17
L’agente segreto dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche forse non aveva sentito. O forse non aveva capito la tipica espressione milanese. O forse, nonostante il tono di Binda, voleva sopire ogni contrasto. Si gustò alcune boccate del cigarillo, tenendo gli occhi socchiusi. «Anche “Pravda” pubblica tante notizie, quasi tutte vere e buone, e alcune false. Anche giornalista taliano che ha a cuore sicurezza dello Stato non dice no carabinieri. Come giornalista mericano non dice no a CIA, così giornalisti russi fanno sempre volentieri piccolo favore a KGB in nome della verità» concluse l’agente segreto, senza soffocare un’altra delle sue risate a mezza bocca. Finché, con voce bassa e ferma, sganciò finalmente la rivelazione: «Qualcuno miei compagni di polizia corrotto da vizi revisionisti. Da molto tempo abbiamo criminali in divisa. Hanno usato e usano le tournée di nostri artisti, o trasferte sportivi, per guadagnare milioni di rubli con contrabbando».
«Ciumbia, ve la fanno sotto il naso» disse Binda.
«Contrabbando ha mille facce, amico taliano. Qualche volta scatoline di caviale e fa niente, è buono, farò arrivare anche per sua famiglia. Qualche volta trafficanti trattano informazioni. Questa merce scotta di più. Anche se» aggiunse come riflettendo tra sé, con un mezzo sorriso, come se si divertisse per qualcosa che conosceva solo lui «dipende da esattezza informazioni che filtrano. Anche famoso libro, Dottor Živago, arrivato Milano con contrabbandieri e Feltrinelli Giangiacomo, compagno del compagno Fidel, diventato famoso nel mondo. È vero che è latitante e lo ricercate?»
«Non lo so, mi occupo di omicidi, non di politica.»
«Lei cane da caccia, come me, niente politica, solo criminali. I nostri nemici sono funzionari russi infedeli, hanno ricattato e usato varie volte Victorjia come valigia con doppio fondo.»
Era arrivato il momento di colpire, si disse Binda. Interruppe di nuovo Stavrogin: «E non per portare caviale, ma un bel po’ di gioielli, immagino».
Il russo era un ottimo incassatore. «Già, lei sa, non immagina. Complimenti, sue indagini in giusta direzione. Victorjia portata lontano da Mosca con gioielli della Rivoluzione, valore immenso, milioni di dollari, milioni e milioni di dollari.»
Anche se il ladro di via Melzo era stato il primo a parlargli dei gioielli, Binda restò sbalordito dalla rivelazione e dall’ammontare del furto. «E come è stato possibile rubarli? A voi? I gioielli della Rivoluzione. Incredibile. Vuole dire i gioielli sequestrati ai nobili, ai proprietari, il bottino dei russi bianchi?»
Stavrogin, soffiando una raffica di nuvolette di fumo e borbottando in russo, annuì. Camminarono avanti e indietro in via del Bollo mentre raccontava la trama dei contrabbandieri: «Museo gioielli molto importante e difeso notte e giorno da militari. Ma ladri hanno idea geniale. Trucco bello. Oggi museo mostra copie, ben fatte, ma copie. Gioielli veri rubati da tempo. Sostituiti. I visitatori ammirano sotto vetri blindati gioielli falsi taliani. Voi bravissimi con le mani, vero? Falsi arrivano – questa è notizia fresca, ecco motivo perché sono arrivato in ritardo – da orafo diventato molto molto collaborativo cambio vita sua e sua numerosa famiglia. È bigiotteria, si dice così?».
«Precisamente, il suo italiano è ottimo.»
«Grazie. Nostra bella violinista, nelle sue passate tournée in Italia, portato gioielli veri ai contrabbandieri, a Milano già venduti diamanti e rubini, e anche spinello importante, spinello epoca Rjurik, che giorni fa recuperato e spedito a Mosca per controllo…»
Se poteva o non poteva credere alle storie di quello spione, Binda non lo sapeva, ma ne ammirava le capacità. «E dove ha recuperato esattamente questo “coso”?»
«Spinello. È come rubino, ma non rosso, non sangue di piccione, è color arancia. E anche Milano come Mosca Leningrado New York Londra ovunque vita umana più preziosa che pietra da ricco. Mio messaggio capito molto bene in via San Gregorio. Loro rimasti vivi, io ho pietra, accordo funziona, e pagato diecimila dollari, poco, no, per spinello russo e per indizio?»
