MARIO BORTOLOTTO
Piacere, Godimento... Desiderio, Seduzione... Poveri imprudenti e abusivi termini tanto trafficati da una critica della Letteratura che si propone come fatica e pena e burocrazia e catena di montaggio della Letteratura... Già a partire dai terrificanti manuali di laboratorio e seminario destinati alle scuole dove, in chili di carta e migliaia di pagine più gremite e moleste degli esercizi greci e matematici che un dì ci afflissero in istituti punitivi, ora le pagine più «a tu per tu» di autori incantevoli risultano occultate e sommerse da interpretazioni e analisi macchinose... Come se per «E lasciatemi divertire» fosse ora indispensabile cavillare con una barriera di uscieri. Come se per capire Thomas Mann o Carole Lombard, Gilberto Govi o Hugo von Hofmannsthal, fosse davvero necessario sobbarcarsi alle velleità carrieristiche o alle griglie non-stop di bidelli autocitazionisti e faccendieri.
Quando fu l’ultima volta che ci si poté imbattere in una critica letteraria come prolungamento e ampliamento del Piacere provocato da un testo – ‘testo’ almeno come un quadro o un cibo – e non già cartella fiscale o clinica in vista di scatti, ruoli, sottomissione mandarina inflitta a candidati che tirano al furbesco «pezzetto di carta» occorrente per adire gli impieghi e le pensioni del ‘terziario’, coi valvassini alle spalle delle imposte versate dalla collettività per lavori di utilità pubblica?
Sovente, questo piacere perduto nella critica letteraria, e intermittente nella critica d’arte, è andato a rifugiarsi nella critica musicale. Bruno Barilli e Giorgio Vigolo e Gabriele Baldini hanno volentieri prolungato e ampliato in magnifica prosa letteraria il godimento diretto e privato del Fruitore alle prese con l’esecuzione all’Opera e al concerto, o con la compitazione dello spartito. E già Mario Bortolotto animava questo spazio-spettro non più post-rondesco bensì meta-adorniano, con i grandi e minutissimi saggi ossessivi di Fase seconda (titolo elettricistico), intorno a compositori nostrani contemporanei forse non tutti grandi: tanto da domandarsi ora se sopravvivranno maggiormente le loro composizioni, o questi saggi. (Così come perdura il Cardinal Vannutelli, o i suoi ritratti dovuti a Scipione?).
Vertiginosi e fosforescenti, rutilanti nel profondo e maestosi nel capriccio, gli iper-saggi di Consacrazione della casa – titolo da Previdenza Sociale? – attraversano alcune figure-cardine della (pre)modernità musicale avvinghiandone i procedimenti e gli emblemi e i fantasmi nel climax di una Crisi che è spasimo di creatività longeva e possente: Lohengrin e La dama di picche, Lulu naturalmente per Berg e Capriccio estrosamente per R. Strauss; Pelléas et Mélisande soprattutto forse a causa di Boulez e Proust, Madama Butterfly con un Puccini che spiazza perfino Moses und Aron per sevizie e malizie; e in una epifania di trasalimenti, l’eccelsa Carriera del Libertino di Stravinskij. Quale «bonne bouche» che è il contrario di ogni «manica larga», una Cavalcata non di «qui vous savez», ma di operettacce birichine e sublimi. Una conversazione di picchiettati, come nella Fledermaus. E in sede di bis trionfale, là dove Pavarotti colloca «Donna non vidi mai» e «Nessun dorma» dopo quattordici Tosti, ecco Berlioz e i suoi Troyens.
Cigno e tzigano, Praz e Dr. Caligari, Benedict (di Berlioz) e Manganelli, questo infido maestro insostituibile costantemente agisce come un Diaghilev cerimoniale e teppista. Mentre i manuali intimano agli scolaretti che per apprezzare Citizen Kane è obbligatorio conoscere i titoli e le date di qualche rinomato critico. E nei teatri pubblici si spiega che Petrolini sarà un reperto per teche ufficiali e bacheche didattiche, senza più nessi con un café chantant dove potevano scoppiettare battute impreviste fra piatti di Pirandello e bicchieri di Bontempelli... Mentre si espande una salutare pennichella critica intorno alla riposante scoperta di una coincidenza (Roland Barthes, stufo di ‘systèmes’) fra il Piacere del Testo e il Bello paleo-crociano tuttora disponibile per i vari usi scolastici.
