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In realtà non c’era niente di strano nel recarsi a un autogrill alle due e mezzo di notte per comperarsi una confezione famiglia di gelato. Quando studiava all’università e in seguito, durante il tirocinio, Julia Neitinger lo aveva fatto spesso. A volte da sola, in genere però con le sue amiche di allora, partiva a tarda notte o nelle prime ore del mattino per procurarsi una scorta di gelato, patatine, o Coca-Cola presso un distributore aperto ventiquattr’ore al giorno. In certi casi c’entrava pure una bottiglia di vino o un superalcolico. Era stata un’epoca spensierata, durante la quale si era divertita molto.

Poi però aveva incontrato Rolf e dopo di lui c’erano stati molti altri tipi simili. Tutti di bell’aspetto, sensibili e affascinanti, finché non avevano ottenuto ciò che volevano da lei. Poi tornavano a essere quello che erano davvero: uomini sposati, stufi della loro routine quotidiana – una routine che Julia gli invidiava – e alla ricerca di una breve avventura. Lei non era mai stata più di un’avventura per nessuno di loro.

Tutte le volte si era sentita come una principessa che baciava il suo principe solo per vederlo trasformarsi in rospo, mentre lei continuava a sperare nel grande amore. Tutte le volte si innamorava sempre di uomini dello stesso genere. Avrebbe potuto assegnare a ciascuno un numero progressivo: Rolf 1, seguito da Rolf 2 e 3, fino all’ennesimo Rolf, che aveva sposato e dopo la perdita del bambino – l’avrebbe chiamata Laura, se non fosse morta tre settimane prima del parto – aveva lasciato.

Durante i seminari di autocoscienza, che facevano parte della sua specializzazione psichiatrica, aveva cercato di capire il motivo del suo comportamento patologico nella scelta del partner e aveva provato a spezzare quel circolo vizioso. Fino a un certo punto c’era persino riuscita – ciao, papà, grazie tante di accompagnarmi nella mia vita, anche se sei morto da tempo – ma poi il docente si era trasformato nell’ennesimo Rolf sulla sua lista. Era una maledizione.

Ma adesso ce l’avrebbe fatta. Si sarebbe liberata. Franco sarebbe stato l’ultimo Rolf e in cuor suo ringraziava Jan che non aveva accettato di entrare nell’elenco.

Forse la sua sofferenza emotiva finora non era stata tanto intensa da spingerla a voler cambiare davvero qualcosa. Ma adesso la misura era colma. La Namibia era un’occasione da sfruttare e il barattolo di gelato nocciola e cioccolato – senza rum, perché d’ora in avanti avrebbe evitato anche l’alcol, persino quello di un gelato – rappresentava un primo segnale.

Che buffo, pensò gettando un’occhiata alla confezione di gelato posato sul sedile accanto a lei. Il gelato nocciola e cioccolato diventerà per me il simbolo di un futuro migliore.

Scoppiò a ridere. L’idea le piaceva sempre di più. Era spuntata da sola, mentre, dopo l’incidente con Jan, si concedeva un bagno rigenerante. All’inizio aveva continuato a pensare a Jan, ma poi era riuscita a mandarlo dove era il suo posto. Accanto alla sua Carla.

Più tardi qualcuno aveva suonato ripetutamente al suo campanello, ma lei non si era mossa. Era rimasta sdraiata nella vasca, aggiungendo acqua calda non appena sentiva freddo, pensando al gelato.

Probabilmente non sarebbe riuscita a mangiare più di due o tre cucchiaiate di quella dolce golosità, ma non era quello il punto. Era la giovane donna spontanea e piena di vita che doveva essere rianimata.

L’encefalogramma registra già i primi segni di ripresa, pensò ridendo di nuovo. L’indomani avrebbe consegnato al nuovo proprietario la sua vecchia Renault Clio, avrebbe radunato le sue cose, si sarebbe liberata del superfluo e il tracciato dell’encefalogramma sarebbe diventato più marcato e regolare, e poi...

