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Senza mai fermarsi, maneggiando la grossa Nikon come se dovesse riempire una decina di pagine del quotidiano del pomeriggio, o come se non fosse lui a pagare la pellicola, un baffuto fotografo della “Notte” scattava un’immagine dietro l’altra. I pompieri, chiamati a tirar giù dal ponte il cadavere, tardavano. Il magistrato di turno era il dottor Loira, che Binda conosceva bene. Ormai si davano del tu, ma cosa avrebbe potuto dirgli di serio, a parte segnalargli la presenza di quel cadavere mutilato?

Dalla vicina chiesa di San Cristoforo s’era presentato un giovane sacerdote con tanto di turibolo, per una benedizione all’aperto. Il fotografo gli aveva detto dove mettersi per scattare un primo piano della tonaca col corpo penzoloni sullo sfondo. Qualcuno si faceva il segno della croce e un anziano, avvolto in un montgomery verde, alzava la voce per avere più attenzione del sacerdote: «Dove andremo a finire se continuiamo così? Forse voi non lo sapete, forse non lo sa nemmeno il prete, ma da quella chiesa, nel Mille e qualcosa, partirono i Crociati per conquistare il Santo Sepolcro». Si schiarì la voce e gridò ancora più forte, come un ambulante al mercato: «Esatto, anche qui avevamo i Crociati: hanno camminato dove camminiamo noi, e tornarono da Gerusalemme con delle reliquie importantissime. Una spina della Santa Corona, un pezzo della colonna dove Gesù fu flagellato». Galvanizzato dall’attenzione dell’uditorio, l’uomo in montgomery tese le braccia in avanti, come a imporre una laica benedizione: «Erano tempi duri, di peste e carestie, ma oggi siamo messi meglio? No, niente affatto! Oggi c’è un’altra peste, è tutta intorno a noi. Non la vedete quest’epidemia? Drogati, puttane, assassini, studenti in piazza, bombe nelle banche, meridionali senz’arte né parte che arrivano qui e ci rubano le paghe migliori». Qualche «buuu» e una salva di fischi interruppero il comizio. L’uomo riprese fiato e senza lasciarsi intimidire proseguì: «Ed ecco qua la metafora perfetta dei nostri tempi. Una decapitata. Una donna senza testa. Come tutti noi italiani! Eravamo i padroni del mondo, SPQR, senato e popolo di Roma, abbiamo esportato il senato in ogni contrada e adesso l’abbiamo riempito di ladri! Pensateci, è vero o non è vero che stiamo perdendo la testa?».

«Te sicuro ti sei scordato il cervello sul comodino» gridò qualcuno. Nella folla sempre più numerosa scoppiò una risata liberatoria.

Il fotografo inquadrò anche il predicatore, mentre Binda scendeva a malincuore dal ponte di ferro per aiutare carabinieri e vigili ad allontanare i curiosi di una cinquantina di metri. Guardò l’orologio. Erano le nove; la nebbia era sparita del tutto. Il cielo azzurro spuntava a chiazze da nuvole color moplen e al volante della sua inconfondibile NSU Prinz TTS beige stava arrivando il medico dell’obitorio, il professionale Boncompagni. Gli aprirono un varco tra la folla e lo fecero salire sul ponte.

«Bello spettacolo» disse amaramente. Osservò dalla cima della scala il corpo penzolante e, nonostante fosse a circa dieci metri di distanza, sentenziò: «Sarà uno dei battoni del cimitero Monumentale, anche senza testa prima o poi lo riconoscerete. Non li avete schedati tutti, i travestiti?».

«Un travestito» ripeté Binda. Proprio come pensava: non era una donna, quell’essere umano lasciato senza testa sul Naviglio. Se lo avesse saputo, il predicatore avrebbe avuto a disposizione altro materiale per il suo comizio.

«Dottore, farei tirare giù il corpo appena i pompieri si degnano di raggiungerci, c’è già troppa gente a guardare. Può dirmi qualcosa di concreto, per favore? Devo avvisare il Palazzo di Giustizia.»

«Ci mancherebbe, maresciallo. Come si nota dai margini della ferita, la testa è stata staccata da un medico… o quanto meno da un macellaio, a volte hanno la mano più ferma dei chirurghi. Ovviamente si tratta di un lavoro di fino, di sicuro è stato svolto altrove… e non sarà stato facile reperire quelle scarpe femminili, minimo minimo sono un 41, un bel fettone. E poi, se quello che vedo è un archetto da violino, forse questo poveraccio era un artista, sapesse quanti ce ne sono a dare spettacolo a Milano, più che a Broadway.»