«In via San Gregorio dove, esattamente?» domandò Binda, con un filo di voce. Il suo cuore s’era fermato: il ladro di via Melzo 5, l’amico di Pasteur, non entrava in un negozio di stoffe di via San Gregorio? Non era là che l’avevano seguito Giudici e Bertacchi? Il negozio era intestato a due o tre fratelli, apolidi, provenienti dalla Grecia, molto stimati nella zona. Apparentemente avevano a che fare con i tessuti, ma ormai era evidente che non disdegnavano di occuparsi di merce che scottava.
La conferma gliela stava dando Stavrogin: «Tra tanti mercanti di stoffe, uno c’è che tratta anche pietre. Giudeo, famiglia tutta giudea. Ha lavoro segreto per persone che fanno mio stesso lavoro per altri Stati, nostro mondo non è solo bianco o nero, è grigio, e in colore grigio nessuno vede e ci si può dare mano, vero, egregio maresciallo Binda? Un po’ come noi qui e ora, come fratelli. In nome di fiducia reciproca. Lei chiesto fiducia, io dato fiducia. Come dice mio amico Jean-Paul, la confiance se gagne en gouttes et se perd en litres, fiducia si guadagna goccia a goccia, ma si perde a litri».
«Esatto, Galbani vuol dire fiducia» rispose Binda, tanto per non star zitto e riflettere: commercianti ebrei legati ai servizi di Israele? Gli sembrava strano. Anzi, per la sua conoscenza di via San Gregorio e dell’universo ebraico milanese quell’informazione era del tutto sballata. Però, se non aveva motivo di dubitare del recupero dello spinello, un altro fatto diventava certo: e cioè che il ladro, l’analfabeta con tanto di Mercedes, mister Gingerino, l’aveva depistato. Non gli aveva forse raccontato che l’affare organizzato da Pasteur era in alto mare? E che lui tardava a incontrare questi trafficanti di gioielli perché il suo amico magazziniere del Conservatorio non gli aveva ancora spiegato abbastanza delle pietre, del loro numero, del loro valore e dei rischi che comportava smerciarle? Erano balle: se uno dei gioielli, addirittura questo “rubino color arancia”, era stato rubato in Russia ed era già finito in via San Gregorio, dove s’era presentato a riscattarlo il sedicente Stavrogin, con il suo tono mellifluo e quegli occhi da serpente, non c’erano dubbi: il business era già stato organizzato. E da tempo. Forse Gingerino lo sapeva, forse no. Avrebbe dovuto scoprirlo.
Il maresciallo tenne quel prezioso dettaglio – ma quale fiducia reciproca? – in un angolo del cervello, mentre il giovane capo delle operazioni del KGB nel Nord Italia proseguiva: «Questa volta contrabbandieri devono aver pensato che meglio giocarsi tutte carte in unico, forse ultimo viaggio bella violinista. Esportazione massiccia, tutti miliardari. Capri, Portofino, dolce vita».
«Ma com’è stato possibile per una violinista, per un’artista, non una criminale, trasportare i gioielli fuori dall’Unione Sovietica? Mi risulta che due agenti del KGB stessero sempre accanto alla signora, come spesso succede tra voi uomini liberi, democratici e antifascisti…»
«Già, già» disse Stavrogin, muovendo la mano destra come se volesse scacciare una mosca. Sembrò guardare il cielo, reso invisibile dalla luce dei lampioni, si sistemò la sciarpa attorno al collo, controllò le sue scarpe perfette e proseguì: «Per suonare ultima sua interpretazione, Meditation from Thaïs – e Thaïs è antica puttana di lusso che fa perdere testa anche a uomini religiosi –, Victorjia indossa abito speciale. Bravo scrittore mericano racconta che per nascondere meglio qualsiasi cosa si mette sotto occhi tutti quanti».
«L’abito di Thaïs è servito a nascondere i gioielli della Rivoluzione…» dedusse Binda ad alta voce.
«Esatto, luccicano migliaia di pezzi di vetro, ma no vetro, niet, gioielli autentici, antichi, e di grande valore, di czar Costantino anche. Sono state ricamate anche due molto preziose collane di Romanovi, famiglia ultimo czar, conosce storia?»
«So che vennero fucilati a Ekaterinburg, senza processo.»
«Bravo, ma mia storia non sta sui libri. Voglio raccontare, molto divertente. Soviet locale riceve ordine superiore da Mosca, niente processo, esatto, lei studiato storia, sa che meglio abbattere tiranni. Soviet obbedisce e spara su Romanovi, su czar, su erede, su tutta famiglia, ma donne giovani non muoiono. Sempre vive. Gridano, camminano. Come streghe. Soldati tremano, scappano. Un grande compagno ha coraggio, infilza ragazze con baionetta.»
«Coraggio, ha detto?»
