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L’uomo in tuta fissava l’estraneo con profondo dispiacere, perché stava facendo piangere la signora, ma anche con un pizzico di sollievo, forse perché conosceva tutta la storia e la trovava insopportabile. «Lei» proseguì Binda, sforzandosi di non guardare il contrammiraglio «è sparita tredici anni fa, come un sasso che cade in un pozzo profondo, però qui, oggi, suo marito mi offre champagne, e allora bevo alla salute di Olga e di chi le vuol bene» concluse scolando l’ennesimo bicchiere.

La donna sulla sedia a rotelle sospirò, allontanò il microfono e guardò il marito.

«Sclerosi a placche» disse il contrammiraglio alzandosi da tavola. Mandò via la servitù e andò a imboccare la moglie, quasi obbligandola a mangiare un po’ di risotto, in un silenzio rotto solo dal ticchettio dell’orologio.

Binda controllò che la penna-spia spuntasse sempre dal taschino. Non aveva paura, ma era difficile prevedere le azioni di un uomo che aveva già dimostrato di essere pronto a uccidere per proteggere la moglie. Lo confortava sapere che in strada c’erano i guardaspalle dell’agente israeliano Saul Spontini… ma sarebbero potuti intervenire in tempo? Si trovava di fronte, in quel salotto della ricca borghesia milanese, a un capo del gomitolo dello scontro tra Est e Ovest, della guerra fredda tra gli 007 di Israele e degli altri Paesi: un mondo di trappole, depistaggi, omicidi e segreti in nome della ragion di Stato e delle ragioni dei soldi. Un gomitolo che passava anche attraverso la sua Milano e, perché no, anche attraverso di lui, che lo volesse o meno, che ne fosse consapevole o meno. Forse era l’ebbrezza dello champagne a dargli un senso di traballante verità: per tutta la vita s’era occupato di omicidi, aveva rivendicato la correttezza del suo semplice, quotidiano, faticoso e prezioso lavoro, e adesso, appena pensionato, eccolo là: era diventato il testimone di uno scontro tra uomini dei servizi, e sino a quel giorno non se n’era reso conto.

«In Spagna, al concerto davanti a Francisco Franco, non è stato un incidente» ruppe il silenzio il contrammiraglio quando l’antico Morbier a pendolo batté le due del pomeriggio. «Erano i primi sintomi della malattia. Una malattia che non perdona» sussurrò a Binda, come se si stesse confessando. Smise di imboccare la moglie. «Non c’erano dubbi: non sarebbe mai guarita, ma nessuno poteva prevedere i tempi del peggioramento, così come dei miglioramenti, che pure ci sono stati. La sclerosi a placche sa illuderti. I progetti di Anna, e anche i miei, si disintegrarono. Ma in qualche modo ne trovammo uno comune, i nostri desideri si mossero all’unisono.» Osservò la moglie, scosse la testa, desolato, e proseguì: «Lei sperava di andare in America, il Salut d’Amour era il suo ultimo saluto per me, anche se nel frattempo io avevo deciso di lasciare moglie e figli e trascorrere con lei, se mi avesse voluto, il resto della vita, godendoci le giornate e i viaggi intorno al mondo. Ma dopo un altro attacco, che l’ha colta in albergo poco prima del concerto di Capodanno e l’ha spaventata a morte, siamo stati obbligati a cambiare prospettiva. La nostra America sarebbe stata Milano».

«Non mi ha detto come ha fatto Victorjia a sparire. Il medico che si è presentato in albergo in realtà era lei, d’accordo, ma poi?»

«Quella sera è uscita e ha trovato ad aspettarla una mia auto. Ho organizzato la sua fuga a Lugano, dove esiste un hotel della CIA, e nei mesi successivi ho investito i soldi del traffico di gioielli in un settore industriale in forte espansione. Siamo diventati molto ricchi, siamo stati anche felici. Le ho comprato un’identità, un passato, una memoria. Adesso i medici dicono che non le resta molto, ma non abbiamo rimpianti. Vorremmo solo stare in pace, a qualunque costo.»

