76

Nebbia.

Rumori.

Dell’acqua che scorreva.

Una melodia elettronica.

Una suoneria.

Poi una voce, metallica e distante. Come se dovesse passare attraverso una parete di lamiera.

«Salve, dottor Forstner.»

Un vago pensiero. Conosco questa voce.

«Sono il commissario capo Stark.»

Suona così attutita e rimbombante. Come se fossi sepolto in un barile.

Quest’idea lo sgomentò, strappandolo all’intontimento. Jan aprì gli occhi. Dapprima vide solo contorni sfumati, come se fosse sott’acqua. Poi le immagini diventarono più nitide.

Un tavolo.

Un candeliere.

Lo riconosceva. Sì, lo aveva comperato l’anno prima al mercatino delle pulci. Insieme a Carla. Lei lo aveva trovato grazioso. Era l’eufemismo che usava per indicare qualcosa che trovava antiquato oppure kitsch. Così kitsch da essere tornato di moda, aveva detto. Per questo lui l’aveva comprato. Era riuscito a ottenerlo per cinque euro. Ora reggeva cinque candele accese.

Che cosa è successo?

Lo scroscio dell’acqua s’interruppe.

«Senta, dottore» disse Stark, e Jan cominciò a capire che il poliziotto stava parlando alla segreteria telefonica, «probabilmente sta ancora dormendo, ma, non appena si sveglia, la prego di telefonarmi. Ho delle novità su Felix Thanner. Niente di buono purtroppo. Sono stato contattato dall’istituto di patologia. È stato identificato il cadavere bruciato ritrovato nella canonica. Il morto è Heinz Kröger. Thanner deve aver sottratto la salma del mio collega prima della sepoltura. Ora stiamo verificando chi o che cosa si trova al suo posto nella bara.»

Ma che diavolo sta dicendo quest’idiota?

«Sia prudente, dottore. Felix Thanner è ancora vivo. Si chiuda bene in casa. Non credo che Thanner oserà venire da lei, probabilmente si nasconderà da qualche parte, comunque tenga gli occhi aperti. Non c’è motivo di preoccuparsi, abbiamo già organizzato una ricerca a tappeto. Entro breve contiamo di acciuffarlo, ne sono sicuro. Nel caso non avessi sue notizie...»

La segreteria aveva raggiunto il limite massimo di registrazione. Un clic, poi un sibilo e il messaggio fu salvato.

Jan deglutì. Aveva la bocca impastata e secca, come dopo una notte di bagordi. Si rese conto di essere seduto su una seggiola in soggiorno. Fuori dalla finestra era notte fonda. Non aveva idea di quanto tempo fosse rimasto privo di sensi.

Gli occhi gli lacrimavano per l’effetto del narcotico, ma quando cercò di strofinarseli non ci riuscì. Non poteva muovere le mani. Nemmeno le gambe.

Sentì tintinnare il portasciugamani nel bagno alle sue spalle. Riconobbe il profumo del suo bagnoschiuma e gli venne in mente lo slogan sulla confezione: Rinfrescante e tonificante. Per una sensazione di rinascita.

Rinascita? si chiese mentre si rendeva conto di chi stava usando il suo bagno in quel momento. No, piuttosto di resurrezione dei morti.

Ritentò di muoversi. Poi comprese di essere legato alla sedia con del nastro adesivo. Nastro da pacchi, robusto, come quello che teneva nel cassetto della cucina. Forse era proprio lo stesso?

Le informazioni ora inondavano incessanti la sua mente. Qualunque cosa gli avesse iniettato Thanner sarebbe durato parecchio, prima che l’effetto finisse.

«Ciao, tesoro» disse allegramente una voce di donna alle sue spalle. «Vedo che ti sei già svegliato.»

Udì dei passi di piedi nudi sulle mattonelle, poi gli fu stampato un bacio sulla guancia e Felix Thanner comparve davanti a lui.

No, si corresse Jan, non era Thanner. Davanti a lui c’era Tatjana. Forse il corpo era quello di Thanner, ma dentro era controllato da Tatjana. Oppure doveva chiamarla Jana?

Portava sulla testa un asciugamano avvolto a turbante da cui uscivano alcune ciocche della sua parrucca bionda. Inoltre aveva indossato una delle camicie bianche di Jan. Era aperta sul décolleté ricoperto di una membrana di lattice incredibilmente verosimile.

