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Jan guidava come un pazzo per le strade, non rispettò un semaforo rosso e rischiò di scontrarsi con un camion se questi non avesse sterzato all’ultimo istante. Accompagnato dai colpi di clacson degli altri veicoli, sfrecciò verso l’ex quartiere operaio, schivò i pedoni sulle strisce e rischiò l’osso del collo quando superò un autoarticolato nonostante il traffico sulla corsia opposta. Non gli importava niente. Carla era in pericolo. Doveva raggiungerla e ogni minuto era prezioso.
Una volta giunto al vecchio Astoria ai margini della città, si fermò dietro un’auto sportiva rossa ribassata davanti all’ingresso e si precipitò dentro.
Il vecchio dietro al bancone trasalì spaventato. Accanto a lui una vecchissima radio a transistor trasmetteva musica a basso volume.
«Buon Dio, mi ha fatto prendere...»
«Carla Weller» gli urlò Jan. «È qui?»
«Lei chi è?» chiese il vecchio, strizzando gli occhi dietro un paio di occhiali spessi.
Jan batté la mano sul bancone. «Maledizione, il numero della camera? È un’emergenza!»
«Ca-camera 19» balbettò l’uomo indicando verso le scale. «Primo piano a sinistra. L’ascensore non funziona.»
Jan salì le scale due alla volta, spalancò la porta battente che dava sul corridoio e lo percorse guardando i numeri delle stanze. Arrivato alla 19, cominciò a percuoterla con il pugno.
«Carla? Sei lì? Sono io, Jan. Apri, Carla!»
Da dentro si udì la voce sorpresa di un uomo, ma nessuno venne ad aprire.
«Aprite!» gridò Jan. «Aprite questa maledettissima porta!»
«Chi è?» di nuovo quella voce maschile.
«Apra, altrimenti sfondo la porta!»
«Calma, calma» replicò l’uomo da dentro. Sembrava spaventato e incerto. «Posso spiegare tutto!»
Nello stesso istante Jan udì una seconda voce che emetteva strani suoni soffocati, simili a dei rantoli. Era una voce femminile.
La voce di Carla!
Jan si gettò contro la porta e, vedendo che non serviva a niente, la prese a calci. Già al secondo tentativo l’anta di compensato si spezzò e, al terzo colpo, la porta si spalancò.
Jan piombò nella stanza e si bloccò. Venne assalito da una vertigine. Non credeva ai propri occhi.