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Abby Sinclair era in ritardo e uscì dall’ascensore a passo sostenuto. Si trovava al diciottesimo piano del Century City, un edificio molto alto che ospitava la suite riconvertita in ufficio della Travis Protective Services. Si era sistemata i capelli alla meglio, ma t-shirt, jeans e Nike non erano esattamente l’abbigliamento ideale per presentarsi a una riunione di lavoro. Si fermò alla fine del corridoio, davanti a una doppia porta con il logo della TPS. Essendo a vetri poté appurare che, nonostante tutto, era presentabile. I freddi occhi nocciola dell’immagine riflessa le ricambiarono lo sguardo, rivelando ben poco di ciò che sentiva dentro. Era meglio che nessuno sapesse cosa provava ultimamente.
Entrò e passando sotto un metal detector si diresse verso la reception, dove consegnò un trolley all’agente di sicurezza. «Arrivo adesso dall’aeroporto. Tienilo al sicuro per me, ok?»
L’uomo aggrottò la fronte. «Non sapevo che lavorassi ancora per Travis.»
«Sono stata via per un po’, ma adesso sono di nuovo in sella.»
Il cipiglio non accennò ad andarsene. «Be’, non proprio una gran notizia.»
Abby non era sorpresa dalla reazione ostile né dagli sguardi freddi che l’accolsero mentre attraversava di corsa il labirinto di corridoi. Alla TPS erano in pochi a conoscere le disastrose dinamiche del caso Devin Corbal, ma tutti in agenzia sapevano benissimo che lei era in qualche modo coinvolta e che il suo coinvolgimento aveva causato la morte del cliente.
Superò le sale riunioni, le postazioni di lavoro in angusti cubicoli e gli uffici singoli o multipli. Con una specie di senso di colpa notò che circa la metà dei locali era vuota. La TPS stava tagliando in modo massiccio il personale per ridurre le spese che ormai dissanguavano l’agenzia. Solo i dipendenti essenziali avevano conservato il loro posto, coloro i cui incarichi rappresentavano la spina dorsale della TPS: valutazione delle minacce, protezione personale e missioni investigative. Ma a breve forse anche loro sarebbero stati licenziati, e in quegli uffici si sarebbero installati assicuratori o broker. Non voleva neanche pensarci.
Giunta davanti all’ufficio di Travis, fece un cenno alla sua segretaria, Rose, che la gelò con lo sguardo. «Sei in ritardo» disse in un tono che le fece capire che quello sarebbe stato l’ultimo dei suoi peccati.
«Digli che sono qui.»
«Un momento.» Rose impiegò più del necessario per attivare l’interfono. «Signor Travis? La signorina Sinclair è arrivata.»
Dall’apparecchio scadente Abby sentì la voce metallica di Travis che diceva di farla entrare.
«Sì, signore.» Rose la guardò. «Puoi andare.»
«Grazie mille.»
Abby attraversò l’anticamera. Stava girando la maniglia quando Rose le disse: «Questa è una cliente molto importante. Potresti sforzarti di tenerla in vita?».
Diverse risposte le sfrecciarono nella testa, ma le soffocò tutte. A volte il silenzio era la scelta migliore.
Entrò nell’ufficio di Travis e vide che stava parlando con una donna bionda che Abby riconobbe immediatamente: Kris Barwood. Accanto a lei c’era un uomo più anziano, robusto, che doveva essere il marito.
«Meglio tardi che mai» disse Travis emergendo da dietro la scrivania.
Tu quoque, Paul? pensò Abby. «Il mio volo era in ritardo.» Lo sguardo si estese a tutti. «Mi dispiace avervi fatto aspettare.»
Era il momento delle presentazioni. Howard Barwood aveva una stretta di mano vigorosa e ferma. Kris, com’era prevedibile, aveva lo stesso aspetto che mostrava in TV. Dopo aver conosciuto un certo numero di celebrità, nel corso degli ultimi due anni, Abby aveva capito che quelle belle lo erano per davvero. La storia che la telecamera trasformasse come per magia le persone normali in superstar era il contentino per le masse di invidiosi.
