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Jan arrivò a casa di Volker Nowak proprio nel momento in cui l’ambulanza veniva fatta passare dallo sbarramento della polizia. La luce dei lampeggianti azzurri riflessa sull’asfalto bagnato lo accecò. Nella pioggia battente che tempestava il parabrezza, i poliziotti con i loro giubbotti ad alta visibilità sembravano sagome spettrali.

Parcheggiò dietro un’auto della polizia e si fece largo tra i curiosi che si affollavano oltre il nastro di sbarramento riparandosi sotto ombrelli e cerate di plastica. Scorse Kröger, che stava indirizzando i due impiegati dell’impresa di pompe funebri verso il cortile posteriore, e lo chiamò.

Heinz Kröger si passò una mano sul viso e gli andò incontro. L’ultima volta che si erano visti era stato al mercatino di beneficenza tre mesi prima, e Jan ebbe l’impressione che nel frattempo il capo della polizia di Fahlenberg fosse ingrassato ancora di qualche chilo. Aveva un’andatura ondeggiante e più affaticata che mai e, quando si fermò davanti a Jan, ansimava come se avesse appena corso.

«Grazie di essere venuto.»

Kröger si passò di nuovo la mano sul viso, ma la pioggia continuava a gocciolare pesantemente dalla visiera del berretto sulle guance arrossate. Il resto della faccia era di un pallore malsano, dando l’impressione che l’uomo si fosse messo il fard.

«Accidenti, che tempo orribile» inveì. «Un vero diluvio. È proprio ora che vada in pensione. Ormai mi sento troppo vecchio per certe cose. Soprattutto dopo quello che ho visto là dietro.»

Jan avvertì un sapore amaro in bocca e cercò di non pensare all’hamburger che aveva appena mangiato. «Che cosa è accaduto di preciso?»

«Venga con me» disse Kröger incamminandosi senza aspettare.

Jan lo seguì e insieme si ripararono sotto la tettoia all’ingresso delle cantine sul retro della casa. Da lì si vedeva tutto il cortile.

C’erano tre automobili parcheggiate nei posti segnati. Quella di Volker Nowak era una Seat Ibiza blu che ora era all’esame di quattro agenti della Scientifica. Con le loro tute bianche sembravano dei fantasmi.

Kröger li indicò. «Questa maledetta pioggia è il nostro peggior nemico. In base a quanto tempo Nowak è rimasto qua fuori, non troveremo più molto.»

Jan osservò i due impiegati delle pompe funebri che deponevano il morto in una bara di plastica. Si muovevano in fretta e con la schiena nascondevano la visuale, ma Jan si accorse che la testa di Nowak dondolava avanti e indietro come quella di una marionetta, quasi avesse il collo spezzato. Per il resto il corpo sembrava intatto. Dopo le parole pronunciate poco prima da Kröger, Jan si era aspettato di trovare del sangue, ma non era così. Tuttavia aveva l’impressione che i due uomini si affrettassero a chiudere il coperchio non solo per colpa della pioggia.

«Chi lo ha trovato?»

«Una giovane donna che abita qui vicino e ha affittato uno dei parcheggi. Era tornata dal lavoro e ha notato la luce interna dell’auto di Nowak accesa. La portiera era socchiusa e Nowak...» Kröger non terminò la frase e sbuffò, come se portasse un pesante fardello. Rivolse un’occhiata cupa al feretro. «Nella mia lunga carriera ho visto molti morti» disse piano. «Vittime di incidenti, suicidi, una volta addirittura il cadavere mummificato di un’anziana di cui per settimane nessuno aveva denunciato la scomparsa. Sono esperienze terribili, ma in un modo o nell’altro alla fine ci si riesce a convivere. Fa parte del mestiere. Ma questa volta...» Si passò ancora una mano sul viso, ma non per la pioggia. «L’omicidio è sempre qualcosa di così insensato. Ne resto sempre sconvolto. Voglio dire, perché qualcuno si comporta così? Che cosa spinge una persona a schiacciare la testa di un’altra tra il montante e la portiera, e a sbatterla così a lungo contro la portiera fino a causare il soffocamento per rottura della laringe? È così... così... perverso

Jan tornò a guardare i due uomini con la bara di plastica.

«C’è qualche indizio per capire chi possa essere stato?»

«Molto probabilmente una donna» rispose Kröger, indicando i due palazzi che circondavano il cortile. «Uno degli inquilini ha detto di aver sentito una donna e un uomo che litigavano.»

«Ma non è sicuro?»

«No, stava guardando una gara di Formula 1 e le voci da fuori lo innervosivano. Quando Nowak si è messo a gridare, l’uomo ha chiuso la finestra del balcone.» Kröger sbuffò di nuovo, questa volta in maniera sprezzante. «Se lo immagina? Qualcuno sente un uomo gridare disperatamente e chiude la finestra per non essere disturbato mentre segue il suo programma televisivo preferito. Dio mio, in che mondo viviamo?»