«Vi bastavate a tal punto che lei ha rinunciato alle figlie? Prima, vedendola piangere, non mi è sembrato.»

L’ufficiale non apprezzò: «Va bene, mi sono sempre rifiutato io di avvisare le sue figlie. Stavrogin la credeva morta, per tutti era scomparsa, non c’erano chance. È stata una mia decisione tagliare ogni rapporto con le bambine e lei era contraria, certo, era sempre e comunque contraria: ma dovevamo pensare alla nostra sicurezza, all’inizio, e poi, e poi…». Gli occhi della donna s’erano fatti cupi e profondi, come a confermare silenziosamente quanto fosse stata dura e inutile la sua opposizione. «Nessuno ha mai scoperto che era ancora viva. L’ho lasciata nell’ombra, temendo le conseguenze umane, sentimentali, giudiziarie se si fosse saputo che Victorjia era diventata Anna. Ma la dea del violino è sempre stata caparbia, alla fine è riuscita a fregarmi anche dalla sedia a rotelle… perfino ’sti filippini la amano.»

«E il suo sarebbe amore? Comunque, io sono qui per fare la mia parte. Dirò alla mia cliente, a Olga, che sua madre è viva. La ragazza verrà qui, ne ha tutto il diritto.»

«Non credo proprio.»

«Se ne faccia una ragione, non può fare altrimenti.»

«Sinceramente non so nemmeno se lei, maresciallo, possa andarsene via sereno e tranquillo» disse, mentre in mano gli spuntava una piccola pistola Uberti, a due canne, probabilmente calibro 38. L’ufficiale di Marina, con quell’arma in mano, sembrava ringiovanito. Il braccio, teso, era fermo come un palo. Lo sguardo vuoto. Durò qualche secondo, poi Livraghi abbassò la pistola, ma le due canne restavano rivolte nella direzione del petto di Binda.

«Qualcuno sa che in questo momento sono qui, lei sa che non può uccidere un carabiniere che ha indagato su di voi e pensare di passarla liscia.»

«Non le sparerei mai, se non per difendermi. Non sono un assassino, ma voglio che beva un altro po’ di champagne. Saperla ubriaco mi lascia più tranquillo. Ho la mia età, lei è più giovane di me… può commettere qualche errore di valutazione e sarebbe costoso per entrambi.»

«Un errore come strangolarla con le mie mani?»

«Se ho ucciso o contribuito a uccidere qualcuno è stato per dovere di servizio, oppure per proteggere mia moglie. Adesso cos’ho da proteggere?»

«Perché la pistola, allora?»

«Un colpo è per mia moglie e uno per me, se noi due, Binda, non ci mettiamo d’accordo in questo pranzo. Vuole soldi? Informazioni per qualcuno per cui lavora?»

«Lavoro per me e non sono avido.»

«E ha mai visto un omicidio suicidio mentre avviene? Non credo e siccome so per esperienza che spesso non si crede a parole del genere, può vedere però che l’arma è carica…»

Anche la celebre violinista stava fissando la pistola e cercava, senza riuscirci, di muovere le mani, di avvicinarle al microfono. Non accettava che quel poco di vita e di salute che le restavano finissero con il piombo, per l’ultima decisione di un marito che aveva preso e continuava a prendere qualsiasi iniziativa al posto suo: com’era abituato a fare da tempo, sin da quando erano amanti, a Mosca.

«Metta via la pistola, una via d’uscita c’è» disse Binda.

«Resti là, seduto e immobile.»

