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Alle 14 Kris si sistemò i capelli, lisciò i vestiti e chiese a Steve Drury di preparare la Town Car per andare alla KPTI. «Partiamo un po’ prima oggi.»

Trovò Howard nella sua sala giochi, intento a tirare un colpo sul tappetino da golf elettronico. «Hai fatto una bella corsa?» le chiese il marito senza alzare la testa.

«Non sono andata a fare jogging.»

«Ah no?»

«Non ne avevo voglia. Sai cosa vuol dire, vero? Non avere voglia di fare una cosa?»

Era una chiara allusione al rapporto non consumato della notte precedente. Gliela voleva far pagare, ma se con quelle parole lo aveva colpito, lui non lo diede a vedere. Si limitò ad aggrottare la fronte per concentrarsi mentre mandava la pallina in buca con un tocco esperto. Dei metallici applausi artificiali esplosero da un altoparlante nascosto. La pedana da gioco si trasformò automaticamente per simulare una buca diversa, un putt in salita questa volta.

Howard Barwood amava i giochi. Quella sala era stata una sua idea e aveva acquistato quasi tutti gli oggetti presenti: flipper, juke-box, simulatore di realtà virtuale, biliardino, giochi con dadi stile casinò, biliardi e una vasta gamma di macchinine telecomandate. Aveva speso più di cinquantamila dollari per quegli articoli e altri simili, per non parlare dei sessantacinquemila che aveva sborsato per comprare la nuova Lexus ls 400 che la notte lo portava in giro.

Giochi costosi per un uomo che non era mai completamente cresciuto. Il suo essere un eterno bambino era una qualità che Kris aveva adorato, durante il corteggiamento. Ma adesso non la trovava più così attraente.

«Oggi non ce n’è per nessuno» disse allineandosi per il putt successivo. «Darò del filo da torcere a quegli idioti del country club.»

Kris cercò di abbozzare un sorriso ma nel suo arsenale non ne trovò neanche uno. «Forse dovresti iscriverti al torneo.»

«Hai proprio ragione.»

«Dirò a Courtney di liberare uno spazio sulla mensola del camino per la coppa.» Si mosse verso le scale ma poi si voltò, ricordandosi il motivo per cui l’aveva cercato. «Vado al lavoro.»

Howard alzò lo sguardo, ignorando il gioco per la prima volta. «Così presto?»

«Ho una commissione da sbrigare prima di andare agli studi.»

«Sbrigare le commissioni è un compito di Courtney.»

«Questa è una faccenda personale.» In altre occasioni avrebbe potuto confidargli quel fatto personale, ma non dopo la notte precedente. Gli aveva fatto capire le sue intenzioni in tutti i modi e lui l’aveva respinta. Be’, Howard si stancava dei suoi giochi quando non erano più una novità. Anche gli acquisti più costosi a un certo punto perdevano il loro valore.

La Town Car la stava aspettando sul viale di casa e Kris si incamminò lungo il vialetto del giardino. Steve la fece sedere sul sedile posteriore, si mise al volante e iniziò a guidare.

«Mi piacerebbe fare la strada normale oggi» disse mentre si avvicinavano al cancello.

«La Ventura Freeway è più veloce.»

«Prendiamo la strada a sud verso la città. Abbiamo tempo.»

Lui annuì senza fare domande. Kris rimase in silenzio finché la Town Car raggiunse Hollywood. Poi richiese una deviazione. «Facciamo un giro. Passiamo dall’appartamento di Hickle.»

Kris vide Steve stringere gli occhi dallo specchietto retrovisore. «Non penso sia una buona idea.»

«Non lo è di sicuro. Ma fallo comunque.»

«È contro la procedura. Potrei finire nei guai…»

«Non ti preoccupare.»

«Travis si incazzerà con me.»

«Se dovesse scoprirlo, ci penserò io. Non lo scoprirà comunque, perché nessuno dei due glielo dirà. Fallo e basta.»

«Ok… ma perché?»

«A essere sincera non so perché.»