Jan scrollò la testa incredulo. «E gli altri inquilini? Nessuno si è accorto di niente?»

«A quanto pare no. Evidentemente erano tutti seduti davanti alla tv.»

Guardò Jan e lo psichiatra si disse che era davvero il momento che Kröger andasse in pensione. Altrimenti c’era il serio rischio che si vedessero quanto prima nel suo studio alla Waldklinik.

Le rughe tra le sopracciglia di Kröger, tipiche delle persone affette da depressione, avevano raggiunto una profondità preoccupante. All’improvviso Jan comprese il motivo per cui Kröger gli aveva chiesto di raggiungerlo sul luogo del delitto, anche se avrebbe potuto benissimo aspettare a raccogliere la sua testimonianza al commissariato. Lo aveva chiamato lì perché aveva bisogno di qualcuno, anche se di sicuro non l’avrebbe mai ammesso.

«Probabilmente lei è stato l’ultimo con cui ha parlato Nowak» disse Kröger. «Può dirmi che cosa voleva da lei, oppure è un’informazione coperta dal segreto professionale?»

«No, Nowak non era un mio paziente. Voleva solo un mio parere come psichiatra.»

Kröger inarcò le sopracciglia. «Capisco. E a quale proposito?»

«Non lo so.»

«Non le ha fatto alcun accenno?»

«Mi ha detto soltanto che non voleva parlarne per telefono. Non voleva venire neppure da me alla clinica, perché temeva che qualcuno potesse vederlo. Allora mi ha dato appuntamento all’Old Nick.»

«Secondo lei da chi non voleva farsi vedere?»

«Credo che si trattasse di una faccenda personale. Forse lui, o qualcuno che gli stava vicino, aveva un problema psichico. Capita spesso che qualcuno mi interpelli in privato, perché ha bisogno di aiuto e ha paura di rendere pubblica la cosa. Per molti l’iter normale passando dal medico di famiglia o dall’ambulatorio della clinica è un peso troppo pesante da portare. Perciò a volte tentano la via diretta.»

Kröger annuì. «Capisco benissimo. Non è facile dover ammettere di non farcela da soli.»

Il poliziotto chinò lo sguardo a terra e per un breve istante Jan credette che avrebbe approfittato della circostanza per parlargli delle proprie difficoltà. Ma poi Kröger alzò di nuovo lo sguardo con l’aria di chi ha deciso di controllarsi.

«Le ha detto qualcos’altro? Qualcosa che potrebbe aiutarci?»

Jan si strinse nelle spalle. «Come ho già detto, si sentiva osservato. Ma non mi ha detto da chi. E poi ha detto ancora che non voleva coinvolgermi.»

Kröger annuì pensieroso. «Forse non si trattava di avere un suo parere medico. Si ricorda il giro di droga che Nowak denunciò qualche tempo fa?»

«Sì, i giornali ne hanno parlato a lungo.»

«Il capo della banda è un rumeno che si fa chiamare Dagon» spiegò Kröger. «Grazie a Nowak adesso è finito dietro le sbarre. Per questo il giornalista aveva ricevuto minacce di morte. Tra l’altro dalla compagna di Dagon. Una donna pericolosa, che è stata in carcere diverse volte, una anche per tentato omicidio. Pare che qualche settimana fa sia scomparsa. Pensiamo che sia tornata in Romania, ma potrebbe benissimo essersi nascosta qui nei paraggi. Forse è stata lei ad assalirlo. Vista la brutalità dell’omicidio, potrebbe benissimo essere opera sua.»

«Lei dunque ritiene che potrebbe trattarsi di un gesto di vendetta da parte dei trafficanti di droga?»

Kröger alzò le mani. «Naturalmente è solo un’ipotesi. Ma sarebbe plausibile.»

Jan aggrottò la fronte. «Allora perché Nowak si sarebbe rivolto a me, chiedendo un mio parere professionale? Se si fosse sentito minacciato da questa donna, di sicuro si sarebbe rivolto a voi.»

«In tutta sincerità, non so che cosa pensare» riconobbe Kröger. «Forse non c’è alcun legame tra le due vicende. Comunque, il caso ora passa alla polizia criminale. Se ne occuperà il commissario Stark. Dovrebbe arrivare tra poco. Probabilmente la pioggia lo ha trattenuto.» Alzò gli occhi verso il cielo. «Maledetta pioggia. Come se questa tragedia non bastasse da sola a rovinare l’umore.»

Il poliziotto fece un profondo sospiro e, quando tornò a guardare Jan, la ruga sulla sua fronte era diventata ancora più profonda. «Bene, ora vado. La ringrazio di aver trovato un momento di tempo per me.»

«Si figuri. Mi chiami se avesse bisogno d’altro.»

Kröger evitò lo sguardo di Jan e si abbassò il berretto sulla fronte. «Lo so. Può darsi che lo farò. Prima o poi.» Si massaggiò il petto e si allontanò sotto la pioggia.

Follia profonda
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