5. La stanza dei topi
Continuo a capirci poco. E questo è normale: noi talpe non abbiamo fatto gli studi giusti, e abbiamo la testa girata in un certo modo, le cose troppo scientifiche ci sfuggono.
È che a questo punto qualcosa in più vorrei capire: se veramente, come pare, ci faranno uscire, bisognerà sapere quanta paura dobbiamo avere o quanto coraggio. E per avere il coraggio di lasciare la tana, bisogna avere speranza. E per avere speranza, bisogna conoscere, avere notizie certe. La speranza di non beccarci subito il nemico addosso appena usciti si basa sulla certezza che non ci siano più nemici, o ce ne siano davvero molto pochi. La speranza non può germogliare sull’ignoranza.
Abbiamo bisogno di sapere di più, non ci bastano i dati che ci vengono offerti. Coltiviamo dentro di noi mille dubbi e mille domande. Ogni tanto in tivù qualche coraggioso giornalista pone queste domande agli esperti, ai governanti. Che rispondono senza rispondere. Hanno tutti affinato un’arte di non risposta veramente ammirevole, riescono a parlare anche per dieci minuti senza dire nulla di chiaro. Molto fumo. Molta nebbia. Chi sono i guariti? Quanti i morti reali? Quanti i nuovi contagiati al giorno? Perché continuiamo ad ammalarci? Perché ora ci faranno uscire se il contagio continua? Abbiamo queste risposte? No, ma in compenso abbiamo un mare di raccomandazioni. Una in particolare: stare lontani, il più lontano possibile l’uno dall’altro.
Quando mi sale l’ansia chiamo il mio amico Pantaleo, che fa lo studioso. (Ah, Pantaleo, se non ci fosse lui come farei?). Da due mesi è chiuso nella sua galleria a studiare numeri, grafici, previsioni. Quando gli chiedo un dato, una chiarezza, una luce, lui mi dice un numero, e poi aggiunge: Però è fuorviante. E parte con lunghe spiegazioni che non capisco. È troppo matematico, non ci arrivo. Ma non oso dirglielo. Allora mi arrangio: quando non capisco, mi faccio venire delle immagini per tradurre. Mi serve tantissimo, tradurre. Le immagini sono meno astratte, più facili, più chiare.
Per esempio adesso provo a immaginarmi una stanza piena di topi. I topi sono molto familiari, a noi talpe. Ce ne capitano di continuo tra i piedi. Topi di campagna, intendo, perché le talpe abitano in campagna, non certo in città.
Allora, facciamo che l’Italia adesso è una stanza piena di topi. Bene, noi tutti siamo dentro quella stanza. I topi sono sparsi ovunque sul pavimento, e noi ci siamo costruiti una montagnola di terra e ce ne stiamo inerpicati lassù al riparo, raggomitolati, cercando di proteggerci. E questo sarebbe il lockdown: non ci pensiamo neanche di scendere dalla montagnola. E questo sarebbe la campagna #iorestoacasa. Chiaro.
Continuiamo. Nella stanza ci sono due finestre: da una entrano continuamente nuovi topi, che arrivano negli ospedali febbricitanti e debilitati, con il pigiamino sotto il braccio e il termometro in bocca; dall’altra finestra escono topolini pallidi e magri ma sorridenti (i guariti), e topolini ahimè stecchiti, che vengono in fretta e furia portati via (i morti). Sulla montagnola, noi talpe per il momento illese guardiamo allucinate la scena.
Bene. Ovvio che il lago di topi sul pavimento rappresenta il numero dei contagiati (vecchi contagiati + nuovi contagiati – guariti – morti). Ma non è così semplice: ci sono anche i topi nascosti sotto i mobili!
Quelli non li vediamo. Sono i cosiddetti numeri occulti. Quelli che chiamiamo asintomatici o paucisintomatici: non sono malati però sono contagiosi. Ebbene, quelli li becchiamo solo col tampone. Ecco perché Pantaleo mi dice che il numero dei contagiati che ci viene detto è fuorviante: perché dipende da quanti tamponi faccio. Appena riesco a beccare uno dei topi nascosti sotto i mobili (cioè gli faccio un tampone), quello (se è positivo) è un nuovo contagiato. Ma in realtà lo era già, contagiato! Solo che io (non beccandolo) non lo avevo conteggiato... Lui se ne stava bel bello malato sotto il mobile, capito? Era malato, ma io non lo vedevo.
Il problema è che sotto i mobili c’è una quantità spaventosa di topi! Non è che, poiché io non li vedo, loro non esistono. Mai come adesso quel che non si vede esiste.
Pantaleo dice che bisogna moltiplicare per venti il numero dei malati che vediamo. Per venti? Secondo me esagera, verrebbe un numero mostruoso: se ne vedo mille, in realtà sarebbe che i topi contagiati sono ventimila.
E qui la mia traduzione per immagini vacilla, non lo nego: come ci possono stare ventimila topi sotto i mobili? A meno che...
A meno che non spuntino di continuo da sotto il pavimento! Questo vorrebbe dire che il pavimento è bucato, che ci sono delle gallerie sotterranee (magari una galleria lasciata aperta da una talpa distratta?): i topi fuoriescono da lì, a getto continuo, e si riversano nella stanza, s’acquattano sotto il comò, la credenza, il tappeto.
Dunque dobbiamo fare il tampone ai ventimila topi occulti. Già. Ma non lo stiamo facendo. Perché?
Pantaleo alza le spalle. Secondo me lo sa ma non lo vuol dire, per non allarmarmi. Si trattiene. Ma io lo vedo che è furioso, questa storia dei tamponi assenti gli annebbia l’abituale serenità. Farfuglia qualcosa tipo: non abbiamo i tamponi, li abbiamo ma dicono che non è il caso di farli, che non serve, abbiamo i tamponi ma non i reagenti, dicono che ci stanno lavorando e un giorno li avremo...
Quindi?
Mi sono persa.
La stanza brulica di topi invisibili.
L’immaginazione è pericolosa, lo abbiamo sempre saputo.
Come farò a trovare il coraggio di scendere dalla montagnola?