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Si chiamavano Giacomo e Heller e salutarono Howard alla centrale con sorrisi e strette di mano, dicendogli quanto apprezzassero il fatto che avesse dedicato loro un po’ del suo tempo per chiarire un paio di dettagli secondari riguardanti il caso. Howard li ascoltava a stento. Aveva dormito poco dato che aveva passato quasi tutta la notte al Cedars-Sinai con Kris. Era stanco e affamato; Courtney gli aveva preparato la colazione ma in quel momento non aveva appetito. Soprattutto, era attanagliato dai sensi di colpa.

Provava rimorso per ogni singola ora trascorsa con Amanda. Provava rimorso per aver pensato di lasciare Kris. Provava rimorso per essere un cattivo marito. Ma ciò che lo faceva stare peggio era che sapeva benissimo che il suo rimorso era passeggero e non sarebbe trascorso molto tempo prima che tornasse a letto con Amanda o con qualche altra giovane donna. Il lupo perdeva il pelo ma non il vizio.

Assorto in quei pensieri, si fece scortare dentro un piccolo ufficio da Giacomo e Heller. Lì lo fecero accomodare a un tavolo di legno malmesso. Si sedettero di fronte a lui. Heller prese un bloc-notes e una penna. Giacomo posò un registratore sul tavolo e disse qualcosa sul fatto che registrare il colloquio era un’operazione necessaria per ottenere una trascrizione accurata. «Va bene» disse Howard con indifferenza.

Giacomo parlò per la maggior parte del tempo. Iniziò a fornire dettagli al registratore, specificando il luogo, la data e l’ora del colloquio. Howard notò che utilizzava l’orario militare: Zero Nove e Trentacinque. «Siamo qui con il signor Howard Barwood» disse Giacomo, domandando a Howard la data di nascita. Lui gliela snocciolò meccanicamente; la sua voce, irriconoscibile perfino a se stesso, proveniva da un luogo lontano.

«Dunque, signor Barwood, ora le leggerò i suoi diritti. Sarebbe il caso che ascoltasse attentamente…»

Le parole di Giacomo destarono Howard dal suo torpore. «I miei diritti?»

Giacomo disse di sì e Heller annuì, entrambi sorridendo in un modo che gli parve troppo amichevole.

Howard batté le palpebre, incredulo. «Mi state dicendo che sono sospettato?» L’idea gli sembrò assurda, incomprensibile.

«Veramente, signor Barwood, il nostro scopo principale è cancellarla dalla lista dei sospettati.»

«Ma… sospettato di cosa? È stato Hickle ad attaccare Kris, un sacco di gente l’ha visto. Io ero in casa…»

«Ma certo. Abbiamo dei testimoni che confermano tutto quello che lei ha dichiarato. E nessuno dubita che sia stato Raymond Hickle a tendere un agguato alla macchina.»

«E allora che diavolo…?» Non riuscì a terminare la domanda. Niente aveva senso.

«Questi casi vanno osservati da diverse angolature» disse Giacomo. «Dobbiamo semplicemente sciogliere alcuni nodi della matassa, tutto qui.»

Angolature, nodi da sciogliere… Howard era stupefatto. «Non mi avevate mai detto che ero tra i sospettati.»

Questa volta fu Heller a parlare. «Noi non la consideriamo un sospettato. A dire il vero, ci dispiace farle perdere del tempo. Vogliamo solo sbrigare questa seccatura e andare tutti a casa.»

«È stata una nottataccia per tutti» disse Giacomo.

«Io sono a pezzi» aggiunse Heller.

Howard ebbe la vaga impressione che stesse accadendo qualcosa contro i suoi interessi. Ma i due detective avevano ragione su una cosa: era stata davvero una lunga notte. Ora non aveva per niente voglia di andarsene via, solo per dover ritornare e sorbirsi quella tiritera. E se davvero se ne fosse andato, avrebbe dovuto contattare Martin Greenfeld, il suo avvocato. Martin non gli avrebbe mai permesso di parlare a nessun detective o di rinunciare ai suoi diritti. Martin pensava che ogni situazione andasse gestita come una gara agonistica per ottenere la posta in gioco più alta.

Howard immaginò le conseguenze se si fosse rifiutato di parlare. Quella storia sarebbe arrivata ai media. La gente avrebbe pensato che fosse coinvolto nel tentato omicidio di sua moglie. E se fosse venuta fuori anche la sua relazione con Amanda…

D’altro canto, se avesse tenuto Martin e tutti gli altri avvocati all’oscuro di quel colloquio e avesse fatto ciò che i detective gli chiedevano, tutta quella storia sarebbe finita nel giro di mezz’ora. Nessun sospetto, nessuna voce, nessuna pubblicità negativa, nessun giornalista a gettargli fango addosso.

