10. La paura e le formiche rosse
La paura è un potente meccanismo immaginativo. È immaginazione pura. Quando abbiamo paura di qualcosa, è perché noi ci prefiguriamo nella mente quel che potrebbe essere di lì a poco, in un lasso di tempo più o meno lungo o breve. Noi immaginiamo quel che sarà, ed è di quel fantasma che abbiamo paura. Possiamo dire che la paura si nutre di fantasmi.
Se ci sta davanti un leone, noi abbiamo paura di lui perché lo vediamo nell’istante in cui ci divorerà. Noi pre-figuriamo il leone che ci divora. Ma nell’attimo in cui abbiamo paura, il leone è fermo e non ci sta affatto divorando. Anzi, se si è appena nutrito, è possibile che non ci pensi neanche, a mangiare noi. Quindi non dovremmo affatto avere paura, se ci fermassimo all’attimo presente e reale. Invece noi andiamo avanti nel pensiero, saltiamo il presente e ci proiettiamo in un futuro prossimo spaventoso.
Abbiamo, noi esseri umani, questa terribile capacità di anticipare mentalmente gli eventi. Siamo sempre qualche fotogramma dopo, con la paura.
Il nostro più grande desiderio sarebbe quello di saper vivere solo nel presente. Ma dico proprio nel momento presente e basta, e poi momento dopo momento allo stesso modo, come se ogni momento fosse unico, e tutti i momenti scollegati.
Forse basterebbe interrompere la catena dei momenti, per non avere paura.
Oggi abbiamo paura di ammalarci.
Abbiamo più o meno sempre paura di ammalarci, ma oggi di più. Ovvio, perché oggi è una possibilità molto concreta, visto che intorno a noi molta gente si ammala. Non ne parliamo mai, tra di noi, in questo periodo. Ci sentiamo mille volte al giorno, ma la malattia non è nei nostri discorsi. Questo non toglie che sia, invece, nei nostri pensieri. È un pensiero che non abbiamo voglia di dire, un pensiero tabù. Ci fa bene non parlarne. Tanto lo sappiamo che è l’argomento sotteso a tutte le nostre conversazioni. Anche quando ci inviamo (così freneticamente) i nostri stupidi video, milioni al giorno, e li clicchiamo e riclicchiamo novanta volte l’uno, il vero messaggio che vogliamo mandarci è solo questo: ho paura di ammalarmi. Cioè mi vedo, nella mia immaginazione, malato. Vedo che esiste questa possibilità, davanti a me. E quindi, con l’assurda speranza di rasserenarmi, ti sommergo di questa valanga di stupidi video, abbi pazienza.
Non è esattamente che abbiamo paura di morire. No. La paura di ammalarsi non è la paura di morire. Certo, la malattia può condurci alla morte. In questo periodo, purtroppo, vediamo che accade. Ma è molto diverso. La paura di morire fa parte della vita. È in noi da sempre. E la morte, nella nostra immaginazione non ci fa paura, non solo perché è parte della vita, ma perché è un punto. Un momento del tempo così microscopico e puntiforme che non riusciamo neanche a immaginarcelo. Troppo piccolo, troppo simile a un nulla. Tac! Un colpo. Nel nostro immaginario la morte può giusto essere o un colpo al cuore o un colpo di fucile. Più plastico, il colpo di fucile, più facile da vedere.
La malattia invece non è un colpo. Ha una durata. Ed è soprattutto questo che non tolleriamo della malattia: che duri, che per un tempo più o meno lungo ci metta la vita tra parentesi. È quel tempo sospeso che, lavorando con l’immaginazione, purtroppo riusciamo a figurarci, e quindi ci fa paura.
Per fortuna esistono le formiche.
C’è un formicaio di formiche rosse proprio accanto alla mia tana. Stamattina ho messo il muso fuori e l’ho visto. Sempre così. Possibile che costruiscano il loro formicaio sempre attaccato a me? Con tutto lo spazio che abbiamo... Mi rovinano il panorama. Io esco e mi trovo la loro montagnola davanti alla mia, affiancata. Che brulica. Santo cielo, quanto brulica un formicaio!
Son rimasta almeno mezz’ora a guardare. Tutta quella terra smossa, bucherellata, una terra che diventa ariosa e leggera come una spugna. E poi a guardar bene c’è tutto quel movimento, in superficie, che non si capisce cosa sia, sembrano piccole frane, smottamenti microscopici. Poi capisci che sono loro, le formiche. Milioni di formiche frenetiche, impazzite, una addosso all’altra, che si spostano, su e giù, da una parte all’altra, entrano ed escono dai loro minuscoli forellini. Che cosa stanno facendo? Portano larve sulle spalle? O briciole di cibo? O niente, e camminano e basta, vagabonde, perditempo?
Una volta da bambina mi sono seduta su un formicaio. Mia madre me l’aveva detto di stare attenta, ma io ero piccolina, cosa ne sapevo di formiche e formicai? Non avevo fatto caso se erano formiche rosse o nere, o forse non credevo fosse così importante di che colore fossero. Mi sedetti accanto per giocare con loro. Naturalmente erano formiche rosse, mi pizzicarono il sedere, e quella notte non riuscii a dormire.
Ecco, credo che finché avremo ricordi, finché un formicaio del presente ci farà tornare a un più remoto formicaio, saremo salvi.
Il tempo dell’immaginazione, per fortuna, è anche a ritroso.
E andare a trovare la propria infanzia è una cosa buona, che fa bene. Esattamente il contrario che immaginare malattie.
Il passato non ci farà mai paura.