26. Lezioni a distanza

Continuiamo tutto, in questi giorni in cui tutto s’è fermato.

Continuiamo anche a fare scuola. Non la riapriamo, ma non vogliamo assolutamente che la scuola si fermi.

E facciamo lezione via Internet.

Me lo raccontano talpa Mora e talpa Gianni, che sono insegnanti da una vita. Funziona così. L’insegnante a casa, e gli allievi anche, ognuno a casa loro. Ci si vede sullo schermo del computer. L’insegnante spiega, assegna i compiti, interroga, e l’allievo ascolta, studia, fa i compiti e viene interrogato. Può sembrare uguale a prima. Più o meno i programmi vengono svolti, le materie studiate, gli esami si faranno e i titoli di studio verranno rilasciati.

Bene, non ci si è fermati. L’ingranaggio va avanti. Missione compiuta.

Eppure non so, qualcosa non mi torna. Rimango pensierosa.

Ci sono cose che sembrano vive e invece non lo sono. Non voglio dire che sono morte, ma inanimate. Chiedetelo ai passerotti. Di fronte a uno spaventapasseri scappano che è un piacere. Terrorizzati. Io li vedo. È una vita che li vedo, soprattutto quando è stagione di semina: si avvicinano affamati cercando di beccare i semi che il contadino ha sparso tra le zolle, poi vedono lo spaventapasseri e, essendo passeri, si spaventano. Vedono che a quel tale gli si muove un braccio, che gli vola via il cappello, che gli si agitano le vesti al vento, e credono sia un uomo vero, lì piantato a terra, un uomo cattivo che li vuole prendere. E scappano. Vagli a spiegare che è un fantoccio. Eppure è un fantoccio, noi lo sappiamo bene.

Una scuola fatta su video a me pare inanimata. Come se non avesse l’anima. Sembra vera, come uno spaventapasseri, ma non lo è.

Mi tornano i ricordi di quando andavo a scuola. La cosa più bella era ascoltare le lezioni. C’erano certi insegnanti che facevano lezione da dio, rimanevi appesa alle loro parole, ti sembrava di volare.

E avevano un loro modo di far lezione, ognuno il suo. Certi non si schiodavano dalla cattedra, altri se ne stavano tutta l’ora in piedi, o si mettevano a gironzolare per i banchi. E chi agitava le mani parlando, chi urlava, chi faceva disegnini alla lavagna e si riempiva di gesso e se lo passava ovunque, anche sul viso, e così imbiancati facevano morir dal ridere.

Voglio dire che non era solo la lezione, il far lezione. Era uno spettacolo, irripetibile. Proprio come a teatro, che la commedia è sempre quella ma ogni sera cambia, gli attori la recitano in modo diverso, perché c’è sempre qualcosa che succede intorno, o dentro di loro, e quel qualcosa li “sposta”.

(Vi siete mai chiesti perché gli spettacoli teatrali preferiamo andarli a vedere a teatro invece che guardarli registrati su un cd, mentre un film accettiamo tranquillamente di gustarcelo in tivù o sullo schermo di un computer?).

Era una specie di miracolo, una lezione. Qualcosa che accadeva solo lì, in classe, solo davanti a noi e solo per noi studenti. Un miracolo dedicato. Destinato.

Ma il bello è che tutto era imprevedibile. Non sapevi mai di cosa veramente ti avrebbe parlato l’insegnante. Magari doveva spiegare Garibaldi, o una poesia del Pascoli, o le leggi della termodinamica. Ma poi, chissà cosa gli succedeva nella testa, si metteva a parlare di tutt’altro. Lasciava la strada principale e prendeva per certi viottoletti e sentierini laterali che lo portavano altrove, e di botto ecco che ci parlava di una barca a vela, di un angelo, di come faceva la frittata sua nonna, di un libro che aveva appena letto... E noi eravamo come foglie portate da un vento. E non avremmo voluto tornare mai, sulla strada principale.

Oppure qualche volta durante la lezione entrava una mosca, o uno di noi giocava col portachiavi di peluche, o aveva, quel giorno, un canguro disegnato sulla felpa: e allora l’insegnante, che magari stava interrogando, si distraeva e scoppiava a ridere. Era bellissimo. Perché quando un insegnante di colpo ride, nella classe si apre un varco, un panorama, un infinito...

Secondo voi tutto questo può esserci, in una videolezione?

No, non può esserci. Secondo me l’insegnante che fa lezione davanti a uno schermo è fermo, perché nulla gli succede intorno. Può anche fare bellissime lezioni, molto utili, molto efficaci. Va avanti nel programma, sì. Ma le sue lezioni non hanno l’anima, perché lui sta fermo. Non passa tra i banchi, non vede mosche, non sente l’aria che aleggia in classe.

Non c’è nessun vento, in una videolezione.

È per questo che ho paura. Se penso che qualcuno, ora, potrebbe sfruttare questa emergenza per far trionfare finalmente la tecnologia digitale nella scuola; se penso che potrebbe pensare a una scuola per sempre fatta di videolezioni a distanza e magari chiamerebbe tutto questo svecchiamento o modernizzazione, mi viene una paura da far paura.

Un po’ come quando mi scontro con un toporagno. Capita, certe volte che sono soprappensiero e vado tranquilla per la mia galleria e di colpo me ne trovo uno davanti, che se ne va bel bello, con quei denti lunghi da coniglio, gli artigli, e quelle vibrisse che vibrano nell’aria da ogni parte. E, non so, mi sento intrappolata.