Furono interrotti dall’arrivo di due uomini, che affrontarono di corsa i gradini: «Reduci della Seconda guerra mondiale» disse uno, e l’altro aggiunse che stavano lavorando con altri ex commilitoni al pontile dell’Associazione marinai d’Italia. Un ammiraglio e un nocchiere. Non degnarono di uno sguardo il cadavere, come capita a chi ne ha viste tante sotto le armi, e si concentrarono sui nodi. «Quello in alto, dov’è appeso il corpo, è un nodo d’anguilla, e sotto le braccia c’è una gassa d’amante doppia» sentenziò l’ammiraglio, un sessantenne abbronzato e muscoloso come un muratore.

«Roba da marinai e da alpinisti» concluse il nocchiere. Aveva una mano di plastica e cercava di nasconderla tenendola in tasca. «Sono nodi solidi, bisogna essere esperti per farli come si deve, se no…»

«Bene, allora se restate qua, visto che sono arrivati i pompieri, ci potete aiutare. Magari non tagliamo la corda, proviamo a liberare il corpo sciogliendo i nodi, se ve la sentite.»

«Eravamo sommergibilisti» rispose l’ammiraglio. Non c’era bisogno di aggiungere altro: chi era andato a centinaia di metri sotto la superficie dei mari non aveva paura di niente e aveva visto di tutto.

Il dottor Boncompagni amava raccontare storielle e non seppe resistere: «Maresciallo, lei che è delle Grigne lo sa cosa significa a Milano “facc de Giuli”?».

«No.»

«“Giuli” in milanese era il vaso da notte. Lo chiamavano così i miei nonni, perché c’erano i fiorellini celesti per lui, le roselline per lei, e sotto la scritta JULES RICHARD. Il socio di Ginori. È per questo che nessuno a Milano sotto il fascismo chiamava il figlio Giulio, anche se c’era la gens Iulia

«E chissà questa persona qui che faccia aveva…»

Il dottor Boncompagni sogghignò: «Quando si dice che uno ha perso la faccia».

A Binda non piaceva quel cinismo, ma la freddura, sparata così all’improvviso, in quel contesto, gli spalancò una risatina liberatoria, mentre i marinai e i pompieri collaboravano per adagiare il corpo su una barca lunga. Come in un funerale veneziano, lo portarono remando sino al pontile della Canottieri e là, accanto a due remi, lo adagiarono, lontano dalle persone che i carabinieri in divisa avevano tenuto a distanza.

«Prima le ho detto travestito, ma non saprei. Ha mani callose, poco curate, non da violinista o da artista. Direi più che altro da carpentiere. E sulle unghie non c’è traccia di smalto. Per di più, è pieno di peli come una sciiimmia… non mi sembra uno che si vende di notte. O almeno non somiglia ai due che mi sono capitati sul tavolo negli ultimi mesi. Come dice l’Umberto Simonetta, questa città era destinata a diventare Francoforte, ma è stata dirottata verso Salonicco» disse Boncompagni.

«Quindi?» provò a stringere i tempi il maresciallo, che, nonostante il suo lavoro, e i tanti anni di carriera, non si sentiva a suo agio accanto ai morti ammazzati; e nemmeno apprezzava sentir parlare senza affetto della città che l’aveva accolto, così come aveva accolto anche il dottor Boncompagni dalla sua Cecina, senza togliergli l’accento toscano e quel suo vezzo teatrale di allungare il suono delle vocali.

«Quindi le riferirò dopo l’autopsia, ma a occhio la ferita è stata pulita, il corpo lavato, poi vestito e infine appeso lassù, chissà per quale scopo, ma il maresciallo è lei. Il morto peserà sui cinquanta, cinquantacinque chiiilotti.»

«Mi sta dicendo che una persona robusta può averlo appeso da solo.»

«Senza il più esile dei dubbi. C’è in giro per la città un maniaco molto forte. Speriamo di non incontrarlo di notte in un vicolo, magari nella stretta Bagnera, eh, maresciallo?»

Binda non rispose: con la coda dell’occhio stava apprezzando i primi effetti delle sue disposizioni. Giudici era in canoa e remava piano, una Muratti spenta in bocca, e Bertacchi ondeggiava sulla bicicletta. Procedevano appaiati lungo il Naviglio verde vipera, uno in acqua e uno sulla terraferma; entrambi brontolavano in direzione di Corsico. Il maresciallo alzò lo sguardo al cielo, in una muta preghiera laica, e quando lo riabbassò si ritrovò di fronte al saluto militare con tanto di sbattere di tacchi di un giovane carabiniere di leva, con il fiatone e un po’ di forfora sul bavero: «Maresciallo, la testa. È stata trovata. Sta nel vicolo delle lavatrici».

«Vuoi dire vicolo dei Lavandai.»

«Affermativo. Scusi l’imprecisione, sono di Varese provincia. Possiamo portarla noi sul posto. Abbiamo il furgone accanto alla chiesa di San Cristoforo, mi ha detto di riferire il tenente.»