Bob Aggiustatutto avrebbe fatto meglio a guardare dentro la scatola che ci ha mostrato. L’avrebbe trovata vuota.

In ogni caso l’agente della Scientifica aveva avuto ragione riguardo al travestimento. Nemmeno la madre di Thanner l’avrebbe riconosciuto sistemato così. Solo gli occhi erano chiaramente quelli di Felix Thanner, anche se mostravano un’evidente trasformazione. Il modo in cui lo guardavano, il loro luccichio, aveva qualcosa di innegabilmente femminile. Niente di esagerato, come capita spesso a un uomo che tenta di imitare gesti femminili. La mimica risultava autentica e non era quella di Felix Thanner.

«Come ti senti, tesoro? Vuoi un po’ d’acqua, magari?»

Anche la voce era sorprendentemente vera. Lei si tolse l’asciugamano, si tamponò i capelli posticci e gli sorrise.

Questa dunque era Jana. Una donna che in realtà non esisteva. Una creatura immaginaria, che aveva cercato il modo di entrare in questo mondo. Un fantasma in un corpo umano, che utilizzava, come un raggio di luce ha bisogno di fumo per diventare visibile.

Questa era Jana, l’amante possessiva e gelosa, che si occupava con folle naturalezza del suo amato Salvatore, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Jan indicò con il mento i propri arti. «Per favore, liberami.»

«Lo farei volentieri, davvero» sospirò lei, «ma temo che non sarebbe una buona idea. Come ti ho già detto, a volte bisogna costringere le persone a essere felici. Ricordi? Ma sì, certo che te ne ricordi. Te ne ho somministrato solo una piccola dose, non sei rimasto addormentato a lungo.»

«Che cosa...» Jan si leccò le labbra e la lingua era come un pezzo di cuoio duro e gonfio «che cosa mi hai dato?»

Lei ridacchiò. «Niente per cui tu debba preoccuparti. Le pecorelle di Felix al dispensario mi hanno assicurato che è innocuo e non crea dipendenza.»

Jan lanciò un gemito e reclinò la testa all’indietro. Naturalmente, come consigliere spirituale, Felix Thanner aveva libero accesso alla clinica ed era questo il modo in cui Jana aveva ottenuto le informazioni e anche i farmaci. In una grande clinica c’erano sempre ammanchi di medicinali, per quanto le misure di controllo fossero severe.

Lei gli rivolse un’occhiata meravigliata. «Perché mi guardi così? Non sei contento? Ora siamo insieme nel mondo reale. È stupendo. Soltanto io e te.»

«E Felix?»

«Felix?» ripeté lei sinceramente stupita. «È morto. Lo sai anche tu.»

«No, non è vero» la contraddisse Jan. Doveva cercare di arrivare a Felix. Era l’unica possibilità che aveva per ricondurre alla ragione questa creatura scissa. Felix era l’Io e il Super-Io, che doveva riprendere il controllo. Jan avrebbe dovuto convincerla che Felix esisteva ancora. Altrimenti correva il rischio che la situazione precipitasse.

«Suvvia, sciocchino, che cosa ti prende?» domando lei con un sorriso condiscendente. «Non dobbiamo più avere paura di lui, sul serio. Ti avevo promesso che avrei fatto di tutto per il nostro piano. E Felix, quello stupido, ci ha aiutato.»

«No, hai sentito anche tu che cosa ha detto il poliziotto.» Jan cercava di usare un tono di voce deciso per quanto gli fosse possibile nelle sue condizioni ancora stordite. «Felix non è morto. Non è stato il suo corpo a bruciare. Felix è di fronte a me e si è travestito da donna. Tu sei Felix!»

«Ma insomma...» Lei scrollò il capo indignata. «Ma che idiozie vai dicendo! Mi vuoi offendere? Non mi sopporti più? Faresti meglio a rifletterci bene.»

Nei suoi occhi lampeggiò qualcosa di minaccioso e questo qualcosa avrebbe potuto uccidere senza scrupoli.

Jan deglutì con dolore. Aveva la gola secca, la voce arrochita e stentata. «Io vorrei solo che tu ragionassi. Devi renderti conto che...»