«Ehi!»

Fu accecata da un lampeggiare di abbaglianti nello specchietto. Julia guidava con prudenza, date le condizioni del tempo. La pioggia riduceva la visibilità e viaggiare a più di ottanta chilometri l’ora sarebbe stato un azzardo, ma la macchina dietro di lei sembrava avere fretta. Le stava così vicino che i suoi fari sembravano montati sul paraurti posteriore di Julia.

«Mantieni la distanza, imbecille!» inveì lei guardando nello specchietto. «Non hai mai sentito parlare di aquaplaning?»

Come sempre la superstrada per Fahlenberg a quell’ora era vuota.

«Perché non mi superi se hai tanta fretta?»

Schiacciò irritata il pedale del freno, e l’automobilista alle sue spalle aumentò la distanza. Ma subito dopo tornò a tallonarla. Questa volta così da vicino che Julia temette di essere tamponata.

Con un sospiro indispettito, azionò la freccia destra per segnalare di voler essere superata. Ma l’automobilista rimase dietro di lei, l’alone dei suoi abbaglianti a illuminarle a giorno l’abitacolo.

«Stronzo, idiota» inveì Julia, spostando lo specchietto. Era già difficile vedere la strada attraverso la pioggia – soprattutto perché i suoi tergicristalli avevano conosciuto tempi migliori – e la luce abbagliante nello specchietto le faceva bruciare gli occhi.

L’auto che la seguiva tornò a distanziarsi, per poi incalzarla subito dopo.

«Per la miseria, ti decidi a sorpassarmi, cretino?»

Azionò di nuovo la freccia e stavolta il guidatore parve capirla. Julia senti l’accelerazione di un motore, poi l’auto uscì dalla corsia e le sfrecciò di fianco.

La pioggia era troppo forte ed era troppo buio per vedere chi fosse alla guida. Siccome si trattava di un’utilitaria piuttosto vecchiotta come la sua, Julia immaginò che si trattasse di un ragazzo di ritorno dalla discoteca. Certo non era solo e probabilmente i passeggeri in quel momento si stavano scompisciando dalle risate.

Ah, ah, guardate quella, se l’è fatta addosso!

E allora? pensò Julia. Ridano pure, non mi farò rovinare il buon umore. La terapia di rianimazione sta funzionando troppo bene.

L’utilitaria sfrecciò davanti a lei e accelerò. A una certa distanza si scorgeva la luce rossa di un semaforo, ma i giovani – forse erano delle ragazze – a bordo dell’auto non sembrarono farci caso. Superarono l’incrocio a tutta velocità, poi imboccarono la rampa dell’autostrada e poco dopo furono inghiottiti dalla piovosa oscurità.

Julia frenò al semaforo rosso e sospirò scrollando la testa.

«Idioti. Prima o poi ci rivedremo al pronto soccorso. E allora ci sarà da piangere. Anche se io non lavorerò più in nessun pronto soccorso qui

Quando scattò il verde, ripartì, accelerò e pensò al gelato che aveva sul sedile del passeggero.

Solo due o tre cucchiaiate? No. Almeno dieci o dodici. Ora le era venuta davvero una gran fame. Forse avrebbe svuotato tutto il barattolo. Chi poteva dire quando le sarebbe capitato di assaggiare di nuovo del gelato in Namibia? Non che per lei fosse importante, ma meglio placare la voglia di dolce finché era ancora possibile. Altrimenti...

Due fari rossi si accesero davanti a lei. Julia lanciò un grido. Troppo tardi riconobbe l’utilitaria che procedeva lentamente a fari spenti al centro della carreggiata.

Non ebbe neppure il tempo di frenare. Sterzò verso destra, schivò l’auto e sfondò il guardrail.

Poi il mondo si rigirò. L’alto diventò basso, il basso alto.

L’impatto che seguì fu micidiale.

Follia profonda
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