare, che cosa vi avrebbe letto? Avrebbe decodificato la mia memoria? Magari anche quello che la mia memoria non aveva registrato? In entrambi i casi, non c'era da stare tranquilli.
Non che avessi paura della morte in sé. Come ha detto William Shakespeare, se uno muore quest'anno, l'anno prossimo non dovrà più morire. Da un certo punto di vista può essere una semplificazione. Ma non gradivo affatto che il mio teschio venisse messo su uno scaffale con tanti altri e che qualcuno lo facesse risuonare con delle molle da fuoco. Il solo pensiero che anche dopo la mia morte si cercasse di ricavare qualcosa da me mi costernava. La vita non era certo facile, ma almeno me la gestivo io come meglio mi pareva. Perciò mi andava bene così. Ero come Henry Fonda in Ultima notte a Warlock. Ma una volta defunto, che mi lasciassero in pace! Ecco perché gli antichi faraoni egizi volevano essere rinchiusi nelle piramidi, da morti, avevano tutta la mia comprensione.
Alcune ore dopo avevo terminato l'operazione di lavaggio. Avendo evitato di guardare l'orologio, non sapevo con precisione quanto tempo ci avessi messo. Otto o nove ore, a giudicare dal mio livello di spossatezza. Una bella faticaccia. Mi alzai in piedi, mi stirai in lungo e in largo, e cercai di decontrarre alcuni muscoli. Sono ventisei quelli che il Manuale dei Cibermatici insegna a distendere con spiegazioni illustrate. Dopo una fase di lavoro così lunga, rilassarsi nel modo giusto fa riposare il cervello, il che prolunga la vita professionale.
Vita professionale che nessuno sa ancora quanto possa durare, perché non è nemmeno un decennio che è stato creato questo mestiere. C'è chi dice dieci anni, chi venti. Alcuni sono fermamente convinti che un Cibermatico possa continuare a lavorare finché campa, altri sostengono che prima o poi diventa scemo. Ad ogni modo sono tutte semplici congetture. Per quel che mi riguarda, tutto quello che posso fare è decontrarre scrupolosamente i muscoli. Le congetture le lascio volentieri alle persone che sono capaci di farle.
Quando ebbi finito di rilassarmi, mi sedetti sul divano, chiusi gli occhi e ricongiunsi lentamente l'emisfero cerebrale destro con quello sinistro. Con ciò avevo portato a termine una fase del lavoro. Da manuale.
Il vecchio pose sulla scrivania un cranio che poteva essere quello di un grosso cane, con un calibro ne prese le misure e le segnò a matita su una fotografia del cranio stesso.
- Ha finito? - mi chiese.
- Sì, - risposi.
- Dev'essere esausto, dopo aver lavorato tanto. La ringrazio.
- Oggi me ne torno direttamente a casa e vado subito a dormire. Domani o dopodomani farò lo shuffling, e fra tre giorni le riporterò il tutto, entro mezzogiorno. Per lei va bene?
- Benissimo, benissimo, - fece il vecchio annuendo. - Mi raccomando, però, senza sgarro. Se non è qui alle dodici, sono guai. Guai grossi.
- Stia tranquillo, lo so, - risposi.
- E stia in guardia, non si faccia rubare quella lista. Se la vedrebbe brutta anche lei, non solo io.
- Non si preoccupi. Noi Cibermatici subiamo un addestramento molto severo per evitare tali incidenti. Non ci mettiamo in condizione di farci rubare i dati ricavati dai nostri calcoli.
Da una tasca segreta applicata nell'interno dei pantaloni estrassi un astuccio di metallo flessibile nel quale conservavo i documenti importanti: vi misi la lista dei dati e lo sigillai elettronicamente.
- Quest'astuccio lo posso aprire soltanto lo. Se qualcun altro cercasse di farlo, i dati all'interno sparirebbero.