«Che cosa ne pensi del mio smalto?» Lei tornò a sorridere e gli mostrò la mano destra. Jan guardò le dita lunghe e affusolate con le unghie curate, che avrebbero potuto benissimo essere quelle di una donna. «Che ne pensi? Non è troppo scuro per i miei occhi?»

«Non è il tuo smalto» esclamò Jan. «È di Carla! Esattamente come tutti gli altri cosmetici che hai trovato in bagno. Ti sei introdotta qui di nascosto. Ti sei introdotta nella mia vita. E tu sei Felix, riesci a capirlo?»

«No» ribatté lei sprezzante. «Non lo capisco. Non riesco a capire il tuo atteggiamento scostante. Nell’altro mondo non eri così. Lì mi dicevi che mi amavi e che mi volevi tirare fuori.»

«No» singhiozzò Jan. Gli rimbombava la testa e chiuse gli occhi. «Non è vero, non l’ho mai fatto. Era solo nella tua...»

«Invece sì!» gridò lei. La sua espressione era quella di una bambina testarda che afferma le proprie convinzioni con assoluta certezza. «Hai detto di ritenere questo mondo cattivo, come me. Impuro. Solo il nostro amore è puro. Sono state le tue parole.»

«Nella tua immaginazione!»

«No!» Batté con rabbia un piede per terra. «Che cosa può mai offrirti questa Carla, eh? Il suo corpo, che tra qualche anno comincerà a decadere. Diventerà grassa e flaccida, non appena avrà la certezza di averti tutto per sé, e ti rimpinzerà per farti diventare grasso e flaccido. E per evitare che tu te ne accorga ti sedurrà. Si avventerà su di te come un predatore e farete cose disgustose insieme. Cose bagnate, puzzolenti, ammantate di ipocrisia e giuramenti d’amore che non valgono neppure il respiro che sprecate per farle. Questo è ciò che accade in questo mondo, no? Scopare, mentire e ingannare. Che cosa ne sa lei del vero amore!»

«La tua creatura immaginaria è gelosa, Felix» disse Jan nel modo più pacato possibile. Cercò di instaurare un contatto visivo, ma non ce la fece. Jana girava la testa da una parte all’altra, evitandolo.

«Jana non è reale» affermò. «Non possiede un corpo. Per questo disprezza tutto ciò che è corporeo. Ma tu, Felix, potresti condurre una vita normale. Una vita senza sofferenze né rimorsi. Ciò che hai fatto da ragazzo è stato il gesto disperato di un bambino maltrattato. Chiunque lo capirebbe. Lasciati aiutare da me. Tu cercavi un salvatore, non è così, Felix?»

Lei lo schiaffeggiò in faccia con tutta la forza che aveva.

«Chiudi quella boccaccia, hai capito!» gridò. «Chiudi. Quella. Boccaccia!»

«No, non lo farò! Tu non sei Jana. Jana non esiste! Felix, avanti, parla con me!»

Lei lo colpì di nuovo in faccia. Prima a sinistra, poi a destra. Lui aveva le guance in fiamme per la violenza dei suoi schiaffi.

Lei poi balzò in piedi e corse in cucina. Lui la sentì aprire un cassetto.

«Felix, no!» gridò Jan. «Ascoltami. Jana non può farci niente. Lei non esiste per davvero. Tu invece sì! Liberati di lei! Non è ancora troppo tardi.»

Lei tornò in soggiorno. In una mano reggeva il nastro adesivo, nell’altra agitava una forbice da cucina.

«Ti ho detto che devi fare silenzio» lo minacciò a bassa voce.

«Per favore, Felix, no!»

«Ancora una parola e ti taglio la lingua, hai capito?» Sollevò le forbici davanti al suo viso. «Ne sono capace. Papà mi ha insegnato come si fa. E la lingua di un manzo è decisamente più grossa della tua. Quindi, per favore, stai zitto.»

La fiamma delle candele si rifletteva sulla lama. Erano grosse forbici, con cui si poteva tagliare senza fatica del cartone spesso o della plastica. Jana le usò per tagliare una lunga striscia di nastro adesivo. Poi gli andò vicino e gliela incollò sulla bocca avvolgendogliela intorno alla testa.

Jan non si oppose. Aveva lo sguardo fisso sulle forbici che lei teneva sempre in mano. Una mano che poco tempo prima aveva afferrato la testa di Volker Nowak sbattendola tra la portiera e la carrozzeria dell’auto, per spezzargli il collo.