«Arriva da un viaggio fuori città?» chiese Howard.
«Sì… E questo spiega il mio abbigliamento decisamente poco professionale. In valigia avevo solo abiti casual.»
«Spero che non abbiamo interrotto la sua vacanza.»
«No, a dire il vero ero impegnata con un altro cliente. Missione compiuta ieri notte.»
«Pensavo che la TPS lavorasse solo con clienti di Los Angeles.»
«Non era un caso della TPS. Non lavoro per la TPS…» “… da Devin Corbal” stava per dire, ma si trattenne in tempo. «… da un paio di mesi. Sono una freelance. Lavoro con diverse agenzie in tutto il Paese. Paul mi ha lasciato un messaggio ieri sul cercapersone. Stamattina l’ho subito chiamato e mi ha spiegato brevemente la situazione in cui vi trovate.»
«Situazione.» Kris Barwood si sporse in avanti sulla sedia, posando delicatamente le mani sulle ginocchia, una posizione che doveva aver imparato durante qualche intervista in favore di telecamera. «È un bel termine da usare.»
«So che sembra una crisi» disse Abby, «ma la possiamo risolvere.»
Howard sbuffò. «Lo vada a raccontare a Devin Corbal.»
Per un momento Abby si chiese sorpresa come avesse fatto a scoprire il suo coinvolgimento nel caso Corbal. Poi si accorse che Howard stava guardando Travis.
Lei e Travis furono salvati da quel silenzio quando Kris si intromise con gentilezza. «Quando è arrivata, Paul ci stava spiegando quello che lei farà per me.»
«Il mio lavoro è piuttosto insolito, signora Barwood.»
«Dammi pure del tu. Io sono Kris.» La conduttrice sfoggiò un sorriso tutt’altro che artificiale.
«Ok, Kris. Io mi chiamo Abby.»
Howard prese di nuovo la parola. «Posso chiederti quanti anni hai, Abby?»
«Ventotto.»
L’uomo inarcò le sopracciglia, assumendo un’espressione scettica. «Non sei un po’ troppo giovane per essere una psicologa abilitata?»
«Non sono una psicologa.»
«Il signor Travis qui…» Howard indicò con il pollice la scrivania. «… ha detto che sei un consulente psicologico.»
«È uno dei modi per descrivere il lavoro che faccio. Io mi definisco un “perito del rischio dinamico interpersonale”. Ma c’è un modo ancora più semplice per farvi capire. Sono un pesce pilota.»
Kris e Howard si scambiarono uno sguardo stupito.
«Un pesce pilota» ripeté Abby. Lanciò la borsa su una sedia ma rimase in piedi. «Avete presente quei piccoli pesci che nuotano dietro agli squali? Raccolgono residui di cibo. Io faccio la stessa cosa, solo che i pesci con cui nuoto sono tizi come Raymond Hickle e i resti che racimolo sono pezzi di informazioni.»
Oltrepassò la scrivania di Travis, mettendosi davanti alle grandi finestre da cui si godeva una vista panoramica.
«Vedete, quando parliamo di valutazione della minaccia, i servizi di protezione personale devono disporre di un quadro di insieme e di un’analisi comportamentale che tracci il profilo dell’individuo in questione. La cosa migliore è conoscere davvero la persona coinvolta. Non è possibile farlo a distanza. Bisogna instaurare un rapporto intimo e personale.»
«Quanto intimo?» domandò Kris. «Quanto personale?»
«Se tutto va per il verso giusto, diventerò la miglior amica di Hickle.»
Per un attimo scese il silenzio, poi Kris disse: «Quest’uomo potrebbe non avere amici».
«Ma ne vuole uno. Tutti vogliono un amico. Sai cosa cercano le persone in un amico? Qualcuno con cui parlare. Qualcuno che li ascolti.» Abby sorrise. «E io sono un’ottima ascoltatrice.»
