20. La fine del mondo

 

 

 

La morte delle bestie.

 

Erano già morte alcune bestie. La prima vera nevicata era durata tutta la notte, e al mattino le più anziane, il cui mantello aveva assunto il candore dell'inverno, erano rimaste sepolte sotto uno strato di neve spesso cinque centimetri. Il sole filtrava attraverso gli squarci tra le nuvole e illuminava vividamente il paesaggio preso nel gelo. Il fiato dei mille e più animali del branco fluttuava latteo nella luce.

 

Mi svegliai prima dell'alba e vidi l'intera città coperta di neve. Era uno spettacolo stupendo. La Torre dell'Orologio si stagliava nera contro il paesaggio bianco e uniforme, attraversato dalla cintura scura del fiume. Il sole non si era ancora levato e il cielo era chiuso da spesse nubi. Mi infilai il cappotto, i guanti, e mi incamminai verso la città, giù per la strada dove non si vedeva anima viva. La neve aveva probabilmente cominciato a cadere in silenzio subito dopo che mi ero addormentato, ed era cessata poco prima che mi svegliassi. Sul suo manto non si vedevano tracce di passi. Ne presi una manciata, era soffice e leggera come farina. L'acqua stagnante sulle sponde del fiume aveva formato un sottile strato di ghiaccio, ora spolverato di bianco.

A parte il mio fiato, nulla si muoveva nella città. Non un alito di vento, non un uccellino. Solo il rumore delle mie scarpe che calpestavano la neve si ripercuoteva con intensità innaturale fra i muri di pietra delle case, quasi fosse la possente sintesi di suoni diversi.

Arrivando vicino al cancello principale, vidi il Guardiano davanti allo spiazzo. Si era infilato sotto il carro che aveva riparato insieme alla mia ombra e stava lubrificando gli assi delle ruote. Sul carro erano allineate diverse giare di ceramica, di quelle che si usano per l'olio, ben assicurate alle sponde con una corda, in modo che non si rovesciassero. Strano, cosa se ne faceva il Guardiano di una tale quantità d'olio?

L'uomo venne fuori da sotto il carro e alzò una mano in segno di saluto. Sembrava di buon umore.

- È mattiniero, lei! Qual buon vento la porta? - chiese.

- Sono venuto a guardare il paesaggio innevato, - risposi. - Dall'alto della collina era incantevole.

Il Guardiano rise forte e mi diede la solita pacca sulla schiena con la sua mano enorme. Non usava guanti.

- È proprio un bel tipo, lei, sa? - disse. - D'ora in poi lo vedrà fino alla nausea il paesaggio sotto la neve, non aveva bisogno di venire fin qua. Che stravaganza!

Soffiando una nuvola di fiato bianco che sembrava il getto di un motore a vapore, si mise a guardare verso il cancello.

- Ad ogni modo, è arrivato al momento giusto, - proseguì. - Provi a salire in cima a quella torre, vedrà qualcosa di interessante. Una primizia dell'inverno. Fra poco suonerò il corno, lei osservi bene quel che succede fuori.

- Una primizia?

- Quando vedrà capirà.

Domandandomi di cosa stesse parlando, salii sugli spalti della torre più vicina al cancello e contemplai il mondo esterno. Il bosco di meli, sepolto sotto la neve, sembrava ammantato da una nube. La catena settentrionale e quella orientale erano in gran parte imbiancate, solo tratti di protuberanze rocciose spiccavano come le cicatrici di una ferita.

Sotto la torre di guardia, le bestie stavano dormendo secondo la loro abitudine. Erano accovacciate per terra con le zampe ripiegate sotto di sé, il corno candido proteso in avanti, e si godevano ognuna il proprio sonno. La neve che si era accumulata sulla loro schiena non sembrava disturbarle. Dovevano essere profondamente addormentate.

Finalmente a poco a poco le nuvole sopra la nostra testa cominciarono ad aprirsi, e qualche raggio di sole illuminò il terreno. In piedi sugli spalti della torre, osservai il panorama, nella luce che filtrava a chiazze come quella di riflettori. Ero curioso di vedere quella cosa interessante cui aveva accennato il Guardiano.

Infine l'uomo aprì il cancello, e come ogni mattino diede fiato al corno: un suono breve, tre lunghi. Al primo richiamo le bestie si svegliarono, alzarono la testa e voltarono lo sguardo nella direzione da cui proveniva. Dalla quantità del loro fiato bianco si capiva che avevano cominciato una nuova giornata. Quando dormivano il loro respiro era lievissimo.

Appena l'ultimo richiamo sonoro venne assorbito dall'atmosfera, le bestie si alzarono. Diedero alcuni colpi di corno nell'aria, poi improvvisamente si scossero per far cadere la neve che avevano addosso, come se l'avessero notata solo allora. Si incamminarono verso il cancello.

Quando furono entrate tutte, ancora non riuscivo a capire cosa avesse voluto mostrarmi il Guardiano. Poi mi resi conto che alcune delle bestie che credevo addormentate erano morte, senza nemmeno cambiare posizione. Più che morte, sembravano profondamente assorte in qualche grave pensiero. Però non potevano sentire il richiamo del corno. Dal loro naso e dalla bocca non usciva neanche un filo di fiato. Nel loro corpo la vita si era fermata, e la loro coscienza era stata risucchiata dalle tenebre profonde.