«Che cosa vuoi saperne tu dei rimorsi?» disse lei stringendo con forza il nastro.

Poi indietreggiò, controllò il lavoro e annuì soddisfatta.

«Io non volevo aprire il gas. Non volevo nemmeno sistemare la candela sul tavolo della cucina. Ma che cos’altro avrei potuto fare, per portare papà dalla mia parte? Là dove tutti sono come me.»

Si girò piangendo e scomparve di nuovo in cucina. Per un po’ si udirono soltanto i suoi singhiozzi. Quindi pronunciò una sola parola.

«Frignona!»

Il pianto si interruppe di colpo, come se lei avesse girato un interruttore e Jan udì il rumore del frigorifero che veniva aperto. Subito dopo la sentì prendere un bicchiere dall’armadietto.

Quando tornò, Jana teneva in mano due bicchieri da vino. Ne pose uno sul tavolo davanti a Jan, poi prese una sedia e gli si mise a sedere di fronte.

Jan sperava che gli avrebbe tolto il bavaglio, ma lei sembrava avergli letto nel pensiero e accarezzò il nastro adesivo con un dito.

«Mi piacerebbe bere un bicchiere insieme a te, come nell’altro mondo, ma qui sarebbe sbagliato.» Lo accarezzò teneramente sul viso. «Oh, Jan, da quanto tempo aspetto questo momento. Di poter finalmente realizzare il nostro piano. Vedrai, nell’altro mondo è tutto molto più bello. Lì si è sempre uguali, non s’invecchia, le persone sono come le desideriamo. Lì non ci sono delusioni.»

Jan si sentì assalire dal panico. Intuì che cosa aveva in mente lei, ma non voleva crederci.

Non pensarci, altrimenti perdi la lucidità! Pensa piuttosto a come liberarti da qui. E possibilmente in fretta!

Lei bevve un sorso e avvicinò il bicchiere alla fiamma delle candele. Il vino rosso sembrava sangue. Jan si maledisse per non aver conservato il vino con il narcotico.

«Oh, scendi quaggiù, notte dell’amore» sussurrò lei. «Dona oblio, sì ch’io viva; accoglimi nel tuo grembo, liberami dal mondo!»

Lei posò il bicchiere, si alzò con fare deciso e tornò in cucina.

Jan cercò di liberarsi, ma il nastro adesivo lo incatenava implacabile ai braccioli e alle gambe della sedia. Quanti giri aveva fatto intorno a ogni arto? Dieci, venti? Allungò la testa ansimando, nel tentativo di capire che cosa stesse facendo lei.

«Ti piace il Tristano e Isotta, amore?» Le sentì dire. «Io non mi stancherei mai di ascoltarlo. Mi piace in particolare il secondo atto. ‘In eterno duri per noi la notte!’... Quanta verità c’è in quelle parole, no? Sembrano scritte apposta per noi due.»

Jan trasalì sentendo aprirsi il cassetto delle posate. Tentò un’altra volta di liberarsi, ma invano. La sedia dondolò da una parte all’altra e il nastro adesivo gli penetrò dolorosamente nei polsi e nelle caviglie. Non c’era verso di liberarsi. In quel momento lei ritornò. Alla vista del coltello che teneva in mano, il suo respiro si fece rapido e affannoso. Il cuore gli batteva all’impazzata mentre fissava il coltello da cucina che la negoziante all’epoca gli aveva consigliato in quanto affilatissimo e di uso universale.

Jana si inginocchiò davanti a lui sorridendo e lo guardò. «Così morremo perché, inseparati, in eterno, uniti senza fine, senza risveglio, senza sospetto, senza nome in preda all’amore...»

Non tutti i matti corrono per le zone pedonali e recitano versetti della Bibbia, aveva detto a Stark. Questa ne è la prova, pensò in un impeto di folle disperazione. Ci sono anche quelli che declamano Richard Wagner.

Lanciò un grido di terrore, che attraverso il bavaglio di nastro adesivo risuonò come un fischio malriuscito.

«Sei contento?» Lei gli sorrise. «Allora facciamolo.»

Jan la guardò, cercando di implorarla di non farlo. Ma tutto ciò che gli permetteva il nastro adesivo era una serie di suoni inarticolati. Sentì il freddo della lama sul polpaccio, vide come tagliava senza fatica la stoffa dei jeans.

