EUGENIO GARIN
È decaduta, in questi anni, Firenze?... Eugenio Garin ridomanda a sua volta: perché? cosa c’era mai, da decadere? Firenze ha forse avuto dei ‘momenti’ culturali importanti, in questo secolo?... «Direi nessuno: in talune epoche vivono qui certe persone, o vi sono allogati certi istituti... ma davvero non legati alla città, all’ambiente, con qualche nesso... ‘organico’... La città non risponde a niente, in realtà: e meno che meno all’Università. La sua caratteristica: nessun ricambio. Manca ogni connessione fra l’‘ambiente’ locale e le attività, le funzioni della cultura. Basta vedere come manchino il teatro, le mostre, ogni sollecitudine per gli istituti scientifici, perfino ogni spinta locale per i progetti dell’Università europea, come centri di studi storici e fisici. Semmai, tentativi di strumentalizzare l’iniziativa... È una città dissociante: senza incontri, anche se costruisce il Palazzo dei Congressi. Ha una tendenza furiosa all’isolamento. Forse perciò è così favorevole allo studio: anche perché rimane un grosso deposito di strumenti di lavoro... Per esempio: Firenze era il centro dove si è dibattuta più seriamente la questione meridionale, con Villari, con Franchetti... E perché? Parecchi giovani meridionali si erano concentrati qui, dopo l’Unità, attirati dalla tradizione della lingua, con piccole borse di studio... Ma le figure più caratteristiche della cultura fiorentina non sono neanche toscane. Gli uomini che hanno fatto più impressione sui giovani, con la loro influenza, spesso non si sono neppure formati qui: Salvemini, De Robertis, Longhi, Devoto... Magari, venuti a Firenze per cercare alcune cose: e poi, qui, ne trovano altre... Così, neppure una continuità d’indirizzi d’insegnamento: un vivaio... E reciprocamente, molti giovani fiorentini, formati qui, emigrano presto nelle cattedre e nei giornali e nelle case editrici, altrove...».
Garin ha studiato e insegnato a Firenze almeno dal ’35. Differenze fra il Trenta e il Sessanta?... Una certa scolasticizzazione, commenta. «Contini oggi è un collega che fa lezione in cattedra; e concentra nella formazione dei giovani i risultati di ricerche un tempo ristrette a una élite d’iniziati squisiti... E ciò che spicca pare questo: l’altra cultura non conta più, forse non ha mai contato. Le cose serie sono intorno alla scuola, ormai. E qui la cultura non ha variato molto i suoi metodi. Anche allora, all’Università, si facevano altre cose: la filologia, con Pasquali; gli studi storici; la ricerca antropologica; ed esperimenti molto interessanti nelle scienze matematiche, nelle scienze umane... nell’ambito, naturalmente, del positivismo... Però, anche allora, nel momento idealistico oppure ermetico, si continuava a mitizzare una Firenze letteraria, anteriore... la Voce prebellica... Sono impressioni ‘dal di fuori’: costituzioni di miti ricorrenti...».
L’avvenire di questa Università?... Salvarne a ogni costo il carattere, affine all’insegnamento di tipo ‘selezionato’ alla Normale di Pisa. «Il vecchio ‘Istituto’ fiorentino aveva questo aspetto molto positivo: era frequentato da pochi studenti sceltissimi, con molti professori eccellenti, affezionati all’idea che fosse una scuola sui generis, e disposti a campare con piccolissime borse di studio. Le proporzioni possono sembrare incredibili: ventidue cattedre, pressapoco come a Roma, e magari cinquanta studenti... Ma l’Istituto aveva una sua fisionomia: capitava che i medesimi professori insegnassero qui e alla Normale, ma con metodi istintivamente opposti... Ora l’Università deve espandersi, perché non ha mai affrontato piani a lunga scadenza: a molti istituti scientifici non è mai stata data una sede da un secolo, e le nuove costruzioni venivano progettate sempre in base al numero degli iscritti presenti, mai calcolando un aumento futuro. Così gli edifici sono sempre già vecchi e insufficienti prima ancora d’essere finiti; e l’alluvione ha messo a nudo molti vecchi mali, e l’inutilità delle toppe... Ma è inutile, ora, moltiplicare le cattedre: non funzionerebbe niente, per la rivalità delle consorterie, e la strumentalizzazione delle scelte da parte dei primi titolari... Del resto, non è neanche opportuno superare un certo numero di studenti. Perciò, invece di allargare le strutture esistenti, sarebbe più opportuno moltiplicare le università: Siena, Arezzo... senza puntare troppo sulle attrattive di Firenze per gli studenti stranieri. Ormai tutti i documenti si trovano disponibili fotocopiati e riuniti in una sede sola, in qualunque università americana, dove in più ci sono ben altri strumenti: indici, cataloghi... La sola ragione per venire a Firenze sarebbe di recuperare un’aura, un po’ d’atmosfera: i nipoti dei Ciompi che si battono per le strade, tirano moccoli e sassate, mentre i discendenti dei Medici fanno musica e feste... Invece: interessi tirchi, scelte mediocri, beghe atroci... e qualche toppina sulle magagne più grosse...».