Tutte le bestie avevano ormai superato il cancello, sul terreno erano rimasti solo alcuni cadaveri, come piccoli tumuli nati spontaneamente. Avvolti nel sudario bianco della neve. Solo il corno si protendeva nell'aria, stranamente vivo. Le altre bestie, passando loro accanto, avevano abbassato completamente la testa, oppure raspato leggermente il suolo con gli zoccoli. Piangevano le loro compagne morte.

Mentre il sole del mattino saliva nel cielo e l'ombra della muraglia si allungava davanti a me, continuai a contemplare i cadaveri immobili, fino a quando il calore cominciò a sciogliere adagio la neve sul terreno. Avevo l'impressione che avrebbe finito per dissolvere anche la morte, che quelle bestie a un certo punto si sarebbero alzate e avrebbero iniziato come sempre la loro giornata.

Invece non si alzarono, soltanto il loro mantello, tutto bagnato ora che la neve si era sciolta, continuava a splendere al sole. Alla fine gli occhi cominciarono a dolermi.

Scesi dalla torre di guardia, attraversai il fiume e risalendo la collina occidentale me ne tornai alla mia stanza, dove mi accorsi che la luce del sole mi aveva ferito gli occhi molto più gravemente di quanto avessi pensato. Quando li chiudevo mi si riempivano di lacrime che scorrevano in continuazione e mi cadevano senza far rumore sulle ginocchia. Li lavai con acqua fredda, ma non servì a niente. Tirai le spesse tende della finestra e rimasi così, con gli occhi chiusi, a guardare per ore le strane linee e forme che apparivano e sparivano nel buio privo del senso della distanza.

Alle dieci bussò alla porta il Colonnello, reggeva un vassoio con il caffè, e vedendomi prostrato sul letto mi applicò un asciugamano freddo sulle palpebre. Sentii fitte dolorose dietro le orecchie, tuttavia le lacrime diminuirono un poco.

- Ma cos'ha combinato? - mi chiese il Colonnello. - Il sole del mattino è molto più forte di quanto lei creda. Soprattutto quando nevica. Dovrebbe saperlo che gli occhi di un Lettore di Sogni sono troppo deboli per sopportare una luce così intensa. Perché è uscito?

- Sono andato a vedere le bestie, - dissi. - Molte erano morte. Otto o nove, forse di più.

- D'ora in poi ne morirà un gran numero. Ogni volta che nevica.

- Perché muoiono tanto facilmente? - chiesi togliendomi l'asciugamano dagli occhi, ma senza alzarmi.

- Sono deboli. Non resistono al freddo e alla fame. Sono sempre state così.

- Non finiranno per estinguersi?

Il Colonnello scosse la testa. - Sono decine di migliaia di anni che vivono in questo posto, e continueranno a farlo. Durante l'inverno ne muoiono molte, ma in primavera nascono i piccoli. La vita nuova caccia via quella vecchia, tutto qui. Perché il numero di bestie che possono nutrirsi con l'erba e gli alberi che crescono in questo posto è limitato.

- Perché non si spostano da un'altra parte? Nei boschi di alberi ce ne sono in abbondanza, e a sud nevica meno. Che bisogno hanno di restare qui?

- Questo io non lo so, - disse il Colonnello. - So solo che non possono allontanarsi dalla città. Appartengono alla città, sono prigioniere. Come lei e me. Sanno benissimo, per istinto, che non devono scappare. Può anche darsi che possano mangiare solo l'erba e gli alberi che crescono qui. O che non riescano a superare le pianure calcaree che si aprono a un certo punto a sud. Comunque sia, non devono allontanarsi.

- Come ci si regola con i cadaveri?

- Vengono bruciati. Lo fa il Guardiano, - rispose il Colonnello scaldandosi le grandi mani rugose con la tazza di caffè. - Per qualche mese sarà la sua attività principale. Taglia le teste delle bestie morte, ne estrae il cervello e gli occhi, e le fa bollire in un grande calderone fino a farle diventare dei bei teschi bianchi. I corpi decapitati li butta in fosse comuni, li cosparge d'olio e li brucia.

- E quei teschi vengono riempiti di vecchi sogni, poi disposti in fila sugli scaffali della biblioteca, vero? - chiesi senza muovermi, senza aprire gli occhi. - Perché? Perché dei teschi?

Il vecchio Colonnello non rispose. Sentii soltanto il cigolio delle assi del pavimento sotto i suoi passi. Il cigolio si allontanò lentamente dal letto e si fermò davanti alla finestra. Il silenzio durò ancora qualche momento.

- Lo capirà quando riuscirà a sapere cosa sono i vecchi sogni. Capirà perché vengono rinchiusi nel cranio di quelle bestie. Io non glielo posso spiegare. È lei il Lettore di Sogni. La risposta la deve trovare lei.

Mi asciugai le lacrime con l'asciugamano e aprii gli occhi. Vidi confusamente la figura del Colonnello di fianco alla finestra.

- L'inverno chiarirà tante cose, - mormorò. - Che ci piaccia o meno, è così. La neve continuerà a cadere, le bestie a morire. Nessuno può fermare questo ciclo. Questa sera potrà vedere il fumo del rogo sul quale bruciano le bestie morte. È una scena che durante l'inverno vedrà ogni giorno. La neve bianca, e il fumo di quelle pire.