17. Il paese delle meraviglie

 

 

 

La fine del mondo - Charlie Parker - Una bomba a orologeria.

 

- La prego, - disse la ragazza grassa, - se non fa qualcosa il mondo finirà!

Per quel che mi riguardava poteva benissimo finire, pensai. La ferita alla pancia mi faceva un male tremendo. Come se due gemelli in piena salute cercassero di spaccare a calci la cornice della mia limitata fantasia.

- Cosa è successo? Non si sente bene? - chiese la ragazza.

Inspirando lentamente presi la maglietta posata accanto a me e mi asciugai il sudore sulla faccia.

- Qualcuno con un coltello mi ha fatto un taglio di sei centimetri nella pancia, - risposi, con l'impressione di vomitare l'aria dai polmoni.

- Con un coltello?

- Sì, neanche fossi un salvadanaio.

- Chi le ha fatto una cosa del genere, e perché?

- Non lo so. Non ne ho la minima idea. Non ho smesso di pensarci, ma non riesco a capire. Volevo domandarlo a te. Perché tutti mi calpestano come se fossi lo zerbino dell'ingresso?

La ragazza scosse la testa.

- Mi sono chiesto se quei due non fossero per caso dei tuoi conoscenti o dei tuoi amici. Quelli che mi hanno aperto la pancia, cioè.

Per qualche secondo la ragazza grassa mi guardò in silenzio con un'espressione del tutto disorientata. - Come le è venuta una simile idea? - chiese poi.

- Non lo so. Probabilmente volevo dare la colpa a qualcuno. Quando ci succede una cosa assurda, dandone la colpa a qualcuno ci sentiamo meglio.

- Ma non è una soluzione.

- No, non è una soluzione, - ammisi. - Però non è neanche colpa mia. Non sono stato io a mettere in moto tutta la faccenda. È stato tuo nonno a dar fuoco alla miccia. Tirando in mezzo me. Perché la devo trovare io, la soluzione?

Di nuovo un dolore lancinante mi assali, chiusi la bocca e aspettai che passasse. Come davanti a un semaforo rosso.

- La stessa cosa vale per quel che è successo oggi. Mi telefoni all'alba. Mi chiedi di aiutarti perché tuo nonno è scomparso. Io vengo all'appuntamento, ma tu non ti fai vedere. Torno a casa, mi metto a dormire, e arrivano quei due spostati a distruggermi l'appartamento e a farmi un taglio nella pancia. Poi è il turno di quelli del Sistema che mi sottopongono a un interrogatorio. Ed ecco che alla fine ti presenti anche tu. Vi siete messi d'accordo sull'orario o cosa? Cosa siete, una squadra di basket? Quanto ne sai esattamente tu, di questa faccenda?

- A essere sincera, non credo di saperne molto di più di quel che ne sa lei. È vero che davo una mano a mio nonno, ma eseguivo soltanto i suoi ordini. Fai questo, fai quello, vieni qui, vai lì, telefona a questo numero, scrivi a tale persona... niente di più. Non ho la minima idea di quello che volesse realizzare. Come lei, né più né meno.

- Però lo aiutavi nella sua ricerca, no?

- Mi occupavo solo di operazioni tecniche come riordinare i dati. Non ho nessuna conoscenza specialistica, e non capivo niente di quello che vedevo o sentivo.

Picchiettandomi con l'unghia un incisivo, cercai di riordinare le idee. Dovevo trovare una via d'uscita. Dovevo sbrogliare almeno un poco la situazione, prima che mi inghiottisse del tutto.

- Hai appena detto che se non facciamo nulla il mondo finirà. Perché? Come, in che modo finirà?

- Questo non lo so. Me l'ha detto il nonno. Che se gli succedeva qualcosa il mondo sarebbe finito. Mio nonno non è il tipo da dire certe cose per scherzo. Se ha detto cosi, significa che è vero. Mi creda.

- Non capisco, - feci. - Cosa significa che il mondo finirà? Tuo nonno ha usato proprio queste parole? Non ha detto per caso: il mondo si estinguerà, o il mondo verrà distrutto?

- No, ha detto proprio «il mondo finirà».

Di nuovo mi picchiettai un incisivo. Passai in rassegna tutte le mie idee riguardo alla fine del mondo.

- E poi hai affermato che... insomma, la fine del mondo in qualche modo è connessa a me, vero?

- Esatto. Il nonno ha detto che lei è la chiave di tutto. Che già da molti anni aveva basato tutta la sua ricerca su di lei.