Steve imboccò Santa Monica Boulevard verso Gainford, la via di Hickle, e poi svoltò verso sud. «Ecco, questo è il suo indirizzo» disse mentre la Town Car si aggirava furtiva per la strada.

Kris lanciò un’occhiata al Gainford Arms, un edificio decadente costruito negli anni Trenta, con le porte di vetro dell’atrio imbrattate dai vandali, le piccole finestre sporche e i muri fatiscenti.

Lungo la strada c’erano delle pale di fichi d’India appena fiorite, l’unico elemento bello di quel quadro, mentre tutto il resto era privo di fascino e bellezza. Vide un senzatetto trascinare un carrello pieno di vecchi giornali e immondizia. Un personaggio che non stonava in quello scenario.

Quello era il mondo di Hickle. Pensò che Abby Sinclair avrebbe dovuto vivere lì nei prossimi giorni o nelle prossime settimane. Era già riuscita a conoscerlo? Forse era troppo presto. Probabilmente ci sarebbe voluta una settimana per stabilire un contatto. Quanto tempo sarebbe passato prima di ottenere qualche informazione importante? Quel piano sembrava senza speranza, e Kris aveva acconsentito solo perché era disperata. Howard si era preoccupato per la sicurezza di Abby, ma Kris non riusciva più a preoccuparsi della salute e del benessere degli altri. Ciò che la motivava era un egoistico spirito di sopravvivenza, e per salvarsi avrebbe corso qualsiasi rischio.

«Hai visto abbastanza?» le chiese Steve mentre il palazzo di Hickle spariva alle loro spalle.

«Direi. Prendiamo l’autostrada.»

Diede un ultimo sguardo a quell’isolato mentre Steve svoltava l’angolo. Il quartiere le ricordava il luogo dove aveva vissuto durante i primi anni della sua carriera. Probabilmente i vicini di Hickle erano rumorosi, le tubature si rompevano spesso, gli insetti zampettavano nella sua dispensa. Nella stagione calda, settembre e ottobre, il suo appartamento sicuramente diventava un forno e lui non sarebbe riuscito a chiudere occhio nell’oscurità afosa. Ogni giorno si recava al lavoro per guadagnare la sua paga minima, sapendo di non avere nessun motivo per tornare a casa. Era sicura che non fosse un uomo felice e, a quel pensiero, provò piacere.

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«Lei non ha un appuntamento, signorina Sinclair.» Rose, l’assistente di Travis, le sorrise da dietro la scrivania godendosi quel potere temporaneo.

Abby lottò contro se stessa per non superare la scrivania ed entrare nell’ufficio di Travis.

«No, non ho un appuntamento. Quello che ho, però, è un’importante informazione che devo comunicare al tuo capo.»

«Forse gliela potrei passare io.»

«Forse potresti chiamare all’interfono e dirgli di venire qui, cazzo.»

Rose cedette. «Controllo se è disponibile» disse in tono piatto, ma non rinunciò a un’ultima frecciatina: «Ci teniamo che le persone fissino gli appuntamenti in anticipo».

Abby alzò le spalle. «A quanto pare sto infrangendo le regole.» Aspettò impaziente che Travis uscisse. Era consapevole di essere stanca, ma non lasciò che la stanchezza prendesse il sopravvento. C’era ancora troppo da fare.

Dopo essere uscita da casa di Hickle, aveva montato nel suo appartamento il sistema di monitoraggio che riceveva i segnali audio e video dalle cimici che aveva installato. Aveva pranzato tardi, mangiando in piedi. Quel pasto in qualche modo l’aveva rinvigorita. Alle tre e mezza era uscita dal condominio e si era diretta verso il Century City. Doveva ritornare per le cinque. Aveva dei programmi per la serata.

Finalmente Travis uscì dal suo ufficio. Indossava il solito completo: giacca blu scuro, camicia sbottonata e pantaloni marrone chiaro. «Che succede? Hai bisogno di altre date di nascita?»

«Stavolta no.»

«Perché ti servivano?»

«Dovevo aprire un lucchetto.»

«Ah, potevi dirmelo.»