«E dove potrei andare? Non mi sono mai alzato nelle rare occasioni in cui qualcuno mi puntava un’arma contro, so che è meglio obbedire e tacere, ma…» Invece scattò. Non verso la canna della pistola, ma si parò davanti alla donna sulla carrozzina. Era tra la pistola e Victorjia e si picchiò sul petto, sopra il cuore, con tre dita della mano destra: «Pensa davvero di saper sparare, di mirare al cuore? Oppure sbaglierà mira? Ha due proiettili, ammiraglio. Le bastano se le persone da ammazzare sono tre? Il personale mi sembra stare dalla parte di sua moglie e non dalla sua, lei non ricaricherà la pistola, se uccide lei e me, lei andrà in carcere, perciò la prego, ammiraglio, mi ascolti».

Livraghi aveva alzato e abbassato l’arma, più smarrito che inferocito: «Va bene, l’ascolto».

«Le offro un patto tra gentiluomini. Olga potrà venire a vedere la madre, sino ai suoi ultimi giorni, e non ne parlerà con nessuno. Anch’io, sino a funerali avvenuti, sarò muto come un pesce.»

«Non mi sono mai fidato dei carabinieri.»

«Solo dopo il funerale di Victorjia andrò alla Procura della Repubblica, per raccontare quello che ho appreso, e lei deciderà cosa fare. Se spararsi. Se accettare il processo. Se scappare. Le garantisco che non verrò meno a questa promessa. Se s’è fidato di Stavrogin, e Stavrogin di lei, lei può fidarsi di me.»

Un lungo lamento uscì dalla bocca della violinista, ma Binda non si girò, l’ammiraglio sorrise alla moglie e annuì: «Come la mette con il suo giuramento e con la legge?» disse, poggiando la pistola sul tavolo.

«Quale legge applichiamo?» domandò Binda, restando come scudo davanti alla violinista. «Se la denuncio adesso e faccio il mio dovere, applico la legge penale. Ma agli esseri umani cosa accade? Cosa accade a lei? Ho il numero di telefono di Olga, posso usare l’apparecchio e chiamarla?»

«E Stavrogin? Per noi è un pericolo, non vuole complicazioni. Finché resta vivo e libero può venire a bussare alla nostra porta esattamente come ha fatto lei.»

«Stavrogin vive in Italia? Sotto quale nome? Se lei mi aiuta, questa volta non sfuggirà all’arresto. Mi racconti quel che sa» disse Binda, andando vicino all’ufficiale di Marina.

«Poco. L’ho visto l’ultima volta nel ’78, nei giorni del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro. Gli serviva una base in Italia, lontano da hotel e ambasciate, e gli ho trovato un posticino a Porta Vittoria.»

«Mi darà l’indirizzo e ogni riferimento.»

«Va bene. Ho conservato i documenti, bisogna mandarli a prendere in una banca svizzera.»

«E che c’entrava Stavrogin con Moro?»

«Viaggiava tra Roma e Milano, sempre più agitato, soffriva per il suo rapimento. Una sera che ha bevuto troppo gin m’ha detto: “Devo togliermi il cappello, i democristiani sono stati capaci di realizzare un’operazione d’intelligence come raramente se ne vedono. Avete fatto ammazzare dagli infiltrati nel partito comunista combattente l’unico politico di peso che aveva avuto il coraggio di aprire la porta al partito comunista democratico. Sono andati oltre Machiavelli”. Ne parlava come di un’operazione interna, ma non ci ho mai creduto, e lei?»

«Nemmeno io» disse Binda, che invece ci credeva. Un biscazziere di via Panizza, grande amico del boss Francesco Turatello, gli aveva rivelato che il boss, il numero uno della piazza di Milano, s’era dato da fare per la liberazione dello statista democristiano. «Mi indichi il telefono, per favore.»

Esiste un momento preciso in cui Milano si trasforma e torna a essere una città del Mediterraneo, ed è quando comincia a calare il sole e arriva un po’ di vento di scirocco: allora è bellissima. In quel preciso istante Binda uscì dalla villa barcollando leggermente e restituì a Saul Spontini la penna-spia.