- Cerca di ricordarti altre cose. La storia della bomba a orologeria, per esempio. Che roba è?

- Quale bomba a orologeria?

- L'ha detto l'uomo che mi ha tagliato la pancia. Che i dati che io ho trattato per tuo nonno sono una bomba a orologeria che esploderà quando verrà il momento. Cosa diavolo significa?

- È soltanto una mia congettura, - rispose la ragazza, - ma credo che il nonno abbia condotto lunghe ricerche sulla coscienza umana. Dopo aver inventato lo shuffling, non ha fatto altro. E mi chiedo se lo shuffling non sia l'inizio di tutto. Perché il nonno mi spiegava tante cose, prima di quell'invenzione. Sulla sua ricerca, su cosa stava facendo, su cosa aveva intenzione di fare in seguito... Come le ho già detto, io non ho quasi nessuna conoscenza specialistica, ma le spiegazioni del nonno erano molto interessanti e facili da capire. Mi piaceva moltissimo, starlo ad ascoltare.

- Invece, da quando ha messo a punto lo shuffling, improvvisamente non ti ha detto più nulla?

- Già, proprio così. Se ne stava tutto il tempo chiuso nel suo laboratorio, senza più parlarmi del suo lavoro. E quando io gli facevo delle domande, mi dava spiegazioni approssimative, tanto per rispondere.

- Dev'essere stato triste, per te.

- Sì, molto triste. Ero molto sola -. Di nuovo la ragazza mi fissò in silenzio. - Senta, posso venire nel letto? Mi è venuto freddo a stare qui.

- Se non mi tocchi la ferita e non ti agiti troppo, - risposi. Strano, tutte le donne che incontravo volevano infilarsi nel mio letto, a quanto pareva.

La ragazza girò sull'altro lato, e senza togliersi il tailleur rosa sgattaiolò sotto le coperte. Le passai uno dei due cuscini su cui mi appoggiavo. Lei lo prese, lo sprimacciò bene e se lo mise sotto la testa. Dalla sua nuca emanava lo stesso profumo al melone di quando l'avevo incontrata la prima volta. Con uno sforzo tremendo mi voltai dalla sua parte. E così ci trovammo l'uno di fronte all'altra, nel letto.

- È la prima volta che sto così vicina a un uomo, - disse lei.

- Ah, - feci io.

- Il fatto è che non esco quasi mai. È per questo che non sono venuta all'appuntamento. Quando stavo per chiederle che strada dovevo fare, è caduta la linea.

- Bastava che dessi l'indirizzo a un tassista, ti ci avrebbe portata.

- Sì, ma non avevo quasi soldi. Sono uscita di corsa, senza pensare che forse mi sarebbero serviti. Così sono venuta a piedi.

- Non hai nessun altro parente? - chiesi.

- I miei genitori e mio fratello sono morti in un incidente stradale quando avevo sei anni. Erano in macchina e un camion li ha investiti da dietro, la benzina ha preso fuoco, sono morti tutti tra le fiamme.

- Ti sei salvata solo tu?

- Io quella volta ero all'ospedale, stavano venendo a trovarmi.

- Mi dispiace, - dissi.

- Da allora sono sempre stata con mio nonno. Non sono andata a scuola, non sono quasi mai uscita, non ho amici...

- Non sei andata a scuola?

- No, - rispose la ragazza con noncuranza. - Il nonno diceva che non era necessario. Mi ha insegnato lui tutte le materie. Dall'inglese al russo all'anatomia, tutto. E una signora mi ha insegnato a cucinare e a cucire.

- Una signora?

- Sì, una signora che abitava con noi e si occupava della pulizia e delle faccende di casa. Una donna bravissima. È morta di un tumore tre anni fa, e da quando lei non c'è più siamo stati sempre soli, il nonno e io.

- Così da quando avevi sei anni non sei mai andata a scuola?

- Sì. Ma non è un problema. So fare un sacco di cose. Parlo quattro lingue straniere, so suonare il piano e il sassofono, so anche costruire una radio. Ho imparato a navigare e a camminare su una corda, e ho letto moltissimi libri. I sandwich che le ho preparato erano buoni, no?

- Sì, - dissi.

- Il nonno ha detto che la scuola è solo un posto dove ci mettono sedici anni ad annientare un cervello. Anche lui non è quasi andato a scuola.

- Impressionante. Ma non è triste per te non avere amici della tua età?

- Mah, chi lo sa... Avevo troppo da fare per trovare il tempo di pensare a certe cose. E poi, non so perché, mi dicevo che non sarei andata d'accordo con i giovani della mia età.

