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I bagni si trovavano nello scantinato della sala da ballo e Jan ne apprezzò il silenzio. Non era amante delle grandi manifestazioni – non lo era mai stato – e, ora che la parte più importante della serata era passata, avrebbe cercato di filarsela il prima possibile. Decise di fare un ultimo giro per la sala e poi di andarsene a casa.

Uscito in corridoio, si imbatté in Julia Neitinger. Come accadeva sempre quando la incontrava, gli venne in mente che uno dei suoi pazienti la chiamava «Dottoressa Uau», un soprannome molto azzeccato per la giovane psichiatra bionda. Soprattutto quella sera, in cui indossava un corto abito da cocktail nero.

Jan aveva conosciuto Julia poche settimane prima, quando era stata trasferita nel suo reparto per il consueto programma di rotazione del personale medico. Finora non aveva mai avuto occasione di parlare con lei. Secondo le voci che circolavano alla mensa, un anno prima di entrare a lavorare nella Waldklinik aveva avuto un aborto e poco dopo era stata lasciata dal marito. Si diceva per una donna molto più giovane con la quale aveva subito messo su famiglia.

Il colpo era stato davvero grave per Julia e Jan poteva capirlo. Tuttavia era una delle poche persone che lui non riusciva a valutare con precisione. A volte si comportava in maniera amichevole e disponibile, poi tornava a essere brusca e scostante.

Ora stava in piedi in fondo alle scale, il viso una maschera di dolore, e si osservava il piede reggendosi al muro.

«Maledetti tacchi a spillo» disse vedendo arrivare Jan.

«Tutto a posto?»

«Mi sono slogata la caviglia sull’ultimo gradino. Fa proprio male. Entro pochi minuti non riuscirò più a infilarmi la scarpa.»

«Dovresti fare degli impacchi freddi. Intanto vado a cercare qualcosa per fasciartela.»

«Grazie, sei davvero gentile.» Indicò con un cenno il bagno delle signore. «Senti, potresti aiutarmi?»

«Certo.»

Jan la prese sottobraccio e insieme saltellarono fino al bagno. Lui l’accompagnò ai lavandini e l’aiutò a sedersi sul bancone, in modo da poter posare il piede in uno dei lavabi.

«Grazie, mio salvatore» sorrise lei sfilandosi l’autoreggente. Poi indicò il rubinetto. «Potresti aprire l’acqua?»

Quando l’acqua fredda le toccò la caviglia, lei trattenne a stento un grido. «Santo cielo, è gelata!»

«Resisti, ti farà bene» replicò Jan guardando la caviglia. «Per ora non si è gonfiata. Riesci a muovere il piede?»

Lei agitò le dita e annuì. «Sì, ora non mi fa più tanto male.»

«Credo che tu te la sia cavata con poco» commentò Jan sollevato.

La guardò in viso e notò che il suo sorriso era cambiato: aveva qualcosa che lo metteva a disagio. Julia indicò con il mento la propria gamba e se l’accarezzò.

«Ti piace quello che vedi?»

Ora Jan comprese che la storia della storta alla caviglia era tutta una finta. Scrollò la testa sospirando e andò verso la porta. «Dopo questa miracolosa guarigione, ti auguro una bella serata.»

Lei si affrettò a togliere la gamba dal lavandino e a balzare in piedi. «Jan, aspetta, per favore!»

La sua espressione aveva perso ogni baldanza. Non era più la dottoressa Uau, bensì una donna che si era sorpresa a commettere una sciocchezza.

«Mi spiace, Jan, hai capito? Ti chiedo scusa. È solo... ecco, ho bevuto troppo.»

Lui annuì e aprì la porta. «Non c’è problema. Ma non farlo mai più.»

Lei abbassò lo sguardo e si guardò il piede nudo. «Grazie, mi dispiace davvero. Non so che cosa mi sia preso.»

Jan non rispose. Tornato in corridoio, decise di rinunciare all’ultimo giro di saluti per la sala.

Follia profonda
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