«D’accordo» disse in tono piatto. «Procediamo.»

Giacomo snocciolò a Howard i suoi diritti. Howard disse che sì, aveva compreso. Sì, rinunciava al diritto di rimanere in silenzio. Sì, rinunciava al diritto ad avere un avvocato presente. Sì, sì, sì.

Poi gli chiesero cosa avesse fatto la notte precedente. Lui disse che era uscito con la sua Lexus per fare un giro lungo la costa. I detective non lo interruppero né lo incalzarono. Howard iniziò a pensare che si trattasse veramente di un colloquio di routine. Quando giunse all’apice della storia, il momento in cui era in terrazza e aveva sentito degli spari, ormai parlava con tranquillità e sicurezza. Non aveva bisogno di Martin a fargli da balia. Era in grado di badare a se stesso. «Ecco quello che è successo.»

«Benissimo, signor Barwood» disse Giacomo con il tono di voce di chi si prepara a concludere una riunione. «Immagino che sia venuto qui con la sua Lexus, vero?»

«Vado ovunque con il mio gioiellino. Adoro quell’auto.»

«Allora quando abbiamo finito qui, forse Kevin e io potremmo dare un’occhiata all’odometro.»

Howard si paralizzò. «L’odometro?»

«Vogliamo solo annotare il chilometraggio da inserire nei nostri rapporti. Se ultimamente guida spesso fino a Santa Barbara, dovrebbe aver fatto parecchi chilometri.»

«Be’… forse ho un po’ esagerato sul numero dei viaggi. E poi è una macchina nuova, molto nuova. Non ha ancora molti chilometri.» Stava iniziando a balbettare. Si zittì.

Heller scrisse qualcosa nel suo blocco.

«D’accordo, bene, ne riparleremo più tardi» disse Giacomo in tono mite. «Le dispiacerebbe raccontarci qualcosa a proposito di quella sua società, la Western Regional Resources.»

La Western Regional? Come diavolo facevano a conoscerla? Com’era possibile? Perché cavolo l’avevano tirata in ballo? «Non vedo che attinenza abbiano i miei affari con questa storia» disse stizzito, per guadagnare tempo.

«Oh, probabilmente ha ragione, signor Barwood» ribatté Giacomo senza smettere di sorridere. «È un’altra di quelle faccende di cui vorremmo venire a capo. Se non erro, lei possiede una società chiamata Western Regional Resources. O sbaglio?» A rigor di logica, Howard sapeva che avrebbe dovuto concludere lì il colloquio e telefonare a Martin Greenfeld, ma cocciutamente pensava ancora di potersi tirare fuori da solo da quella situazione spinosa. Era un bravo oratore. Dopo anni di esperienza nel settore immobiliare aveva sviluppato una grande abilità nell’usare parole, fascino e carisma. Fece appello a quelle qualità per togliersi dai guai.

«È vero, sono il proprietario» disse lentamente, accentuando quella confessione con una disinteressata scrollata di spalle. «La Western Regional Resources è una società che ho fondato nelle Antille Olandesi. È tutto assolutamente legale. Ci sono motivi validi, legati a questioni fiscali, per istituire simili enti. Come ho detto, è tutto a norma di legge.»

Giacomo disse che ne era sicuro. «Durante l’iter costitutivo di questo… mmh… ente offshore presumibilmente ha anche aperto un conto corrente?»

«Sì.»

«E ha incaricato qualcuno di monitorare questo conto e di gestire tutti gli aspetti legali della società, vero?»

«Sì, un impiegato bancario nelle Antille si occupa di queste mansioni per me.»

«E suppongo che lei abbia acquistato un immobile nelle Antille, per i suoi affari.»

«No. L’unica volta che ci sono andato ho alloggiato in un hotel.»

«E per quanto riguarda altri acquisti? Una macchina, un cellulare? Si è per caso iscritto a un club?»

«Niente di tutto ciò. La Western Regional Resources è… insomma, è una società legittima… cioè è legale sotto ogni aspetto, ma… non ha beni tangibili, non è un’azienda avviata, è…»

«Una società fittizia?» chiese Giacomo.

Heller scrisse di nuovo sul suo bloc-notes.

«Sì, potremmo definirla in questo modo» disse Howard.

«Un paradiso fiscale?»

«È tutto legale» ripeté Howard per quella che gli sembrò la quindicesima volta. Lo era eccome, cazzo. Era davvero tutto legale. Ma non si aspettava che quei due furfanti lo capissero. A stento avrebbero potuto comprendere i suoi problemi, le sue priorità. Se avesse dichiarato di nascondere soldi al fisco, non avrebbero gradito. E se avesse ammesso la verità, ovvero che stava usando quella scappatoia per aggirare le leggi californiane che regolamentavano la comunione dei beni per accaparrarsi quanto poteva visto il divorzio imminente, be’, avrebbero pensato che aveva un movente per sbarazzarsi di Kris…

E infatti, era davvero quello il suo movente, vero?