- Vedo che siete ben organizzati, - fece il vecchio.
Rimisi l'astuccio nella tasca interna dei pantaloni.
- Ci sono ancora dei sandwich, perché non li finisce? Io non mangio quasi nulla quando lavoro, è un peccato lasciarli.
Avevo di nuovo fame, così accolsi l'invito del vecchio e feci piazza pulita di tutti i sandwich che restavano. Quelli al cetriolo se li era mangiati tutti lui, così fui ben lieto di finire quelli al prosciutto e al formaggio: non vado pazzo per i cetrioli. Lui mi versò dell'altro caffè.
Indossai di nuovo la mantellina cerata, mi misi gli occhiali, presi in mano la pila elettrica e tornai nel passaggio sotterraneo. Questa volta il vecchio non mi seguì.
- Gli Invisibili li ho cacciati via a forza di onde sonore, - disse. - Stia tranquillo, per il momento non dovrebbero riuscire a intrufolarsi. Loro hanno paura a venire qui. Sono spinti a farlo dai Semiotici, ma basta spaventarli un poco perché si tengano alla larga.
Poteva dirmi quello che voleva: ora che sapevo che sottoterra esistevano quegli Invisibili o cosa diavolo fossero, l'idea di avventurarmi da solo nell'oscurità non mi sorrideva affatto. Tanto più che ignoravo tutto di loro, non conoscevo le loro abitudini né il modo di tenerli lontano. Con la pila elettrica nella mano destra, il coltello ben stretto nella sinistra, mi apprestai a ripercorrere la strada lungo il fiume dalla quale ero venuto.
Mi sentii in salvo quando ai piedi della scala d'alluminio - la stessa di cui mi ero servito per scendere nel sotterraneo - vidi la ragazza grassa nel tailleur rosa. Aveva diretto verso di me la luce di una pila elettrica e la faceva lampeggiare. Quando la raggiunsi disse qualcosa che non udii a causa del rumore dell'acqua, il suono doveva essere stato ripristinato. E poiché faceva troppo buio per leggerle sulle labbra, non capii una parola.
Bene o male mi arrampicai su per la scala a pioli, e finalmente emersi alla luce. Lei salì dopo di me. La scala sembrava non finire mai. Scendendo non avevo avuto paura perché nell'oscurità non vedevo nulla, ma ora che a ogni gradino immaginavo quanti me ne restavano, sentivo un sudore freddo bagnarmi la faccia e le ascelle. Il dislivello da superare corrispondeva a due o tre piani di un palazzo e i piedi scivolavano sulle umide assicelle di alluminio. Se non volevo fare una brutta fine dovevo stare molto attento.
A metà strada avrei voluto riprendere fiato, ma sentendo che la ragazza mi tallonava mi feci animo e continuai a salire senza fermarmi una sola volta. Al pensiero che dopo tre giorni, per raggiungere il laboratorio, avrei dovuto rifare lo stesso percorso, fui preso da sconforto. Ma mi dovevo rassegnare, anche quella fatica era stata messa in conto nel triplo-valore.
Quando sgusciai fuori dall'armadio e mi ritrovai nella stanza da cui ero partito, la ragazza mi tolse gli occhiali e la mantellina cerata. Io mi sfilai gli stivali, e posai da qualche parte la pila elettrica.
- Il lavoro è andato bene? - mi chiese lei. La sua voce, che finalmente sentivo, era dolce e limpida.
Guardandola in viso annuii. - Se non fosse andato bene sarei ancora là sotto. Questione di serietà professionale, - risposi.
- La ringrazio per aver detto a mio nonno che ero rimasta senza suono. Se non era per lei, avrei passato in quella condizione un'altra settimana.
- Perché non mi ha informato scrivendo su un foglio? Tutto si sarebbe chiarito subito, e io mi sarei evitato lo sconcerto.
La ragazza girò intorno alla scrivania senza rispondere e si risistemò i grossi orecchini.