Si voltò quando il coltello scivolò verso l’alto. Raggiunse la coscia.

«Ssst!» sibilò lei ammiccando. La lama gli sfiorò i genitali. «Altrimenti te lo mozzo.»

Quando premette la lama di piatto contro il cavallo, Jan cominciò a piangere. Non poteva evitarlo. Era in balia di questa creatura che gli stava inginocchiata davanti, indifeso, e fu assalito da un indicibile terrore.

«Là dove ti voglio mandare, non ti serve» rifletté lei guardandolo tra le gambe. «Del resto quei cosi sono così inutili. Servono solo a confondere voi uomini. Continuate a chiedervi se sia abbastanza grosso, quando lo potrete utilizzare di nuovo e che cosa ne faranno le vostre partner. Come se questo fosse amore.»

Jan scosse freneticamente la testa, mentre il respiro gli usciva affannoso e a scatti dalle narici.

Non farlo! Non farlo! Non farlo!

Sentì le dita di lei che gli abbassavano l’elastico degli slip.

«Ho fatto capire subito a Felix che trovo disgustoso quest’affare.» Lo indicò con la punta del coltello. Affilatissimo e di uso universale. «Per farlo non mi è servito un coltello come questo. A volte le parole sono più efficaci delle azioni, e io ero sempre con lui, tutte le volte che il suo coso lo distraeva.» Proruppe in un risolino furbo e ammiccò a Jan. «Nel giro di poco tempo ha smesso di confonderlo. Avresti potuto rinchiuderlo in una stanza con dieci bellezze disponibili, e sarebbe stato comunque in grado di recitarti a memoria i primi cento decimali del pi greco. Senza errori. È sempre stato molto dotato in matematica.»

Prese in mano il suo membro e cominciò a strofinarlo. Jan sussultò e girò di nuovo la testa.

«Come stanno le cose con te, tesoro? Anche a te ti confonde? Dobbiamo liberartene?»

Il rombo di un’auto risuonò davanti a casa. La luce dei fari illuminò la stanza. Lei si staccò di scatto e corse alla finestra. Jan sentì sbattere delle portiere e poi un portabagagli.

Grazie, mio Dio, o chiunque tu sia, per avermi aiutato, grazie!

Ma, prima che potesse sperare che la persona davanti a casa forse volesse andare da lui e salvarlo, il motore ripartì. I fari percorsero la stanza e scomparvero.

Jana si staccò dalla finestra e si appoggiò al muro.

«Non era per noi» disse distratta, poi mormorò qualcosa che Jan non comprese. Intanto fissava un punto che doveva trovarsi da qualche parte sotto le piastrelle del pavimento.

Alla fine sollevò la testa e guardò Jan. Il suo sguardo esprimeva una tale fredda determinazione che Jan ebbe l’impressione di essere trafitto da un ghiacciolo.

«Dobbiamo sbrigarci.»

Jan restò paralizzato quando la vide tornare da lui.

Mi ucciderà. L’auto forse mi ha salvato dalla castrazione, ma adesso perderò la vita.

Lei tornò a inginocchiarsi davanti a lui, ma questa volta non con grazia e un sorriso lascivo, quanto piuttosto con un’espressione di profonda ostinazione sul viso. Un’ostinazione che diceva: c’è da fare qualcosa che non può essere rimandato oltre.

Afferrò con entrambe le mani il tessuto strappato dei pantaloni e lo lacerò definitivamente, mettendo a nudo la coscia. Si sollevò, guardò Jan con espressione quasi gioiosa e annuì.

«Ora ci fonderemo insieme, quando andremo nell’altro mondo.»

Allargò le gambe e Jan vide davanti a sé la vagina artificiale e glabra. Il monte di Venere molto accentuato, con sotto il rigonfiamento dei genitali di Felix. Per quanto la pelle di lattice sembrasse vera, non riusciva a camuffare del tutto proprio il punto che distingue l’uomo dalla donna.

Un sorriso impaurito comparve sul volto di Jana, poi lei si premette la lama contro la parte interna della coscia, trattenne il respiro e spinse. Il coltello penetrò senza fatica nel tessuto di lattice. In una frazione di secondo recise anche la pelle vera, arrivando quindi all’arteria femorale.

