37. Sì, viaggiare... ma di meno

Anche a viaggiare non rinunceremo facilmente. Non siamo pronti. Il viaggio è entrato nelle nostre vite in modo massiccio, direi invasivo. Non è più un’esperienza rara, sporadica, limitata a esigenze di lavoro e alle ferie annuali. Viaggiamo, dunque siamo. Fa parte dell’identità.

Se stiamo fermi, ci sembra che ci manchi qualcosa, che la nostra vita sia scialba. Monotona e comune. Il viaggio le dà una sterzata. Accende una luce nel tempo che scorre uguale, e un faro su di noi. Ci mette in evidenza.

Diciamo di viaggiare per conoscere. Certo, è così. Viaggiando si conoscono paesi e popoli, si ampliano gli orizzonti.

Ma per conoscere non serve viaggiare, nemmeno per immaginare e per riflettere e per inventare. Forse serve di più stare fermi, sempre nello stesso posto, ad esempio dove siamo nati e vissuti. Lo sapeva bene Salgari, che s’è inventato i tigrotti di Mompracem senza mai andare in Malesia. E lo sapeva bene Fellini, che per noi talpe è uno dei massimi artisti del Novecento. Ogni tanto in certe sere malinconiche, per tirarci un po’ su ci riguardiamo uno dei suoi film. Lui sapeva che, a star fermo nella sua Rimini, avrebbe raccontato il mondo intero.

Per conoscere, pensare, creare, serve anche molto la monotonia. L’abitudine, il rito delle giornate tutte uguali. Mia madre diceva il tran tran. E io ho preso da lei: tiratemi fuori dal mio tran tran e sono morta. Una talpa morta stecchita. Serve anche la noia. Passare ore intere a guardare l’arco terroso della propria galleria e non saper che fare. È l’idea di dover fare sempre, che è sbagliata. Non è da talpa. Non fare è invece un’ottima attività per la mente. E serve anche il buio. L’ombra. Non certo i fari puntati addosso.

Ma certo per noi è facile. Le talpe non viaggiano. Non prendono aerei, treni. Non cambiano paese, nazione, continente. Non sanno nemmeno bene cos’è un continente, ne hanno un’idea vaga, perlopiù legata a certi momenti in cui, non sapendo che altro fare, contemplano un mappamondo, lo fanno girare un po’ e poi puntano la zampa a caso sopra un posto e vedono come si chiama. Le talpe non viaggiano, percorrono gallerie. Anche abbastanza lunghe, a volte di un chilometro. A volte, quando sbucano, si fanno un giro per i prati, le colline, costeggiano torrenti. S’addentrano anche nella città, ogni tanto, per curiosità. Ma sono giretti, non viaggi.

Quindi, lungi da noi voler insegnare agli altri. Non abbiamo esperienza.

Volevo solo dire che forse potremmo abituarci a viaggiare un po’ meno. Dico anche dopo, quando sarà tornata la normalità. Una volta sì e una volta no, per esempio. Tirare la monetina. Oppure ancor meglio chiederci, di fronte a ogni viaggio, se è davvero indispensabile. Perché se non lo fosse, se risultasse che possiamo vivere lo stesso senza fare quel viaggio, be’, credo che non dovremmo farlo.

Un po’ quel che diceva Rilke al giovane poeta: “Nessuno può consigliarLa e aiutarLa, nessuno. V’è un solo modo: approfondisca se stesso, indaghi il movente che a scrivere La sospinge... Si confessi se morrebbe qualora Le venisse negato di scrivere.”

“Basta sentire che si può vivere senza scrivere, per non doverlo fare.”

È la stessa cosa. Confessiamoci se moriremmo qualora ci venisse negato di viaggiare...

Ma poi, metti che riuscissimo a cambiare, a viaggiare di meno: potremmo farlo? Non salterebbe l’economia?

Vale per tutto: se cambiassimo davvero modo di vivere, se decidessimo che la vita d’ora in poi può essere diversa, se andassimo di meno al ristorante, di meno in vacanza, di meno a far shopping, il mondo economico crollerebbe.

E allora? Quanto siamo liberi di coltivare utopie?

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