SANDRO PERTINI
Apparentemente ‘eccentrico’ (per l’umanità e spontaneità dei suoi atteggiamenti, poi), Sandro Pertini si è venuto mostrando, in realtà, un interprete delicato e saggio della Presidenza della Repubblica Italiana, costituzionalmente assai rispettoso delle prerogative e delle cariche in un regime politico che non è un governo presidenziale, attento però a supplire – con la ‘presenza’, col ‘messaggio’, col ‘gesto’ – alle eventuali e non infrequenti carenze del governo, delle sue mosse, dei suoi ministri. E specialmente, preferibilmente, ov’è questione di umanità, di popoli, di Grandi Temi, di «atteggiamento italiano» al di là delle contingenze e dei dettagli della politica internazionale e interna.
Questa saggezza e questa delicatezza, insieme a un uso accorto e assai naturale della longevità, della vivacità, della simpatia, sono state giocate felicemente soprattutto nel riproporre la popolare figura del Burbero Benefico, cioè del nonno apparentemente bisbetico, di fondo austero e severo, ma in realtà cuor d’oro. Era la ‘tecnica’ più indovinata a cui ricorrere, volendo ridare lustro e prestigio e affetto collettivo a una carica un po’ affranta, appannata e offuscata giacché indossata male da più di un predecessore.
E l’affetto conferisce autorità, anche perché la partecipazione assidua e sincera ai grandi avvenimenti popolari festivi o afflitti – dalle calamità naturali alle vittorie calcistiche – equivale in fondo agli studi assidui di un Luigi Einaudi nella Biblioteca dell’Economista, quando l’impegno a servire e rappresentare la collettività appare così alto e disinteressato e autentico: sostenendo di volta in volta il Parlamento o la moneta, o i diritti umani, e prendendo atteggiamenti fermissimi, esemplari, contro il terrorismo, il teppismo, le congiure e le trame, gli sbandamenti, le degenerazioni più scadenti del trasformismo italiano.
Così, pure attenendosi rigorosamente ai dettami della Costituzione in materia di divisione dei poteri, il Presidente della nostra Repubblica finisce per rappresentare, e ‘proiettare’, l’immagine dell’Italia di ieri e di oggi con singolare efficacia umana, oltre che diplomatica, molto al di là dei nostri confini: una immagine antica e attenta ai problemi contemporanei di giustizia e di lotta all’iniquità, di comprensione reciproca e di equilibrio fra i popoli. Senza arroganza, né ‘understatement’.
In questa impostazione si riconosce soprattutto la ‘gente’, non solo negli atteggiamenti spontanei da nonno buono e non conformista. Sa riconoscere, insomma, un interprete della Politica e della Diplomazia in un senso più alto, più ampio, più profondo delle continue interviste sulle posizioni reciproche, delle recensioni di politologia settimanale analoghe a una routine dei ‘segnali’, a un bollettino degli ‘avvertimenti’.
L’ultima volta che ho visto Pertini, stavo conversando a un ricevimento del Quirinale, quando mi sono sentito due dita improvvisamente nel colletto. Era il Presidente, che andava in giro a controllare i cravattini, e ne aveva già trovati diversi col nodo già confezionato. Li trovava deplorevoli, e li redarguiva parecchio. «È una mancanza di riguardo! Fammi vedere il tuo!». «Ma Presidente, non mi permetterei mai di venir qui con un nodo già fatto!». «E allora spiegaglielo, a questi, che è facile come farsi il nodo alle scarpe! Io ci riesco anche senza lo specchio, guarda qui! E me lo faccio per rispetto ai miei ospiti!».
Avevamo lo stesso sarto, il Padovini, in Campo Marzio. E nel salottino delle prove c’erano tre foto dedicate: la mia, la sua, e quella di Tino Buazzelli, famoso attore. Il Padovini sarebbe stato lieto di andare a fare una prova al Quirinale. Con la sua Cinquecento; e poi raccontando tutto a sua moglie. Ma Pertini: «Non devi disturbarti! Vengo io da te!». Questo significava perquisizioni dei Servizi, subbuglio nel laboratorio e nel quartiere. Una giornata persa.
Ma anche chi è stato solo una volta ai piccoli pranzi non ufficiali nel torrino del Quirinale, ricorderà con qualche commozione le conversazioni di quell’anziana Italia laica e dabbene succeduta con decoro alle élites eleganti dell’antifascismo liberale ormai antico. «Abbiamo pranzato insieme al torrino» sembra già diventato, in giro per l’Italia civile, un segnale educato di riconoscimento nostalgico.