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Jan si avviò per il corridoio scortato da Stark e Marenburg. Era ancora incerto sulle gambe, ma cercava di non darlo a vedere. La ferita suturata sulla coscia gli bruciava a ogni passo. Tutta colpa del sudore freddo che gli usciva da tutti i pori man mano che si avvicinava alla stanza 101.
Quando il poliziotto di guardia li vide arrivare, posò il cruciverba e si alzò.
«Niente di particolare da segnalare» dichiarò.
Stark annuì, poi si rivolse a Jan. «Dottor Forstner, sono sempre più convinto che non sia una buona idea che lei entri da solo.»
«Lo so, ma quello che Thanner, o meglio Jana, ha in mente lo rivelerà a me soltanto.»
«È quello che temo anch’io, ma comunque non deve correre rischi. Se lui non vorrà dirle dove si trova Carla Weller, se ne vada. Ci siamo capiti?»
«Jana me lo dirà. È proprio quello che aspetta di fare.»
«Jan» Marenburg lo guardò pieno di compassione, «qualunque cosa ti dirà quella persona là dentro, non potrai più cambiare le cose.»
«Sì, Rudi, lo so.» Ed era proprio questo ad angosciare Jan più di ogni altra cosa.
Facendo uno sforzo su se stesso, afferrò il pomello della porta, lo girò ed entrò senza ulteriori esitazioni.
Quella persona, aveva detto Rudi. In effetti era la definizione migliore di ciò che Jan trovò seduta sul letto. Sebbene non avesse più la parrucca né la guaina di lattice, quello che aveva di fronte non era Felix Thanner. Un fugace sguardo ai suoi occhi fece capire a Jan che Jana aveva avuto ragione. Il suo fratellastro era morto, ormai c’era soltanto lei.
Jana era seduta sul letto, si era tirata su la camicia da notte dell’ospedale e lasciava dondolare la gamba illesa. Aveva il collo fasciato e Jan vide un ematoma che da sotto la benda scendeva verso il petto.
Il trucco che si era applicata nell’appartamento di Jan era impiastricciato, ma nessuno aveva pensato di toglierlo. Forse lei stessa si era opposta con tutte le forze. Infatti, sebbene ombretto, mascara e kajal la riducessero a una maschera dell’orrore, erano anche gli unici attributi femminili che le restavano.
«Ciao» disse Jan, sussultando quando la porta si richiuse automaticamente alle sue spalle.
«Ciao, Jan.»
Si capiva che parlare le costava fatica. Aveva la voce arrochita e flebile. La contusione sul collo le dava una tonalità del tutto irriconoscibile, quasi asessuata. Non somigliava né a Felix Thanner, né alla creatura psicopatica che si faceva chiamare Jana.
«Non ci hanno...» un colpo di tosse secco «permesso di andare... nell’altro mondo.»
«L’altro mondo non esiste. C’è soltanto questo, non ne è mai esistito nessun altro. E tu ne fai parte, anche se può sembrarti il contrario.»
Lei si strinse nelle spalle e Jan si sorprese a pensare che non gli importava niente se lei capiva oppure no. Non sarebbe mai riuscito a convincerlo, ormai lo aveva imparato a proprie spese.
«Una follia lotterà sempre per la sua esistenza» gli aveva detto una volta il professore all’università. «Il paziente si ostinerà a crederla reale e, qualunque possa essere la nostra opinione, ne ha tutto il diritto. Provi a immaginare il contrario. Che cosa succederebbe se tutte le persone che ha intorno volessero convincerla che lei è qualcun altro rispetto a ciò che si crede?»
«So del video di sorveglianza» disse Jan.
Lei chinò brevemente il capo e quando lo rialzò scoppiò in un risolino malevolo. «Più in fretta... di quanto pensassi.»
Jan strinse i pugni. Avrebbe voluto aggredirla. Quell’individuo, che non era più Felix Thanner, aveva distrutto la sua vita e molto probabilmente gli aveva portato via la persona che gli era più cara.
