19. I negozi chiusi

Ho sentito per telefono Patrizia, la talpa dell’agenzia viaggi. L’ho chiamata per nostalgia. Andavo abitualmente da lei a fare i biglietti per i miei piccoli viaggi, anche spostamenti minimi. Sono inabile a prenotarmi un treno online. Lo so che è ridicolo. Mai comprato neanche uno spillo su Amazon, per dire. Ci ho provato, sono andata sul sito, è anche molto divertente scorrere con l’unghia su tutta quella roba in vendita che basta cliccare ed è tua, te la portano dritto in tana. Ho anche cliccato e messo nel carrello due o tre cose, è stato bello. Ma poi mi si ingarbuglia tutto. Mi si blocca la zampa sulla tastiera. Quindi vado da Patrizia, che è gentile e mi fa tutto lei. Ma ora la sua agenzia è chiusa, ovviamente, e lei mi manca.

Penso a tutti i negozi chiusi che prima frequentavo, alle persone che ci lavoravano e con le quali avevo una familiarità buona, affettuosa. Talpa Monica, del negozio di stoffe dove vado a farmi fare ogni tanto una tenda, o comprare due o tre asciugamani. Il mio parrucchiere talpa Enzo, che ogni volta s’inventa un taglio nuovo, a seconda di come gli gira. Talpa Cinzia che mi ha salvata, una volta che mi si era ammalata la pelliccia. La mia amica talpa Mo maestra di pilates, ma anche di letteratura, di fotografia e di volo d’aquile, civette e nibbi. La libraia Claudia, la talpa con cui vado a chiacchierare ogni volta che mi viene voglia, e non solo di libri.

Penso anche ai luoghi, che ora se ne stanno soli e vuoti. Penso ai bar, negozi, ristoranti, ferramenta. Penso alle piazze, agli alberi, alle panchine. Alla Biblioteca Nazionale, dove andavo a scrivere ogni giorno, raggiungendo a piedi piazza Carlo Alberto, fermandomi per un caffè in via Po, o in quello splendido angolo di Torino che è piazza Maria Teresa, dove c’è un bar che in primavera mette i tavolini sotto i platani.

È tutto chiuso. Lo sappiamo bene.

Ma quando diciamo che un posto è chiuso, non fermiamoci alle porte sbarrate o alle saracinesche abbassate. Sono le persone che sono “chiuse”, che se ne sono andate altrove, lontane dai loro luoghi. Chissà cosa fanno ora quelle persone, i titolari dei negozi, i dipendenti, camerieri, inservienti, bibliotecari, commesse. Dove si sono rintanati? Come vivono la loro esistenza da talpe?

È come un’ombra che si scolla da una persona: tutti si sono sdoppiati, nella nostra mente. Un po’ rimangono quel che erano, li vediamo, li ricordiamo nei loro negozi, nei loro uffici, perché questo continuano a essere per noi: il parrucchiere, il cartolaio, il preside, la barista, il commercialista. E un po’ la loro ombra s’è staccata ed è andata a vivere una vita oscura e nascosta, di cui non sappiamo più niente.

Penso anche a chi invece continua a lavorare, ma io non vedo più perché non esco. Non esco perché ho paura. Continuo a stare rintanata da settimane.

Le commesse del supermercato, per esempio, col loro berrettino verde. La panettiera che fa i biscotti al latte, le torte salate alla zucca e mi consiglia ogni volta il pane giusto per me, che non posso mangiare cibi integrali. Il verduraio che mi vende le mele essiccate. Il giornalaio di poche parole.

Tutte queste persone lavorano come prima, sono rimaste al loro posto e continuano senza sosta a fare il loro dovere, con uno spirito di servizio encomiabile. Ma io non le vedo più.

Sono io che manco. Io che mi sono assentata e le ho tradite.

Facendomi portare la spesa a casa!

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