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La porta era chiusa da due catenacci e Bertacchi porse due chiavi: «Le aveva in tasca, insieme al portafoglio con ventimila lire e la ricevuta di un ristorante di piazza Solferino».

«Si tratta bene, mangia nel ristorante dei giornalisti del “Corriere”. La data è di oggi?» domandò Binda.

Bertacchi confermò dopo un controllo: «Di oggi. Cioè, ha ammazzato quei due e s’è andato a mangiare l’ossobuco come se niente fosse?».

«Cosa ha mangiato?»

Bertacchi, con accanto Stavrogin che sbirciava alzandosi in punta di piedi, lesse: «Culatello, risotto giallo e ossobuco, torta di mele, una bottiglia di barolo Mascarello, due amari, due caffè, trentottomila, alla faccia del caciocavallo».

Binda studiò la magrezza del greco. «Era il tuo primo pasto decente da mesi, eh? Chi ti ha dato i soldi? E perché?» domandò.

Sideris non rispose. Si limitava a osservare di tanto in tanto Stavrogin, che lo guardava fisso, si sarebbe potuto dire in cagnesco, ma non come un pitbull: piuttosto come un setter irlandese che ha fiutato una pista. Non diceva mezza parola, non un cenno, non un lampo negli occhi glaciali. Binda si decise ad aprire la porta del capannone. Non c’era corrente elettrica. Accese una delle candele che trovò accatastate su una specie di comodino sghembo. La luce tremolante rischiarò una brandina e un trabiccolo di ferro usato come armadio: quattro calze blu erano appese ad asciugare. Una bombola di gas da campeggio costituiva l’intera cucina. In una cassetta di legno si ergevano due piramidi di scatolette di cibo per cani. Non essendoci cani, la spiegazione poteva essere solo una: «Di solito mangi queste, eh, barbone?» domandò Bertacchi.

Il maresciallo proseguì l’ispezione, seguito da Stavrogin. Doveva esserci un nascondiglio per la pistola che aveva sparato all’Angelicum. Ci mise quasi un’ora e un’altra candela per scoprire, poco prima dell’alba, una finta parete di lamiera. «Attenzione, state indietro, c’è dell’esplosivo» disse Binda dopo aver sbirciato nel varco.

Andreas Sideris rialzò la testa, che durante tutte le fasi della perquisizione aveva tenuto china sul petto: aveva lo sguardo duro del militante di ELAS, l’esercito popolare greco di liberazione. Non tradì alcuna emozione nemmeno quando Binda, con grande prudenza, estrasse alcuni candelotti di gelignite avvolti in carta marrone. Né quando trovò numerose banconote da cinquantamila lire. Né quando da una scatola di scarpe emerse una quarantina di cartucce marca Leon Beaux, per fucili da caccia.

Solo quando Binda chiese: «E questo cos’è?» il giovane guardò la porta, come a voler fuggire di nuovo, anche se non ne aveva la minima possibilità.

Il maresciallo avvicinò la candela a un abito giallo, dal taglio a trapezio, strappato sul seno e macchiato di rosso. Sangue, senza dubbio.

«Di chi è? Non sembra la sua taglia.» Stava sorgendo il sole e nessun’altra parola era uscita dalla bocca del greco. «Bisogna chiamare la Scientifica, cercare di capire se questo posto nasconde altro, se è stato la scena di un crimine, e di quale crimine» concluse Binda.

Stavrogin, che fino a quel momento era stato l’ombra muta dei carabinieri, si avvicinò e a bassa voce brontolò: «Era abito di Victorjia». Aveva seguito la perquisizione restando due passi indietro e limitandosi ad annuire, ma ora sembrava voler prendere in mano la situazione: «Prima ho mentito, una sera lei uscita con me, prima di suo grande tradimento».

«Ammette che la conosceva?»

«Sì.»

«Gliel’ho chiesto e ha negato.»

«Ho sbagliato, chiedo scusa, pensavo non utile. Lei aveva addosso questo abito, ricordo benissimo.» E prima ancora di aver finito la frase raggiunse il greco con due rapidi passi e lo aggredì, riuscendo ad assestargli alcuni pugni in faccia prima che Bertacchi intervenisse: mentre Stavrogin continuava a imprecare e a minacciare Sideris in russo, il vicebrigadiere lo spostò di peso e lo spinse via, convincendolo a calmarsi a furia di gomitate al plesso solare. Massaggiandosi lo stomaco, la spia si rivolse a Binda: «Me lo lasci un’ora, non uccido. So come far parlare criminali senza uccidere, un’ora basta».

Il maresciallo lo obbligò a uscire dalla baracca, e fece cenno a Bertacchi di stare con lui.

«Lo ammanetto?»

«Se serve, sì.»

Il maresciallo tornò nel capannone e, rimasto solo con il greco, andò a sederglisi accanto: «Lei può aiutarmi e parlare, e se parla io l’aiuterò. Altrimenti anche solo il possesso dell’esplosivo, con quello che accade in Italia, le costerà caro. Qui c’è materiale a sufficienza per vent’anni di galera, mi dia retta. La perquisizione durerà per giorni, scaveremo anche in giardino, se ha altro da nascondere non ha scampo. Il corpo di Victorjia è qui?».

Sideris sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

«Almeno mi dica perché ha ucciso quei due stasera.» Il greco continuava a guardarsi la punta consumata delle scarpe sfondate. «Lei è quello che si prende la colpa? È stato pagato per finire nella fogna al posto degli altri? O parla o finisce nei guai, lo capisce o no che sono l’unico a poterla aiutare, se non c’entra con gli assassini?» domandò l’investigatore.

Un lampo disperato scintillò negli occhi del greco: «Io sono quel che sono e faccio quel che faccio, ma giuro su Dio Padre che non ho ucciso nessuno in vita mia» disse. E richiuse la bocca.