- È la regola, - disse poi.
- Che non si deve scrivere nulla?
- Sì. Una delle regole. -Ah.
- È vietato tutto ciò che porta alla regressione.
- Capisco, - risposi con sincera ammirazione. Ogni cosa che facevano era perfetta.
- Quanti anni ha? - mi chiese la ragazza.
- Trentacinque, - risposi. - E lei?
- Diciassette. È la prima volta che incontro un Cibermatico. Neanche un Semiotico l'ho mai visto.
- Solo diciassette? - domandai stupito. - Veramente?
- Sì, certo. Diciassette. Mica le dico bugie. Però ne dimostro di più, vero?
- Infatti, - ammisi. - Te ne avrei dati almeno venti.
- È perché non voglio che mi diano la mia età.
- Ma a scuola non ci vai?
- Non ho voglia di parlare di scuola. Perlomeno non in questo momento. Le dirò tutto la prossima volta che ci vediamo.
- D'accordo... - feci. Doveva esserci qualche problema.
- Senta, ma che vita fanno i Cibermatici?
- Sai, Cibermatici o Semiotici è la stessa cosa. Quando non lavoriamo siamo persone normali, come tutte le altre. Gente ordinaria.
- La maggior parte della gente sarà forse ordinaria, ma non normale.
- Be', è un modo legittimo di vedere le cose, - dissi. - Insomma, voglio dire che non abbiamo nulla di speciale. Chi ci sta seduto di fianco in treno non ci nota neanche, mangiamo come chiunque altro, beviamo birra... a proposito, grazie per i sandwich. Erano squisiti.
- Davvero? - fece lei con un bel sorriso.
- Rarissimo, trovare dei sandwich così. E dire che me ne intendo, io...
- E il caffè?
- Anche il caffè era ottimo.
- Senta, perché non resta ancora un po' e non ne prende un'altra tazza? Così possiamo chiacchierare!
- No, grazie, basta caffè, ne ho già bevuto troppo in laboratorio, - dissi. - Non potrei mandarne giù nemmeno un goccio. E poi voglio tornare a casa e infilarmi subito nel letto.
- Che peccato...
- Sì, dispiace anche a me.
- Be', allora l'accompagno fino all'ascensore. Da solo non penso che ci arriverebbe, è troppo complicato.
- Già, difficile che ritrovi la strada, - ammisi.
La ragazza sollevò dal ripiano della scrivania una grande scatola rotonda, una sorta di cappelliera, e me la porse. Io la presi e la soppesai. Rispetto alle dimensioni era relativamente leggera. Se era davvero destinata a contenere dei cappelli, dovevano essere enormi. Tutt'intorno era fasciata con del nastro adesivo, in modo che non si aprisse.
- Che roba è? - chiesi.
- Un regalo per lei da parte di mio nonno. Lo guardi quando sarà a casa.
Provai a scuotere la scatola in su e in giù. Nessun rumore, nessun contraccolpo.
- Faccia attenzione, contiene un oggetto fragile, - disse la ragazza.
- Un vaso da fiori o qualcosa del genere?
- Non ne ho la minima idea. Quando tornerà a casa e l'aprirà, lo saprà.
La ragazza prese dalla borsetta rosa una busta e me la porse: conteneva un assegno bancario, sul quale era segnata una somma leggermente superiore a quanto avevo immaginato. Lo misi nel portafoglio.
- Devo farti una ricevuta?
- No, non ce n'è bisogno.
Uscimmo dalla stanza, e seguendo lo stesso corridoio percorso all'andata - numerose svolte, brevi rampe di scale - arrivammo all'ascensore. Come al mattino, i tacchi alti della ragazza ticchettavano sul pavimento con un bel suono allegro. Il fatto che lei fosse grassa non mi turbava più come prima. Camminandole accanto l'avevo quasi dimenticato. Probabilmente col passare delle ore ci avevo fatto l'abitudine.
