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Un quarto d’ora dopo la telefonata era tutto pronto. Il cuore gli batteva forte mentre, in piedi in mezzo al salotto, Jan si guardava intorno con aria assorta.
Sul tavolino basso davanti al divano c’erano una candela accesa, due calici di cristallo e un decanter dove Jan aveva versato una bottiglia di Merlot.
Aveva drogato il vino con del Diazepam preso da uno dei numerosi campioni di prova che aveva nella borsa. Era una dose sufficiente a stordire un cavallo. Nel caso peggiore – a seconda di quanto vino questa Jana avrebbe bevuto – rischiava di ucciderla, lo ammonì il medico in lui. In base alla sua corporatura, avrebbe potuto subire un blocco respiratorio oppure un collasso cardiocircolatorio.
Ma l’altro Jan – quello che era stato al capezzale della ex collega paralizzata e mutilata e aveva visto il cadavere di Nowak con il collo spezzato – reagì a questo avvertimento con una scrollata di spalle. In quel caso avrebbe chiamato il 118. Tutto il resto era da vedere. Dopo tutto doveva prendere delle precauzioni sino a ottenere la confessione di Jana e per poi avvisare la polizia, ed era risaputo che lo scopo giustificava i mezzi.
Nel caso che, contrariamente a quanto previsto, lei non avesse bevuto il vino, aveva pronto un piano di riserva. Sotto uno dei cuscini del divano aveva sistemato una fialetta di spray al peperoncino. Era una precauzione se Jana fosse stata assalita da uno dei suoi imprevedibili accessi di collera. Era riuscita a uccidere un uomo a mani nude – e forse non soltanto uno – quindi era una misura preventiva del tutto accettabile. Quantomeno lo spray gli dava un maggior senso di sicurezza.
Accese il lampadario e il panorama fuori dalla finestra scomparve. Invece di mostrare la strada deserta battuta dalla pioggia, ora il vetro rifletteva la sua immagine. Jan si era cambiato e indossava un paio di jeans con una camicia e una giacca sportiva nella cui tasca interna aveva nascosto un dittafono. Il suo vecchio e fedele registratore che già una volta gli aveva portato fortuna.
Speriamo che lo faccia anche stavolta.
Si era messo anche qualche goccia del dopobarba speziato che gli aveva regalato Carla. Lei aveva definito quel profumo «molto maschile» ed entrambi ne avevano riso divertiti; oggi sarebbe stato perfetto.
Dopotutto è pur sempre un appuntamento galante, si disse sorridendo truce alla propria immagine riflessa nel vetro.
Si allontanò dalla finestra, prese un libro a caso dal ripiano accanto al divano e si mise a sedere, come un manichino in bella mostra.
Avanti, pesciolino, abbocca!
Sfogliò il libro distrattamente. Era la prima edizione in tedesco del Signore degli anelli, un lascito di suo padre. Jan leggeva le pagine senza capirne il significato. I suoi sensi erano concentrati verso la porta d’ingresso che il vento della sera scuoteva leggermente.
Forza, Jana, vieni! Dove sei finita?
Lei gli aveva detto di dover sbrigare ancora qualcosa. Che cosa aveva voluto dire? Forse glielo avrebbe raccontato presto.
Jan si rimise a leggere e alla fine venne catturato dal punto in cui Jack e Ralph discutono della bestia sulla collina di fuoco. L’impulsivo Jack vuole dare la caccia e uccidere la bestia, mentre il razionale Ralph preferisce portare se stesso e gli altri ragazzi a distanza di sicurezza dal misterioso pericolo. L’Es e l’Io freudiani che lottano per la supremazia.
Proprio come me, pensò Jan. Ora sono Jack, il cacciatore.
In quel momento qualcuno suonò alla porta. Jan sussultò come se avesse ricevuto una scarica elettrica.
Mantieni la calma, si impose. Resta tranquillo. Sii vigile e non ti accadrà niente.
Si riprese e raccolse il libro dal pavimento dove era scivolato. Lo rimise al suo posto con precisione, poi si girò e andò alla porta.
Quando afferrò la maniglia, gli tornarono in mente le parole di Jana.
Non ho mai avuto fortuna quando mi sono mostrata agli altri. Tutti si spaventano del mio aspetto esteriore e non vedono quello che c’è dentro.
Jan si ricordò della promessa che le aveva fatto di non voltarle le spalle. Non doveva farsi spaventare.
Qualunque cosa stai per vedere, trattieniti. Forse è deforme, forse soltanto grassa e brutta. Ora non ha alcuna importanza.
Deglutì, si sforzò di sorridere in maniera amichevole e aprì la porta.