«Vuoi dire che lo analizzerai senza che lui se ne accorga?»
«Non si tratta di un’analisi psicologica. Devo studiare quest’uomo dal punto di vista della sicurezza. Determinare le sue intenzioni, capire i suoi orari. Devo tenerlo d’occhio, così se deciderà di agire sarò lì ad attenderlo al varco.»
«Pensi di essere in grado di fare tutto questo?»
«L’ho già fatto, molte volte.» E ho fallito solo in un caso, pensò.
Howard si stiracchiò sulla sedia. «Fammi capire bene. Stai parlando di un’operazione sotto copertura?»
«Sì, una specie.»
«Quindi fai la sua conoscenza, ti presenti con un nome falso, diventate amici. Poi rimarrai insieme a lui da sola?»
«Esatto.»
«Ma se lui desse di matto o mangiasse la foglia, ci sarebbero uomini armati nei dintorni, in contatto radio, vero?»
«No. Lavoro da sola. Porto con me solo un cellulare e una pistola.»
«Da sola? Accidenti… e perché mai?»
Fu Travis a rispondere a quella domanda. «Lei sta praticamente suggerendo di sorvegliare Raymond Hickle ventiquattr’ore su ventiquattro. Ma questo genere di operazioni non funziona mai.»
«Quando la polizia lavora sotto copertura» disse Kris, «solitamente dispone di una squadra di supporto in contatto radio.»
«Sì» ribatté Travis, «in un’operazione di venti minuti per beccare uno spacciatore. Noi vogliamo inserire Abby nella vita di Hickle per giorni, o anche settimane. Non è la stessa cosa. Un’operazione di sorveglianza richiede uno o due agenti appostati in una macchina davanti alla casa del soggetto. In un quartiere residenziale qualcuno noterebbe l’auto parcheggiata e gli uomini al suo interno nel giro di un paio d’ore. Chiamerebbero la polizia, ci sarebbe del trambusto e il nostro uomo intuirebbe la situazione.»
«Tanto per cominciare gli uomini come Hickle sono paranoici» aggiunse Abby. «Scattano per un nonnulla.»
Howard scosse la testa. «Allora non fateli rimanere seduti in una macchina. Piazzateli nel palazzo di fronte e fatelo sorvegliare da lì.»
«Il rischio è sempre troppo alto» disse Travis. «È molto difficile che l’operazione di appostamento abbia successo, se effettuata in un arco di tempo prolungato. Qualcuno noterebbe i binocoli o potrebbe intercettare le trasmissioni radio, o inizierebbe a insospettirsi per le consegne di cibo in un appartamento vuoto. Qualcuno potrebbe sentire dei rumori attraverso i muri. I vicini parlano, le voci girano e prima di rendertene conto, l’intera operazione della squadra è già saltata.»
«E se salta la loro copertura» disse Abby, «salta anche la mia.»
«C’è un altro fattore» continuò Travis. «Lei sta dando per scontato che Hickle se ne stia sempre buono in casa. Supponiamo che lui e Abby escano insieme. Dovremmo seguirli. È una manovra che non può essere eseguita con un solo veicolo, né con due o tre. Per avere una visuale di Hickle a trecentosessanta gradi senza essere scoperti, avremmo bisogno di almeno sei macchine per pedinarlo. A volte tenute a debita distanza nel traffico, a volte posteggiate nel luogo in cui crediamo si diriga.»
«E se mi portasse in qualche luogo affollato, diciamo sulla Promenade di Santa Monica un sabato sera» disse Abby, «la TPS avrebbe bisogno di una ventina di agenti per coprire ogni uscita o strada secondaria. Hickle potrebbe perdere l’inseguimento senza nemmeno provarci e io non avrei comunque saputo di essere senza protezione. Inoltre, nella maggior parte dei casi, se le cose si mettessero davvero male, tutto succederebbe così velocemente che i rinforzi al di là della strada non farebbero comunque in tempo a raggiungermi.»
