FURIO COLOMBO
«Era sempre stato un narratore di vocazione, ma consumava il suo estro nel racconto orale, diretto, cestinando con la severità di chi si crede un dilettante tutto quello che metteva per iscritto. In America, trovandosi limitato nelle possibilità di una comunicazione orale altrettanto sfumata, diede via libera al suo gusto dell’osservazione».
È la presentazione, di Umberto Eco, a due racconti di Furio Colombo sul Menabò (1962), ov’era questione anche di milioni di ore-lavoro passate in fretta nelle schede dei centri meccanografici, di depressioni, trasfusioni, sirene, ambulanze, inquadrature cinematografiche di dettagli in interni freddi.
Sul Mondo, sul Giorno, su Tempo Presente, sull’Espresso, Colombo raccontava con grande impulso l’America di Kennedy, i prossimi americani, la televisione ventura. I suoi temi erano i segnali e i linguaggi che cambiano nella conflittualità politica e classista, violenta e no; le strutture e gli effetti, dentro e fuori, nei contenitori delle comunicazioni che modificano i comportamenti. La lucidità sopra la tensione... Ma la sua singolarità nel Gruppo 63 era che quasi tutti mostravano le proprie fonti o radici: Gadda, o Céline, o Borges, o Pound. Lui, no.
Negli anni vicini, un’attenzione sempre più vigilante per le trasformazioni dei mutanti, i giovani. Sempre più lontani, meno identificabili. E un imponente apparato di rilevazioni, di controlli, di griglie e sensori, per catturare il filo e il senso delle nuove normalità erranti, delle devianze appena nate.
Un interrogativo bonario o ansioso: Cosa farò da grande? (Io rispondevo sempre: farò il pasticciere, per mangiar tanti dolci. E tutti inorridivano). Ma il libro con questo titolo sembra tacitamente dedicato a tutti coloro che non ammettono d’essersi chiesto, di fronte a taluni figli d’amici: hanno quindici, venticinque, o trentacinque anni? E sono abili dissimulatori, o veri coglioni?
Protagonista è la vertigine sedativa della lunghissima età in cui si continua a ripetere «sono così giovane» vestendosi da giovanissimi entro le maglie totali della videocultura intorno e addosso al giovane «che fa le sue scelte “individuali”» identiche a quelle di milioni di giovani identici. E una casistica frenetica dove i dati umani – nuovi protagonisti vincenti e perdenti, conflittuali, marginali, gladiatori, belve, fruitori di rock stars – sono esempi e modelli nel corso di statistiche sullo «stato penoso dei rapporti fra persone».
Un vortice di rivoluzioni sostituite dalla distruzione, contrasti fra il proibire e il permettere, danni sociali sostitutivi delle «cause in cui credere». Comunicazioni reciproche attraverso giochi elettronici; vendette della Natura parodiata dall’ecologia. Culti della vittoria e della celebrità dei campioni, tra manuali per il successo e una frantumazione dei destini. E un assortimento (da buon discepolo di Plinio il Vecchio) di trasgressioni e provocazioni e infrazioni e violazioni e irriverenze e disubbidienze e mancanze di rispetto dissacranti... Ma vibrazioni talvolta positive fra i bizzarri delitti e i singolari suicidi, nella paura atomica fra i trionfi degli ex-imperialismi che ci colonizzano?