Gli tornarono in mente le parole di Stark. Se non vuole dirle dove si trova Carla Weller, vada via. Ha capito?
«Dov’è Carla?»
Lei sogghignò scoprendo i denti. Ora sembrava davvero una creatura diabolica. Nei suoi occhi lampeggiò qualcosa. Era la consapevolezza di averlo ancora in suo potere. Anche se l’avevano arrestata e rinchiusa lì, non era lei la sconfitta.
«Che cosa le hai fatto?»
«Ho solo portato la sua auto al parcheggio.»
«L’hai uccisa?»
«Tu mi crederesti...» tossì «capace di farlo, vero?»
«Sì.»
«Tu...» si schiarì la gola per non perdere la voce «tu mi odi, vero?»
«Sì, ti odio. Ti odio per tutto quello che mi hai fatto.»
Lei annuì e Jan vide i suoi occhi riempirsi di lacrime, anche se non avevano perso la loro luce malvagia. Ma ormai era solo arroganza. Un ultimo desiderio di avere ragione.
«Se non altro... è una risposta sincera.»
«Allora sii sincera anche tu. Dov’è Carla?»
Lei tirò su col naso e si passò il dorso della mano sul viso. Quando Jan la guardò, scorse un’abissale tristezza nei suoi lineamenti.
«Non volevo... che accadesse tutto questo» gracchiò. «E vorrei che tu... cambiassi opinione...»
Il resto delle parole si perse in un suono strozzato. Lei tossì ripetutamente, poi scrollò le spalle dispiaciuta, portandosi una mano alla benda sul collo, per indicare a Jan che non riusciva più a parlare. Quindi fece il gesto di scrivere sul palmo della mano.
«D’accordo» disse Jan. «Torno subito.»
Uscì in corridoio, dove lo aspettavano tre volti trepidanti.
«Vuole parlare, ma ha bisogno di qualcosa per scrivere.»
Stark tirò fuori il taccuino dalla giacca e, mentre si tastava le tasche alla ricerca della biro, l’agente di guardia porse a Jan la matita.
«Come va, ragazzo?» domandò Marenburg.
«Voglio soltanto farla finita con questa storia.»
Jan rientrò nella camera e la porta si richiuse alle sue spalle. Jana si era seduta al tavolino accostato alla parete e aveva spostato di lato il vassoio con il pasto ancora intatto.
La luce del sole che penetrava dalla finestra la illuminava come una creatura soprannaturale. Le ultime gocce di pioggia del giorno prima cadevano dai rami degli alberi.
«Ecco fatto, Jana. Ora scrivimi dov’è Carla. Me lo devi.»
Lei annuì con gli occhi lucidi. Jan le porse il taccuino e la matita, ma, invece di prenderli, lei gli afferrò la mano con entrambe le sue.
Lui sussultò spaventato e cercò di liberarsi, ma poi si rese conto che lei non voleva aggredirlo. Al contrario, mentre gli teneva la mano, gli accarezzava teneramente il braccio, guardandolo con occhi lacrimosi.
Che cosa faresti se tutti affermassero che non sei quello che credi di essere? sembrava dire il suo sguardo. Quale scelta ti rimarrebbe?
Lui liberò la mano dalla sua presa e indicò il blocco.
«Per favore, Jana, dimmi dov’è.»
Lei tornò a sorridergli. Stavolta era un sorriso sincero e affettuoso, che spaventò Jan più dei ghigni malevoli di prima. Forse dipendeva dal fatto che ora provava per lei una dolorosa compassione.
Jana si sporse in avanti e scarabocchiò qualcosa sul blocco, riparandosi dietro la mano. Sembrava una scolaretta che vuole impedire che i compagni copino da lei. Dopo aver terminato, continuò a tenere la mano davanti al testo, mentre lo esaminava assorta.
La ferita di Jan bruciava come fuoco, mentre la sua fronte era imperlata di sudore freddo.