Una figura gli balzò al collo.
«Sorpresa!»
«Oddio!» esclamò Jan sgomento e lei si staccò da lui.
«Un semplice Carla sarebbe bastato» disse lei ammiccando.
«Carla, in nome del cielo, che cosa...» Lui la guardava sconcertato. «Pensavo che mancasse ancora qualche giorno al tuo ritorno...»
«Ho cambiato idea. Posso farlo, perché sono famosa.» Rise, poi tornò subito seria. «Non sei contento?»
«Sì, sono... certo che sono contento» balbettò Jan gettando occhiate circospette per la strada. A parte il grasso gatto acciambellato sullo zerbino del vicino con il muso rivolto verso di loro, non si vedeva anima viva. «È solo che sono molto sorpreso.»
Dei fari si avvicinarono lungo la via e subito dopo Jan vide un’utilitaria.
«Che cosa c’è?» chiese Carla. «Vuoi lasciarmi qua fuori sotto la pioggia?»
L’utilitaria si avvicinò. Finì in una pozzanghera sul ciglio della strada spruzzando un getto d’acqua.
Jan continuò a restare sulla porta, impedendo l’accesso a Carla. Se la lasciava entrare, sarebbe stata la fine. Avrebbe dovuto spiegarle tutto e poi avrebbe dovuto nasconderla. C’era da chiedersi se lei avrebbe accettato la cosa e, ammesso che lo facesse, non c’era più tempo. Jana era in grande ritardo. Ormai poteva arrivare da un momento all’altro. Già, forse in quel momento era seduta proprio nell’auto che si stava avvicinando.
«Che ne diresti se ci vediamo più tardi nel tuo appartamento?» propose Jan. «Ho avuto talmente da fare che non ho potuto mettere in ordine. In casa mia sembra che sia passato un tifone. E di sicuro dopo il lungo viaggio tu vorrai rinfrescarti, non è così?»
Lei gli lanciò un’occhiata perplessa. «Ehi, che cosa ti prende? Di solito non ti curi che in casa tua regni il caos. Non temere, non mi metterò a riordinare.»
L’utilitaria era arrivata alla loro altezza e Jan lesse l’adesivo di una società di autonoleggio. Con il cuore in gola cercò di riconoscere la persona alla guida, ma era troppo buio. Poi l’auto si fermò.
Maledizione, imprecò mentalmente. Forse è già troppo tardi, ma devo tentare lo stesso.
«Carla, per favore, ho ancora molto da fare. Ti spiego tutto dopo, ok? Festeggeremo il tuo ritorno con una bottiglia di spumante e parleremo di tutto quanto.»
«No, niente spumante.» Lei sorrise ammiccante. «Casomai dello champagne.»
«D’accordo, promesso.»
La portiera dell’auto si aprì. Una giovane donna uscì dall’abitacolo. Era Corinna Faller, che da sei mesi si era trasferita a vivere con il compagno. A giudicare dall’auto a noleggio, era probabile che le sua vecchia Polo avesse tirato le cuoia. La giovane gettò una breve occhiata verso di loro con un cenno di saluto.
Decisamente non è Jana, pensò Jan sollevato, guardando Corinna affrettarsi sotto la pioggia ed entrare in casa seguita dal gatto.
«E va bene, vecchio cospiratore» sospirò Carla. «Vedo che sono arrivata al momento sbagliato. Ma non metterci troppo. Il lavoro tanto non scappa. E credo che abbiamo cose molto importanti di cui parlare, o sbaglio?»
«Arrivo appena ho finito» promise lui.
Lei lo baciò. Un lungo bacio appassionato, e a un tratto lui sentì la sua mano posarsi sul cavallo dei pantaloni.
«Mi sei mancato» bisbigliò lei. «Sbrigati, così magari mi trovi ancora nella vasca da bagno.»
Detto questo lo lasciò e tornò alla macchina. Gli lanciò un bacio con la mano, salì a bordo e partì.
Nelle settimane della loro separazione, Jan avrebbe dato qualunque cosa per un momento come quello. Aveva tanto sperato che Carla tornasse da lui, per provare a ricominciare insieme. Ora si sentiva un ingrato ad averla mandata via in quel modo.
Le cose però nel frattempo erano cambiate. Adesso c’era una persona che lo minacciava, che avrebbe minacciato Carla, se lui non avesse agito.
Gettò un’altra occhiata per la via. «Sbrigati ad arrivare» bisbigliò. «Io sono pronto.»
Poi rientrò in casa.
Si accomodò sul divano, tastò lo spray al peperoncino sotto i cuscini e rimase in attesa.