L’agente israeliano, ancora in doppiopetto, ma senza cravatta, era allegro come non mai. «Ora spedisco questa registrazione ai magistrati e vi arrestano tutti quanti, con una sola fava prendo il Maigret dei Navigli e l’ammiraglio dei servizi… la prima pagina non ve la toglie nessuno.»

«Lei vuole una persona sola, caro Saul.»

«Finalmente una deduzione giusta. Adesso so con certezza che nemmeno Livraghi sa dove si nasconde Stavrogin, anche se, sino a qualche anno fa, almeno sino al caso Moro, si sono visti e aiutati.»

«I casi non si risolvono se mancano alcuni pezzi di verità. Quando li hai tutti, la logica può portare a un unico risultato… ma cosa le ha fatto di così grave?»

«Nello stesso anno c’è stata la strage alle Olimpiadi. Molti degli assassini palestinesi li abbiamo ammazzati, ma lui ne ha esfiltrati due, e non va bene.»

«Quindi gli dà la caccia per vendetta.»

«O per giustizia. In ogni caso, era stato avvisato e starò meglio quando gli avrò ficcato, come da ordini, due confetti nel cranio. La saluto, maresciallo, un giorno di questi vengo a trovarla. Ho deciso che lei mi piace. Anche se, al suo posto, non mi sarei messo davanti alla pistola di un pazzo.»

«È che sono ancora un po’ ubriaco.»

«Non credo, perché l’ha fatto?»

«Forse per le vostre storie non sono disposto a rischiare, sono storie diverse da quelle di un uomo e una donna. Voleva davvero uccidere l’amore della sua vita? Per l’ammiraglio amore significa impedire a un altro di esistere? Saul, me lo sono chiesto molte volte, me lo sono chiesto che cos’è l’amore correndo per le segnalazioni di omicidio e vedendo gli uomini che ammazzavano mogli, fidanzate, amanti ed erano là, ad aspettarmi, esausti. Prima la ringraziavano di esistere, poi le toglievano la possibilità di esistere senza di loro. Ma quale amore? Non mi hanno mai fatto compassione. E nemmeno l’ammiraglio me ne fa. Ma sua moglie sì. E anche sua figlia, Olga, lei ancora di più. O sbaglio?»

«Gliel’ho detto, lei ormai mi piace»

«Sono kosher?»

«Già. Non male.»

L’auto con l’agente della Unit 8200 a bordo partì dolcemente verso la Cerchia dei Navigli e Binda decise che si meritava un piccolo pellegrinaggio. Se ne andò a piedi al Conservatorio. Era affollato di studenti e pensò a Zimbalist, a quando l’aveva visto la prima volta, a quando gli aveva mostrato l’album fotografico della dea. Un puro, un appassionato di musica: chissà a che cosa pensava della vita, per sé e per Victorjia… E ora lei era viva e malata e lui sottoterra, al Monumentale, nella tomba di famiglia.

Nonostante la lunga passeggiata, tutto lo champagne che era stato costretto a bere non evaporava. Si sedette nella chiesa, che non ricordava così grande. Le candele tremolavano sotto il quadro di una contadina che vede la Madonna. Sorrise e s’incamminò di nuovo, diretto in via Melzo.

Il bel portone di legno della casa di ringhiera non c’era più, forse l’avevano venduto. Anche gli inquilini più vecchi se n’erano andati, ma non la sensitiva: però non lo riconobbe, a malapena ricordava Fabrizietto e Gingerino.

Con la testa che ancora gli girava, si bevve un marsalino al bar Picchio. E un solo bicchiere non gli bastò per ricordare a dovere i due ladri del numero 5, Rosario Capovilla detto “Gingerino” e Fabrizio Pasteur, che dalla pace campagnola delle oche del Périgord era finito appeso sotto un ponte di Milano. Infine, sempre a piedi, tornò a casa che l’ora di cena era passata da un pezzo. Alba era carica come una molla: «Ma non sai che esistono i telefoni? Non potevi chiamare? Sono stata in pensiero tutto il giorno, caprone di un montanaro. Ma Peder, quanto hai bevuto?».