Jana sollevò la testa, abbozzò un sorriso e strappò il foglio dal blocco. Jan fissava ipnotizzato le sue mani mentre lei ripiegava il foglietto. Calma e determinata.
Una parte di lui si rifiutava di prendere il messaggio. Qualcosa in lui protestava che non voleva sapere, maledizione. Non voleva leggere se Carla era morta. Se quel messaggio lo avrebbe portato al suo cadavere.
Jana alzò la mano esitante e gli porse il foglio ripiegato. Jan voleva prenderlo, ma in un primo momento il braccio non gli ubbidì. Rimase inerte lungo il suo fianco, come se anche l’arto intendesse far sapere al proprietario di non voler leggere ciò che c’era scritto sul foglio. Alla fine però Jan riuscì a muoverlo. Con la mano tremante e madida di sudore, afferrò con gesti rallentati il foglietto, mentre Jana lo fissava con espressione enigmatica.
Prendilo, oppure no, sembrava voler dire. Spetta a te decidere.
Jan dovette tirare leggermente, prima che lei lasciasse la presa. Jana però non diede mostra di voler toccare ancora Jan. Invece continuò a guardarlo in faccia, mentre lui apriva il foglio e leggeva il messaggio scritto in uno stampatello infantile.
In un primo momento, Jan non riuscì a comprendere quello che leggeva. Era una frase priva di senso. Poi però capì.
Sussultò come se avesse ricevuto una scarica elettrica. Il messaggio era più spaventoso ancora di tutto ciò che aveva immaginato, eppure avrebbe dovuto essere pronto. Ciò che aveva letto rispondeva a una logica indicibilmente macabra, la logica di una pazza che portava alle estreme conseguenze una decisione presa da lui stesso solo pochi secondi prima. Nell’esatto momento in cui lui aveva preteso da lei che gli desse il foglietto.
Aveva il cuore in subbuglio e il pensiero gli ruotava incessantemente intorno alla frase che diverso tempo prima Franco aveva pronunciato per metterlo in guardia.
Chi scherza col fuoco si brucia.
Ora era chiaro che Jan si era bruciato.
«Oddio» esclamò, «ma certo... io... maledetta...»
Guardò la sua faccia sorridente e comprese di colpo tutta la portata del suo agghiacciante piano.
«No!»
Voleva lanciarsi in avanti e fermarla, ma lo sgomento e la paura lo paralizzavano e poi fu già troppo tardi.
Accadde in una frazione di secondo, eppure per Jan fu come se il tempo si fosse fermato. Vide la mano di Jana premuta contro la tempia destra, vide la matita che teneva infilata nell’orecchio sinistro e il suo sorriso, quasi una specie di addio.
Mentre Jan lanciava un grido, lei fece leva con la mano contro la tempia e batté la testa contro il muro. La matita scomparve dentro il suo orecchio, come il trucco di un prestigiatore, con uno schiocco raccapricciante.
Jana spalancò la bocca, quasi a voler emettere un grido, mentre i suoi occhi si rovesciavano mostrando solo il bianco. Un istante più tardi cadeva sul pavimento rovesciando la sedia all’indietro.
Jan si gettò sul corpo scosso dagli spasimi. Le gambe scalciavano forsennatamente, quasi lei volesse colpire tutto ciò che le stava intorno. Muoveva la testa da una parte all’altra, mentre un sottile rivolo di sangue usciva dall’estremità spezzata della matita, conficcata nell’orecchio quasi per tutta la sua lunghezza. La bocca si apriva e si chiudeva, emettendo suoni gutturali che potevano somigliare a parole.
Lui l’afferrò per le spalle e scosse il corpo agonizzante.
«Dov’è Carla? Dimmi dov’è!»
Il rantolo di Jana però non era volontario, bensì un ultimo riflesso. Quando Marenburg, Stark e l’agente piombarono nella stanza alle spalle di Jan, era già tutto finito.