Vero?

«Signor Barwood, possiede altri enti offshore?» Gli domandò Giacomo, ponendo un accetto sprezzante sulla parola enti.

«Non credo di essere costretto a discutere con voi i dettagli della mia situazione finanziaria» disse Howard.

Heller scribacchiò ancora sui suoi fogli.

«D’accordo, non c’è problema.» Giacomo stava ancora sorridendo. Probabilmente sorrideva anche mentre dormiva. «Stiamo solo cercando di fare chiarezza, tutto qui. Immagino che si trovasse alla KPTI l’altra sera.»

Quel cambio repentino di argomento colse Howard di sorpresa, ma fu felice di non dover più parlare dei suoi affari. «Esatto.»

«Che giorno era? Martedì, non è vero? 22 marzo?»

«Sì. Come fa a saperlo?»

«Alcune persone che lavorano lì ci hanno detto che era lì quella sera. Molto carino da parte sua trascorrere una serata con sua moglie mentre è al lavoro, non trova?»

«Sì» disse Howard con circospezione.

«Però, da quanto ho capito, non è rimasto con lei tutto il tempo. Ha trascorso buona parte del tempo con la produttrice esecutiva. La signorina Gilbert… Si chiama così, non è vero?»

Howard si concentrò in tutti modi per rendere il suo volto inespressivo. «Amanda Gilbert» disse.

«Amanda, già. È una sua amica?»

«Perché mi fa questa domanda? Lavora lì, tutto qua. Lavora nello stesso…»

«Ehi, ehi» esclamò Giacomo alzando entrambe le mani. «Tranquillo. È solo che alcune persone alla stazione televisiva sono dell’idea che lei e Amanda siate abbastanza intimi. E un po’ meno intimi quando sua moglie è nelle vicinanze.»

«Che cosa sta insinuando?» disse Howard, traendo un profondo respiro, come se quella domanda non fosse retorica.

«Non sto insinuando nulla, signor Barwood. E Amanda cosa pensa di quei conti offshore? Le piace l’idea?»

«Non ho mai detto…» Recuperò il contegno. «Lei non sa niente dei miei intrallazzi privati.» Maledizione, intrallazzi… la parola sbagliata da usare. «È una collega di Kris. Non abbiamo nessuna relazione intima…»

«Strano.» Heller parlò per la prima volta, come se avesse recuperato la voce dopo tanto tempo. «Lei era di tutt’altra idea quando le abbiamo parlato un paio di ore fa.»

Cadde il silenzio. I detective lo fissavano. Howard ricambiò lo sguardo, i suoi occhi saettavano da un investigatore all’altro. Non poteva sapere se avessero davvero parlato con Amanda o se semplicemente sperassero di ottenere una risposta per poterlo incastrare. Ma se ancora non avevano interrogato Amanda, presto l’avrebbero fatto. E lei avrebbe ceduto. Era debole. Qualsiasi donna che sentiva la necessità di affermare la propria personalità facendosi fare un tatuaggio sul culo, cristo santo, era debole per definizione. E poi perché aveva trovato eccitante quel ridicolo tatuaggio?

«Signor Barwood?» osò Giacomo.

Howard lo guardò, poi allargò il campo visivo includendo il tavolo, il neon fluorescente sopra di lui, le pareti spoglie, la moquette a setole corte e il cestino di metallo nell’angolo. Alla fine gli fu chiaro: il luogo in cui si trovava, le persone che gli stavano di fronte, quel che stava accadendo. Si trovava in una centrale di polizia e quegli uomini erano poliziotti e pensavano che fosse coinvolto nell’attentato a Kris. Credevano che avesse un movente. Credevano di averlo in pugno.

«Signor Barwood» disse Giacomo con tono più deciso.

«Non ho nient’altro da aggiungere» sussurrò Howard. «Voglio parlare con il mio avvocato.»

Heller chiuse il suo bloc-notes.

«D’accordo.» Giacomo si strinse nelle spalle. «Come le abbiamo detto, è un suo diritto.» Posò una mano sul registratore. «Colloquio concluso alle Dieci e Quarantasei.»

Spense il registratore. Lui e Heller si alzarono. Howard notò che non sorridevano più.

«Sei nei guai, Howard» disse Giacomo senza disturbarsi a continuare a dargli del lei. «Hai cospirato con quello psicopatico di Hickle per far fuori tua moglie. Tu lo sai. Noi lo sappiamo. E troveremo il modo per provarlo.»

I detective uscirono dalla stanza lasciandolo da solo con i suoi pensieri.