- Mmh... - feci. Sì, forse aveva ragione.

- Lei invece mi interessa moltissimo.

- Perché?

- Be', ora lei mi pare esausto, eppure riesce a trasformare anche la stanchezza in una sorta di energia. È al di là della mia comprensione. Le persone che conosco io sono diverse. Il nonno non si stanca mai, e io neppure. Senta, ma è davvero stanco?

- Sì, stanco morto, - dissi. Ero tanto spossato che avrei potuto ripeterglielo una ventina di volte.

- Cosa si prova, a essere stanchi? - chiese la ragazza.

- Le emozioni si offuscano, in molti modi. Autocommiserazione, collera nei confronti degli altri, commiserazione per gli altri, collera nei confronti di se stessi... questo tipo di sentimenti, insomma.

- Non ne conosco neanche uno.

- Si finisce col fare una confusione tremenda. Come quando si fa girare una trottola di tanti colori. Più gira veloce più la separazione tra un colore e l'altro sfuma, tanto che alla fine ne formano uno solo.

- Sembra interessante, - disse la ragazza grassa. - Lei sa un mucchio di cose su questi argomenti, ne sono sicura.

- Già, - risposi. Infatti potevo spiegare tutto, dalla A alla Zeta, su quel senso di spossatezza che rovina la vita, che viene su ribollendo dal nucleo stesso della vita. Questa era un'altra delle cose che non insegnavano a scuola.

- Sa mica suonare il sassofono, per caso? - chiese la ragazza.

- No, - risposi.

- E un disco di Charlie Parker ce l'ha?

- Credo di sì, ma non posso certo mettermi a cercarlo adesso. A parte il fatto che non lo potresti neanche ascoltare perché lo stereo è distrutto.

- Ma non sa suonare qualche strumento?

- No, non so suonare nulla.

- Posso toccarla?

- No! - gridai. - La ferita mi fa male se mi tocchi nel punto sbagliato.

- Quando sarà guarito potrò toccarla?

- Quando sarò guarito, se il mondo non sarà finito. Ma torniamo al discorso di prima, è importante. Dunque tuo nonno è cambiato dopo aver inventato lo shuffling. Eravamo arrivati qui, mi pare.

- Sì, infatti. Da quel momento il nonno è diventato un'altra persona. Non mi rivolgeva quasi più la parola, era sempre irritato e parlava tutto il tempo da solo.

- Ma lui cosa diceva dello shuffling? Te lo ricordi?

Giocherellando con uno degli orecchini d'oro, la ragazza grassa rifletté un momento.

- Diceva che lo shuffling era la porta attraverso la quale si poteva accedere a un mondo nuovo. Che in origine l'aveva inventato soltanto come una tecnica complementare per riorganizzare i dati immessi in un computer, ma utilizzandolo in una certa maniera, probabilmente si acquisiva il potere di cambiare il funzionamento stesso del mondo. Come la fisica nucleare ha generato la bomba atomica.

- Insomma, lo shuffling è la porta d'accesso a un mondo nuovo, e io sono la chiave di quella porta.

- Sintetizzando, credo che si possa dire così.

Ripresi a picchiettarmi un incisivo con l'unghia. Avevo voglia di bere un whisky, in un grande bicchiere con tanto ghiaccio, ma in casa non c'erano più né whisky né ghiaccio. Scomparso tutto.

- Pensi che l'obiettivo di tuo nonno fosse di far finire il mondo? - chiesi.

- No, niente affatto! È vero che il nonno è irritabile, capriccioso, che non gli piace stare con la gente, ma in fondo è una brava persona. Come me e lei.

- Ti ringrazio -. Era la prima volta in vita mia che qualcuno mi diceva che ero una brava persona.

- Inoltre il nonno aveva una gran paura che la sua ricerca cadesse nelle mani di qualcuno che potesse farne un cattivo uso. Il che prova che lui non aveva quell'intenzione. D'altronde se ha lasciato il Sistema è perché pensava che, continuando a lavorare per loro, quelli prima o poi avrebbero utilizzato i risultati della sua ricerca a fini perversi. Per questo ha dato le dimissioni e ha continuato i suoi studi da solo.

- Però il Sistema è dalla parte dei buoni, nel mondo. Combatte l'organizzazione dei Semiotici che rubano le informazioni dai computer e le immettono sul mercato nero, e protegge il diritto dei legittimi proprietari dei dati.