«Allora le cose… si mettono davvero male qualche volta?» domandò Kris, in apparenza più curiosa che preoccupata.
L’immagine di uno sparo in un vicolo esplose nella testa di Abby, una voce le risuonò nella mente: L’abbiamo perso.
«Ogni tanto capita» disse senza far trapelare alcuna emozione. «Dipende dalla zona.»
Howard scosse di nuovo la testa. «Come pensi di proteggerti da uno psicopatico come Hickle?»
«Sono un’esperta di autodifesa. Se un soggetto diventa violento, so come reagire.»
«Abby sa badare a se stessa» confermò Travis. «È una delle specialiste più competenti con cui abbia mai lavorato.»
Lei rimase sorpresa. Lanciò una rapida occhiata a Travis e gli rivolse un tacito cenno di riconoscenza.
«Be’» disse Howard, «lo spero per lei.» L’uomo le piantò lo sguardo addosso. «Quanti casi hai seguito fino a ora?»
«Più di venti in due anni.»
«Immagino tu voglia smettere, adesso che sei al top.»
«Vuoi dire adesso che sono viva?» Sorrise.
Kris la stava studiando. «E per quanto riguarda Devin Corbal? Lavoravi a quel caso?»
Abby aveva previsto la domanda e aveva la risposta pronta. «No, ero a San Francisco a proteggere un presentatore radio che si era fatto troppi nemici.»
Odiava dover mentire a una cliente, ma se avesse detto la verità le avrebbero tolto il caso e, cosa ancora più probabile, Travis avrebbe perso la Barwood. E lei sapeva benissimo che la TPS non poteva permettersi di perdere una cliente come Kris.
In ogni caso nessuno avrebbe scoperto la bugia. Era scappata prima che la polizia potesse mettere in sicurezza la scena del crimine. I bodyguard della TPS non avevano spifferato nulla su di lei. Sheila Rogers, tenuta in custodia e in attesa del processo, aveva subìto una commozione cerebrale durante la caduta dalle scale e non si ricordava dell’attacco di Abby. Il barista aveva dichiarato che Sheila era seduta al bancone con una donna che lui non conosceva, ma aveva tralasciato la parte in cui si erano parlati, ovviamente perché non voleva confessare che era stato lui a indicare a Sheila la posizione di Corbal. In poche parole non c’era niente che potesse ricollegarla a quel caso.
Niente, a parte la sua coscienza, che la assaliva ogni notte con immagini di Devin Corbal accasciato sul marciapiede in una pozza di sangue.
«Comunque…» Howard incrociò le braccia, rivolgendo lo sguardo a Travis. «Voglio che venga messo a verbale che sono contrario a questa operazione.»
«La mia cliente è sua moglie» disse Travis in tono piatto.
«Questo lo so. È la sua vita a essere in pericolo, quindi la decisione spetta a lei. Ma se fosse per me…» Non riuscì a terminare la frase.
«Howard» intervenne Abby, «apprezzo molto la tua preoccupazione, ma questo è il mio mestiere. È di questo che mi occupo.»
«Sei un pesce pilota. Sì, me lo ricordo.» La guardò tutt’altro che divertito. «A volte però quei pesci si avvicinano un po’ troppo allo squalo. A volte vengono mangiati.»
Abby sostenne il suo sguardo. «È l’altra faccia della medaglia.»
Nell’ufficio si sentiva solo il suono ovattato del condizionatore.
«Kris» chiese Travis, «abbiamo la tua autorizzazione a procedere?»
«Sì» disse Kris guardando Abby.
Howard si girò dall’altra parte. Le braccia incrociate sul petto e le mani posate sui bicipiti, aveva assunto il classico atteggiamento di sfida.
Abby annuì alla conduttrice. «Grazie.»
«Dovrei essere io a ringraziarti» ribatté Kris con dolcezza. «Sei tu a correre tutti i rischi.»