Jan rimase paralizzato alla vista del sangue che sgorgava tra le sue gambe. Non era così tanto come aveva temuto inizialmente, ma sarebbe bastato per dissanguarla in poco tempo, se la ferita non veniva richiusa.

Anche Jana sembrava ipnotizzata da quella vista. Poi però alzò la testa e sulla sua faccia c’era sempre quella gelida determinazione.

Jan trasalì e la guardò implorante. La vista gli si annebbiò per le lacrime. Lui sapeva che cosa stava per succedere e non poteva impedirlo. Poteva agitarsi e gridare contro il bavaglio, ma non sarebbe servito a niente.

Dunque era questo il piano, pensò. Lei voleva congedarsi da questo mondo insieme a lui e lui doveva seguirla in un altro mondo, dove creature immaginarie come lei avevano il diritto di vivere e potevano essere ciò che volevano.

«Ora tocca a te» sussurrò lei.

No, no, no!

Jan si agitò disperatamente. Spalancò la bocca, cercò di liberare le labbra dal nastro adesivo. Doveva parlare con lei. Se non poteva muoversi, almeno doveva pur parlare, no?

Lei gli si sedette sulle ginocchia a gambe larghe. Il sangue gli imbrattò l’inguine, gocciolando sulle sue cosce nude. Era l’agghiacciante imitazione di un amplesso. Solo che non si trattava di erotismo, bensì soltanto di un coltello e della differenza tra la vita e la morte.

Jan chiuse le gambe con tutte le proprie forze, come una vergine che vuole sottrarsi alla violenza. Ma la presa di Jana era micidiale. Gli afferrò le cosce, affondò le unghie nei muscoli e gli allargò le gambe, mentre Jan pronunciava una serie di suoni striduli e cominciava a dimenare il sedere. Se qualcuno li avesse visti, probabilmente avrebbe pensato di avere davanti la versione umoristica di un film porno sanguinario.

Doveva allontanarla, altrimenti...

Sentì il coltello penetrargli tra le gambe e tagliarlo. La lama era come la punta arroventata di un saldatore.

In un ultimo gesto di folle disperazione, Jan tese tutti i muscoli e si lanciò in avanti con tutto il proprio peso. Jana emise un grido sorpreso quando la sedia si rovesciò. Seduta sulle sue ginocchia, non riuscì a mantenere l’equilibrio e cadde di lato. Per riflesso protese un braccio per rallentare la caduta, ma prima che la sua mano toccasse il pavimento colpì l’angolo del tavolo con il mento e la gola trascinando con sé il peso di Jan.

Il candelabro ondeggiò e cadde. La cera bollente si rovesciò su di lei, poi entrambi caddero per terra.

Jan era sopra di lei, i loro volti erano a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro e lui vedeva i suoi occhi spalancati. Si teneva la gola con entrambe le mani e rantolava in preda al panico.

Lo spinse via da sé, si girò sul pavimento e cominciò a scalciare forsennatamente. Tutt’intorno a lei si andava allargando un’enorme macchia di sangue. Ma non era solo il suo sangue.

Jan guardò verso il basso e si accorse con sgomento di essere ferito.

Bisogna chiudere il taglio, pensò. Ma come? Accidenti, come fare? Sono ancora legato a questa maledettissima seggiola!

Il volto di Jana era gonfio e cianotico. Forse sarebbe morta per soffocamento prima di dissanguarsi. A Jan non importava. Non gli importava neppure che la tovaglia avesse preso fuoco. Ben presto tutta la stanza sarebbe stata in preda alle fiamme. Ma lui non se ne sarebbe accorto più di tanto. Si sarebbe dissanguato a sua volta. Chi poteva aiutarlo?

Cercò di stringere il più possibile le cosce, ma il sangue continuava a sgorgare. Il pulsare della ferita si intensificò e ben presto fu l’unica sensazione che sentì.

Con il sangue scemavano anche le sue forze. Si sentiva girare la testa, preludio dell’inevitabile svenimento a cui sarebbe seguito un fatale collasso cardiocircolatorio.

È finita, si sorprese a pensare. Qualunque cosa tu faccia adesso, è finita.

Udì ancora dei colpi e un rantolo accanto a lui. Poi perse i sensi.

Follia profonda
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