... Fra Contesse e Cassandre, Golaud debussiani e Geschwitz berghiane, Offenbach e Adorno, questa mirabolante Scrittura-Seduzione si aggira tutta spie e segni e indizi tra ‘minima’ decadenti e monumenti della Lirica. Ecco le astuzie linguistiche, e cariche di allusioni; gli accorti accoppiamenti, le modulazioni improvvise; il divisionismo armonico, gli agganci lubrificati; i timbri falsamente accordati, gli espedienti falsamente abituali, gli effetti giustificabili; le sigle mondane, lo snobismo feroce, la protervia inesauribile. Il confronto fra tentativi di capolavoro. La paradossale affinità fra ogni squisitezza in Arte, e il Kitsch. Riecco le unità aristoteliche nella Tosca... La successione delle durate rispetto alle oscillazioni d’accento, nel sopraffino orecchio di Strauss... Ecco allora, insomma, una Consacrazione del Piacere e del Desiderio, in casa.
Si fa presto, a dire comunemente: il piacere del testo. Ma quando il testo è Mario Bortolotto, i piaceri sono numerosi, e deliziosi.
Il diletto dell’erudizione smisurata, proliferante, intersecante, e giustamente bizzarra, con tutte le sue eccentricità giuste – e qualcuna in più.
Ancora la voluttà di una sovrana squisita leggerezza, che tutto o quasi può permettersi, perché agisce talmente (e totalmente) dall’alto.
Sono doti sempre più insolite in una cultura come la nostra che pure ha avuto personaggi di complessità e charme incantevoli: R. Longhi, M. Praz, C. Brandi, G. Contini, G. Macchia. E lì, altro che la seriosità pedante, le mediocri beghe e trame per i piccoli poteri, le recensioncine mirate con un secondo o terzo fine... Buonanotte.
Gli incontri coi testi di Mario Bortolotto sono sempre stati grandemente formativi, oltre che di immensa amabilità e piacevolezza; e diciamo pure divertimento, per la forte carica di sense of humour filosofico e poetico.
Il mirabolante panorama polemico delle avanguardie musicali oggi leggendarie, o decadute: Fase seconda, tanti anni fa. Un monumento al mito o feticcio Adorno, cotto, mangiato, attraversato su e giù, poi magari vomitato. In abito da sera, bevendoci su un prosecchino.
E le virtuosistiche, capricciosissime raccolte di saggi turbinosi, frenetici. In Consacrazione della casa si riscontrano sensazionali cammei sulle fantastiche perversioni Kitsch che elevano i peggiori eccessi snob alla perfezione degli Assoluti. Nel caso dell’Opera tardo-ottocentesca, stavolta: soprattutto in quelle già considerate abominevoli da severissimi snob più antichi.
Ecco or ora le perfezionistiche pionieristiche indagini di Dopo una battaglia, per rintracciare nel più morboso decadentismo ‘salottiero’ francese le vere origini occulte di tante trouvailles d’avanguardia già attribuite alle più gloriose scuole viennesi. Un abbacinante pulviscolo o crepuscolo quale fondale impalpabilmente irradiato dagli evanescenti mardis di Mallarmé... Attraverso i densi e tortuosi percorsi della musica russa in Est dell’Oriente... La Nervosität incombente su ogni modernità viennese o bavarese ne La Serpe in seno... Mentre pende pende sulla Lodoïska di Cherubini la cena della narcotizzazione reciproca: due tavoli, e «Là, là, non hanno alcun sospetto... Là, là, tra poco sono a letto»...
Ma finalmente, il testo. Bortolotto même, in person, in concert, live. Maître inarrivabile di soirées nonché di percées musicali incontenibili. Godimenti interpretativi privilegiati, pari soltanto alla profondità pétillante e moussante del pensiero come dello stile. Ghiotto, rigoglioso. Succulento e dry.
«Perciò le arpe, stasera», diceva il venerato Richard Strauss sul limine del sublime Capriccio. Ma con strenua capacità di analisi, come voleva il sommo Igor.