La ragazza grassa mi guardò fisso in viso, poi alzò le spalle. - Il nonno non sembra preoccuparsi molto di chi è buono e chi è cattivo. Dice che la bontà e la cattiveria sono attributi fondamentali al livello della natura umana, non hanno nulla a che fare con chi abbia diritto o meno alla proprietà dei dati.

- Mah, sì, forse non ha torto, - dissi.

- In più il nonno non ha fiducia nel potere, di nessun tipo. È vero che per un certo periodo ha fatto parte del Sistema, ma era solo per avere la possibilità di usare liberamente tutti i dati che voleva, il materiale sperimentale e il simulatore su vasta scala. Per questo, diceva, dopo aver inventato un complesso sistema di shuffling, per lui era molto più facile e fruttuoso continuare i suoi studi da solo. Una volta messo a punto lo shuffling, non aveva più bisogno di installazioni, doveva svolgere soltanto operazioni di concetto.

- Già... - feci. - Quando ha lasciato il Sistema, tuo nonno non si è per caso portato via una copia dei miei dati personali?

- Questo non lo so, - disse la ragazza. - Ma se avesse voluto avrebbe potuto farlo facilmente. In quanto direttore del Laboratorio Centrale di Ricerca, aveva ogni diritto riguardo alla protezione e all'uso dei dati.

Probabilmente le cose stavano proprio come avevo immaginato, mi dissi. Il Professore aveva estratto i miei dati personali, se ne era servito per i suoi studi, e usandomi come campione principale si era spinto molto avanti nella logica dello shuffling. A grandi linee le cose stavano così, il ragionamento filava. Come aveva detto il piccoletto, il Professore mi aveva chiamato perché era arrivato al cuore della sua ricerca: aveva trattato dei dati qualunque in modo che quando io li avessi sottoposti allo shuffling la mia coscienza reagisse al codice fisso che vi aveva inserito, e me li aveva consegnati.

Se le mie supposizioni erano fondate, la mia coscienza - il mio inconscio, cioè - probabilmente aveva già cominciato a reagire. Una bomba a orologeria, aveva detto il piccoletto. Calcolai rapidamente il tempo passato da quando avevo fatto lo shuffling. Al termine dell'operazione, quando mi ero svegliato, mancava poco alla mezzanotte - la mezzanotte del giorno precedente - di conseguenza erano passate quasi ventiquattro ore. Un sacco di tempo. Non sapevo in che modo fosse stata regolata la bomba, dopo quante ore sarebbe scoppiata, ma in ogni caso le lancette del timer erano già avanzate di ventiquattro ore.

- C'è un'altra cosa che vorrei sapere, - proseguii. - Hai detto che il mondo finirà, vero?

- Sì, è così che diceva il nonno.

- E questo prima di iniziare gli studi sui miei dati, o dopo?

- Dopo, - rispose la ragazza. - Sì, dopo, credo. Infatti è solo di recente che si è messo a parlare chiaramente di fine del mondo. Perché, che rapporto c'è fra le due cose?

- Non lo so bene nemmeno io. Ma c'è qualcosa che non quadra. Il fatto che la mia password per lo shuffling si chiami «La fine del mondo». Non posso credere che si tratti di un caso.

- E cosa contiene, questa «fine del mondo» di cui sta parlando?

- Non so neanche questo. È inserita nella mia coscienza, ma è nascosta in un punto che io non posso raggiungere. L'unica cosa che conosco sono queste parole: «La fine del mondo».

- E non può fare l'operazione inversa, tornare al punto di partenza?

- Impossibile, - dissi. - Anche mettendo in campo un battaglione, non riuscirei mai a rubare i dati dalla cassaforte sotterranea del Sistema. È dotata di dispositivi di allarme e di sicurezza particolari.

- Il nonno invece quei dati li ha presi servendosi della sua posizione, vero?

- Probabilmente. Ma è solo una congettura. La verità ce la può dire solo lui.

- Allora libererà il nonno dalle grinfie degli Invisibili?

Tenendo le mani schiacciate sulla ferita, mi alzai a sedere sul letto. Avevo un terribile mal di testa.

- È l'unica soluzione. Non so cosa sia questa fine del mondo di cui parla tuo nonno, ma non posso certo lasciare che faccia il suo corso. Ho l'impressione che se non si fa qualcosa per fermarla, qualcuno se la vedrà brutta -. E quel qualcuno ero io.

- In ogni caso, per fermarla deve per forza salvare mio nonno.

- Perché siamo delle brave persone, noi tre, vero?

- Sì, infatti, - disse la ragazza grassa.