- È sposato? - mi chiese.
- No, non sono sposato, - risposi. - Una volta lo ero, adesso non più.
- È perché è diventato un Cibermatico che ha divorziato? Tutti dicono che è difficile, per un Cibermatico, avere famiglia.
- È un pregiudizio. Conosco un sacco di Cibermatici che non solo hanno famiglia, ma vivono felici e contenti. Però tanti di loro pensano che per un single sia più facile. Il nostro mestiere logora i nervi ed è pericoloso, quindi è vero che i problemi aumentano se uno ha moglie e figli.
- Nel suo caso com'è andata?
- Nel mio caso è andata che sono diventato Cibermatico dopo aver divorziato. Quindi non è stata colpa del mio lavoro.
- Ah, - fece la ragazza. - Mi scusi se sono stata indiscreta. È la prima volta che incontro un Cibermatico, ci sono tante cose che vorrei sapere...
- No, non fa niente, - risposi.
- Senta, ho sentito dire che ai Cibermatici, quando finiscono un lavoro, gli viene una voglia tremenda. Di sesso, cioè. È vero?
- Be', non saprei... può anche darsi che sia così... perché mentre lavoriamo usiamo i nervi in maniera anomala.
- E con chi va a letto quando le succede? Ha una ragazza fissa?
- No, non ho una ragazza fissa.
- Allora con chi fa sesso? Non è che per caso non le piace? Oppure è omosessuale? Ma forse non vuole rispondere...
- No, non sono omosessuale. Vado a letto con diverse ragazze, dipende dalle volte, - dissi. Non sono certo il tipo di persona che ama raccontare la propria vita, ma, non avendo nulla da nascondere, se qualcuno mi fa una domanda rispondo.
- E con me ci verrebbe?
- No, forse no.
- Perché?
- È una questione di principio. Non vado a letto con le ragazze che conosco. Si creano solo complicazioni. E non vado nemmeno a letto con quelle che incontro per ragioni di lavoro. Nella mia professione vengo a conoscenza di tanti segreti, e devo tracciare una linea di demarcazione.
- Allora non è perché non le piaccio, perché sono grassa?
- Non sei tanto grassa, e non è che non mi piaci.
- Ah. Allora con chi fa sesso? Attacca bottone con la prima che capita e se la porta a letto?
- A volte mi succede.
- Oppure paga una prostituta?
- Mi succede anche questo.
- E se le dicessi che accetto di venire a letto con lei ma voglio dei soldi, ci verrebbe?
- No, non credo, - risposi. - Tra noi c'è troppa differenza d'età. Non mi sento a mio agio se faccio l'amore con una ragazza troppo giovane.
- Ma io sono diversa.
- Può darsi. Ma per quel che mi riguarda, non voglio complicarmi la vita. Possibilmente, vorrei vivere tranquillo, in pace.
- Il nonno dice che la prima volta è meglio fare l'amore con un uomo che ha almeno trentacinque anni. Perché se uno accumula libido oltre un determinato livello, perde la lucidità mentale.
- Sì, tuo nonno l'ha detto anche a me.
- Mah, chissà se è vero...
- Non lo so, non sono un biologo. Ma penso che non lo si possa affermare con sicurezza, la libido varia da persona a persona.
- Lei ne ha tanta?
- Una quantità normale, credo, - risposi dopo averci pensato un po' su.
- Io sulla mia libido non so ancora quasi nulla, - disse la ragazza. - Per questo vorrei sperimentare tante cose.
Mentre cercavo una risposta adeguata, arrivammo davanti all'ascensore, che come un cane ben addestrato apri le sue porte e attese in silenzio che io salissi.
- Be', alla prossima volta, - disse la ragazza.
Appena entrai nell'ascensore, le porte si chiusero senza rumore. Con un sospiro mi appoggiai alla parete d'acciaio.