L’ammansì, spiegandole tutto quello che poteva spiegarle, non le raccontò alcuni dettagli, come essersi messo sulla linea di tiro di un’arma carica.

«E davvero non hai fatto denuncia? E non la farai?» gli domandava stupita, inseguendolo persino in bagno.

Dopo una raffica di domande e proteste, l’ex maresciallo riuscì a rispondere: «Assassini in libertà non se ne lasciano, è così. Ma ci sono cose che hanno bisogno di tempo. Devo studiare la situazione, non voglio che scappi proprio Stavrogin. Il suo era un nome di copertura. E non posso sapere se ci verrà fornito quello vero. Non posso cacciare un fantasma, e il vero fantasma del Pont de Ferr era lui. Io l’ho toccato, ci ho parlato, ma non l’ho riconosciuto».

«Sai cos’ha fatto ’sto russo con i soldi dei gioielli?»

«Elettronica, ha investito in computer, so solo questo. Tutti questi figli di puttana lavorano nell’elettronica. Anche mio figlio Umbertino lavora nei computer. E io manco so che cosa sia ’sta roba, so solo che dà la scossa… cià, vieni qua, Alba, che certe notti io sono per la meccanica e la fisica.»

«Ma chi siamo noi?» domandò lei quando finirono di far l’amore.

«Pietro e Rachele.» Il cuore di Binda si arrestò e poi accelerò: «Scusa, è l’abitudine, lo so che sei Alba, scusami davvero. E siamo due che stanno bene insieme».

«E poi?»

«E poi cosa?»

«Non mi dici mai cosa provi per me.»

«Sai che anche mia moglie si lamentava per lo stesso motivo? Forse ognuno sa che alcune parole non gli escono, e allora…»

«Non incasinarti, Peder. Non mi sembri un egoista, e per fortuna sei diverso da uno come l’ammiraglio, che si riempie la bocca con la parola amore ma non sa di che parla, visto che sacrifica tutto e tutti per dire “ti amo” alla sua donna e tenersela accanto, anche malata, anche incapace di parlare, eppure…»

Binda ormai era completamente lucido, l’effetto dell’alcol era scomparso. «Negli anni mi sono convinto che quando si ama troppo qualcuno non si vuol bene a se stessi. E secondo me non ho torto, Alba, ti potrei citare una poesia dell’Alda Merini, ma non sono in forma. Riempitevi la coppa l’un l’altro, ma non bevete dalla stessa coppa, ha scritto una volta un poeta arabo, e ci vedeva giusto.»

«Già, già, con chiacchiere e poesie vai forte, Peder, ma vuoi dirmi qualcosa di carino o ti giri dall’altra parte?»

Finse di dormire, ma resistette senza ridere solo una manciata di secondi. La strinse e le disse: «Sei bella quando ridi, non sai il bene che mi ha fatto averti incontrato, ormai al paese mi chiamano il vedovo allegro».

«Tutto qui quello che sai dire?»

Alle 5 Binda si svegliò. Aveva bevuto dell’ottimo champagne; e anche il resto non era stato male. Alba russava dolcemente e lui non aveva il minimo mal di testa, si sentiva perfettamente bene. Si osservò allo specchio del bagno, si mise di profilo, controllando il doppio mento. Andò nello studio, la sua minuscola agenzia casalinga, con un’idea precisa. Svuotò nel cestino il vecchio fascicolo intestato a Stavrogin. Cartacce vecchie, la realtà era diversa, e adesso la conosceva. Mantenne solo la copertina. La rimise vuota nello schedario e, ad alta voce, puntò il dito e minacciò il fantasma del ponte di ferro: “Siamo vivi, ci ritroveremo, e quando un carabiniere incontra la spia, la spia è l’uomo morto”.

Alba era lì e rideva: «Per un pugno di rubli» disse e corse ad abbracciarlo.