31. Frivolezza
A un certo punto però, poche storie, dovremo tornare frivoli.
Abbiamo tutti una parte frivola, che in genere tendiamo a soffocare per non sembrare frivoli. Ma è ora di finirla. Anche perché adesso la frivolezza ci serve, ci serve moltissimo. È come fosse l’unica boa in mezzo al mare.
Frivolezza è una parola sfortunata e malintesa. Le abbiamo sempre dato un valore negativo. Se di una persona diciamo che è frivola, vuol dire che vediamo in lei un difetto, una colpevole mancanza.
In questo periodo, poi, più che mai ci sembra un errore imperdonabile, qualcosa che stona orribilmente, del tutto fuori luogo. Che può c’entrare la frivolezza con il dramma sanitario, con la minaccia di povertà, con l’ansia di perdere il lavoro?
Prendo il dizionario. Lo consulto spesso, quando non ho le idee chiare. C’è scritto: “Incapacità di concepire o sentire in modo serio e profondo, mancanza d’impegno, di maturità, di responsabilità.” Accidenti!
Anche le cose possono essere frivole. Cose “di poca importanza, di scarso pregio”. Inezie, quisquilie. Cose di cui non val la pena di occuparsi.
Superficialità, vanità, futilità.
Leopardi scrisse: “Non è cosa più dispiacevole e dispettosa all’uomo afflitto, e oppresso dalla malinconia, dalla sventura presente, quanto il tuono della frivolezza e della dissipazione in coloro che lo circondano.”
Peggio di così...
Eppure...
Frivolezza non è divertirsi. E non c’entra con l’essere utili o inutili, stupidi o intelligenti, spendaccioni o parsimoniosi.
È un’altra cosa.
Prendo il dizionario etimologico. Quando mi sento spersa, ricorro all’etimologia, che racconta la storia vera e profonda delle parole. (Noi frivoli siamo, a tratti, molto profondi). Frivolezza viene dal verbo friare, sminuzzare. Frivolo dunque vuol dire friabile, fragile. Facile a polverizzarsi.
Ecco perché la frivolezza non è poi così estranea a questo nostro tempo. L’avevo intuito. Noi siamo, oggi, più che mai fragili, esposti a sminuzzamento, disperdibili, aerei, inconsistenti.
Forse siamo frivoli perché lo sappiamo, al fondo di noi, in modo confuso e non razionale, di non essere niente, sentiamo che basta un nonnulla a sbriciolarci in polvere. E allora ci viene ancora di più, di diventare superficiali e futili, di fare cose frivole. Perché sappiamo d’essere così... polverizzabili.
In tempi di quiete e normalità, facevamo un mucchio di cose frivole. Andavamo al bar a mangiarci un inutile e dannoso pasticcino, ci regalavamo insulse collanine di pietruzze colorate, ci compravamo l’ennesimo peluche, correvamo dietro una foglia sospesa nel vento. Entravamo spesso da Tiger. E lì ci riempivamo di oggettini stupidi e irresistibili (così sembravano a noi, che non riuscivamo a resistere): un temperino a forma di galletto, una tazza con la proboscide, un giochino di palline e piccoli birilli da tavolo. Andavamo anche molto all’Ikea, per mangiare le polpettine svedesi. Alcuni di noi si smaltavano le unghie di rosso. Eravamo normalmente e naturalmente frivoli. Con leggeri sensi di colpa, d’accordo, ma lo eravamo.
Lo so che adesso è difficile, ma dovremmo trovare il modo di tornare a essere frivoli, e leggeri.
Ecco, la leggerezza. Diventare volatili e imprendibili. Forse la frivolezza è il nostro modo di uscire dalla morsa, liberarci dal peso, svicolare dai ruoli, dalle leggi del lavoro e del denaro, dai commerci, da ogni forma di contratto e costrizione. Essendo frivoli, ci sganciamo. Allentiamo il gancio che ci tiene e usciamo. Usciamo veramente, non solo per la passeggiatina sotto casa o la gita al mare. Usciamo anche da noi stessi e andiamo dove ci pare. Seguiamo un odore, una siepe di more selvatiche, le piroette di un insettino. Prendiamo per certi vicoletti secondari, lasciando con nonchalance la strada principale. Ce ne facciamo due baffi, di tutto ciò che è principale. Ci concediamo il lusso di prenderci il tempo. Scavare gallerie che non portano da nessuna parte. Ridere, giocare, fare cose stupide e inutili. Spensierarci.
Che la frivolezza abbia a che fare con la libertà?