«In castello sangue su pavimento, compagni trasportano corpi in bosco vicino, a Koptjaki, per fare pezzi e seppellire. Niente tombe, niente lapidi, niente ricordi, niente preghiere. È Rivoluzione e tutto cambierà per sempre. Ma una giovane figlia di czar si alza e grida, è viva, è ancora viva, maledice tutti, allora di nuovo tanta paura tra compagni, bliad’, perché non morivano mai donne di czar Nicola II? Assurdo, è come notte di Valpurga. Soldati scappano, ma compagno coraggioso zac, zac, zac, con baionetta attacca di nuovo ragazza, finché immobile, senza respiro, senza lamento. Finito.»
Binda allargò le braccia come se avesse appena messo giù una carriola pesante: «Ma insomma, cosa sta raccontando?». Il mal di testa se n’era andato, ma aveva lo stomaco sottosopra.
Stavrogin sorrise. «Quando compagni spogliano cadaveri per seppellire, sorpresa! Tanti, tanti gioielli cuciti dentro vestiti donne. Grazie a oro e pietre preziose, corpetto seta diventato duro come corazza di Superman. Ecco perché non morivano, ragazze Romanovi, perché proiettili rimbalzavano! Niente magia, solo nobili, capitalisti, latifondisti hanno superpoteri. Non fa ridere, fine simbolica di famiglia czar? Quando raccontato a Fidel, all’Avana, tanto divertito, rideva come matto, ha regalato dieci scatole di Cohiba.» A Binda non veniva da ridere affatto, al pensiero di quella strage avvenuta cinquantaquattro anni prima, ma non rispose a Stavrogin, che proseguì allegramente con la sua spiegazione: «Ottomilacentodieci pietre rubate, dice infreddolita direttrice museo».
«Più di dieci milioni di dollari?»
«Più di cento e purtroppo, non esistendo in Russia carceri, come lei dice, KGB interviene. Signora direttrice più sei egregi custodi e poliziotti sono in gita Siberia. Novosibirsk. Questa stagione temperatura meno trenta. Uno sputa in aria e davanti piedi cade pallina di neve. Ancora poco e confessano, ma questi sette ladri in legge sempre stati lontani da Milano. Conoscono anche chi lavorato in Italia? Difficile. Polizia corrotta, va bene, accade. Non polizia stupida, non accade, io non credo polizia stupida.»
«Oddio… qualche volta può succedere.»
«No, se ognuno fa sua parte, maresciallo.»
«Quale sarebbe la mia?»
«La nostra. Nostra parte sarà scoprire se sensuale Victorjia adesso è complice, è succube, è ricattata, è spia. Insomma chi è e dove è Victorjia? È prigioniera? È genio truffa?»
«Ma come potremo rispondere? Ammesso e non concesso che la troviamo» puntualizzò Binda.
«Già, ammesso e non concesso, bella lingua taliana… Violinista non ha mai denunciato traffici, negli anni scorsi, mai, mai, mai. Andata e tornata madre Russia. E ora sparita improvviso. Guarda caso, quando indossa abito puttana Thaïs pesante per chili di spinelli, diamanti, smeraldi, rubini, perle. Come corpetto figlia di czar. E quando in repertorio entra brano di compositore patriota inglese monarchico e militarista, Salut d’Amour. Brano voluto a tutti costi da Victorjia. Voluto forse salutare qualcuno? Chi? Serve indagine coniugata.»
Il maresciallo Binda resse la lunga occhiata del funzionario dei servizi segreti sovietici, poi acconsentì. Nessuno dei due poteva fidarsi dell’altro, ma potevano essersi reciprocamente utili, almeno in quella fase delle indagini. O, per lo meno, sembrava quella l’intenzione dell’agente straniero, che era stato prodigo d’informazioni sullo scenario in cui era maturato l’omicidio del Pont de Ferr.
«Signor Stavrogin, vediamo se ho capito. Fabrizio muore durante le torture. Probabilmente non ha resistito, quel poveretto, un infarto l’ha ucciso, e in ogni caso forse la sua morte era inevitabile.»
«Lei dice stavano torturando ladro e a ladro venuto infarto? Capita» considerò serafico Stavrogin, sbuffando un’altra nuvoletta di fumo profumato, che si perse tra la nebbia calante. Più che di assassini, crimini e indagini, aveva l’aspetto di uno che stesse piacevolmente discutendo dell’ultimo film visto all’Odeon.
«In ogni caso, questo omicidio a Milano più le vostre intercettazioni a Mosca» riprese Binda «portano a una deduzione fondamentale, e cioè che se i contrabbandieri sono in difficoltà, se sinora non hanno recuperato le pietre, e nemmeno le collane dei Romanov…»
«Esatto, pietre porteranno altro sangue, gentile maresciallo. Invece, se troviamo pietre, caso chiudesi. Dove c’è tesoro, o c’è Victorjia o c’è assassino, non fa una pinza.»
«Una grinza, non fa una grinza. In ogni caso, parliamoci chiaro: a me interessa arrestare e mandare a processo i contrabbandieri-assassini e interrogare la donna. Sul furto oltre la Cortina di Ferro, in quei Paesi dove non esistono reati e criminali grazie al comunismo, non posso procedere. E lei, signor 007, che intenzioni ha?»
«Ah, ah, piace scherzare, 007 è servo capitale e revisionista dedito piaceri borghesi. Io lascio volentieri assassino Pasteur a Italia, voglio gioielli Grande Madre Russia, senza scandalo, da riportare Mosca, cento milioni servono a Partito. E voglio convincere violinista, se troviamo viva, come credo, e spero, a ritorno in nostra amata patria con tutti onori. Se madame non vuole, se ha altre idee sul suo futuro, magari chiederò a voi carabinieri favore di voltare faccia tempo necessario» disse Stavrogin, gelido. Era evidente che non si trattava di un favore, ma dell’inevitabile conseguenza dell’accordo investigativo che stavano stringendo sotto gli auspici del colonnello Casiraghi.
“Col cavolo” pensò Binda, sorridendo perché adesso quadrava tutto, o quasi.
Era stato probabilmente il sogno di un affare a più zeri, “il colpo della vita”, ad aver ingolosito Pasteur. Forse la cupidigia l’aveva reso imprudente, e infatti era stato ammazzato: e i suoi pezzi inanimati erano stati trasformati in un messaggio, almeno secondo la spiegazione di Stavrogin. I ladri russi, i misteriosi complici in Italia della banda spedita in Siberia a sputare ghiaccio e notizie, volevano dunque stanare Victorjia. Spaventarla. Farla sbagliare. Volevano la ragazza del tesoro. E il tesoro. A qualsiasi costo. E Binda, non dando le notizie ai giornali, li aveva momentaneamente congelati. Come uno sputo in Siberia. Sì, il contesto dell’omicidio era diventato estremamente più chiaro. Ma il resto?
In che modo avrebbero potuto individuare, raggiungere e arrestare quei criminali sconosciuti in una città di un milione e settecentomila abitanti? E come recuperare tutti quei gioielli dal valore commerciale e storico immenso? Victorjia avrebbe ricevuto e ascoltato il messaggio? E come si sarebbe messa in contatto con Stavrogin?
Provò a chiederlo al russo, che aveva spento il cigarillo sul marciapiede.
«Noi ora a caccia di ladri. Lei luce, io ombra. Suo comandante colonnello Casiraghi d’accordo per lavoro insieme. Ma, mi ha detto, mio maresciallo decide. Sta bene. Piccolo passo dopo piccolo passo. Fiducia goccia a goccia. Sta bene. Lei fa pubblicare delitto su giornali? Per ora a KGB basta. E io informo lei sempre, se ricevo o non ricevo messaggio, perché ladri russi hanno paura russo cacciatore.»
«Sta bene anche a me, allora.»
«Perfetto, felici e contenti. Torniamo bar nostri amici?»
«Amici suoi, non miei.»
«Molto simpatici.»
«Specie quello vestito da Mick Jagger, anche se una cravatta così nemmeno Bobby Solo potrebbe metterla.»
«Tra clienti del bar mio più grande amico, conserva mia valuta svizzera, ho altre operazioni in corso. A proposito, se ha informatori da pagare, non esiti a chiedermi dollari, ne ho moltissimi. Ah, li stampiamo direttamente noi in Danzica, falsi, ma come veri, mi creda.»
«Per favore, mister Stavrogin, basta, se no mi tocca arrestarvi tutti. Ci resta un’ultima questione, via San Gregorio.»
L’uomo del KGB finse di non aver sentito, e Binda gli si parò davanti. Lo sovrastava di tutta la testa, ma non sapeva se nel corpo a corpo avrebbe avuto la meglio su quel giovane scattante e dalla risata pronta. «Lei si fida di questi mercanti di pietre?»
«Se contrabbandieri tornano, uomini di via San Gregorio chiamano amico e cliente Stavrogin e io, giuro, chiamo lei, quindi…»
«Non li arresto, stia sereno, ma se serve seguire la pista dei gioielli meglio essere in due. La fiducia, goccia a goccia, come dice il suo amico francese. Bella frase.»
«Sì, Jean-Paul Sartre non è stupido. Però io non presento loro, lei faccia quello che vuole.»