«Mi piace tenerti all’oscuro. Sto interrompendo qualcosa?»

«Solo il mio incontro quotidiano con il nostro direttore finanziario. Sta quantificando esattamente quanto rosso accumuliamo alla settimana. È una riunione di cui farei volentieri a meno.»

«C’è un posto in cui possiamo parlare?» Voleva privare Rose del piacere di origliare.

Travis le fece strada lungo il corridoio verso una sala riunioni. Ritratti di paesaggi e prati in fiore decoravano le pareti in mogano, soggetti sereni messi di proposito per rilassare i clienti snervati da qualsiasi crisi li avesse portati lì. Abby si chiese quante volte i belli e i potenti di LA si erano recati in quella stanza per cercare conforto dall’uomo con la giacca blu e i pantaloni nocciola, il loro protettore.

Travis chiuse la porta e Abby si mise a sedere sul bordo del lungo tavolo, facendo dondolare una gamba. La superficie laccata rifletteva la sua immagine. Avrebbe voluto indossare vestiti migliori.

La camicia scolorita e i jeans stonavano con quella stanza.

«Ok» iniziò. «Ecco cosa è successo. Il lucchetto che ho aperto era nell’appartamento di Hickle. Mi trovavo lì per impiantare dei sistemi di sorveglianza audiovisiva e per ficcare il naso un po’ in giro. Ho trovato un po’ di polaroid, fotografie di Kris che fa jogging sulla spiaggia con indosso indumenti diversi. L’ha osservata almeno tre volte. Immagino che Kris faccia jogging davanti a casa sua.»

Per un momento Travis non rispose. Sembrava avesse problemi ad assimilare quelle notizie. «Sì, tutti i giorni. È accompagnata da una guardia del corpo, ma solitamente lui si tiene a qualche metro di distanza.»

«Su quegli scatti non c’era nessun bodyguard. Probabilmente non era inquadrato. Non importa. Una guardia del corpo non sarebbe servita a molto se Hickle avesse aperto il fuoco.»

«Ha un’arma?»

«Almeno due. Un fucile calibro .12 e una carabina da caccia semiautomatica munita di mirino e un sistema di puntamento laser, ma sembra che il fucile a pompa sia il suo preferito.»

«Un laser…» Travis andò verso le grandi finestre e rimase lì a fissare l’orizzonte, le spalle incurvate, la testa china. Non l’aveva mai visto così esausto.

«Quanto pensi faccia sul serio?» chiese pacato.

«Ritengo che abbia intenzioni estremamente serie. In realtà c’è la possibilità che abbia sfogato la sua rabbia su un’altra donna che ha perseguitato in passato.»

«Cosa?»

Gli raccontò di Jill Dahlbeck. «Ma non sappiamo se sia Hickle il responsabile dell’agguato» aggiunse Abby. «Anche se così fosse, non sembra si sia trattato di tentato omicidio. L’attacco non è stato progettato nei minimi dettagli e comunque non l’ha portato a termine visto che l’unico danno riportato è stato al cappotto di Jill. Naturalmente il danno emotivo è tutta un’altra storia.»

«Sì» disse Travis distrattamente. Abby sapeva che ogni volta che si parlava di emozioni lui staccava la spina. «La cosa importante è che se attacca anche Kris, abbiamo le prove che è capace di fare il passo decisivo.»

«Allora era più giovane, forse più avventato. Adesso potrebbe essere più cauto. Non lo sappiamo.»

«Sappiamo per certo che si è posizionato a distanza di tiro da Kris.» Travis sospirò. «Come ha fatto ad arrivare così vicino? La Malibu Reserve è altamente sorvegliata. Perimetro recintato e un ingresso perennemente piantonato da due guardie e altri due agenti di pattuglia.»

«Avete controllato se la recinzione ha segni d’effrazione?»

«Certo. È stata una delle prime cose che abbiamo fatto. La rete è in cavi d’acciaio rinforzati, munita di filo spinato a lame di rasoio.»

«I fili possono essere tagliati.»

«Non abbiamo trovato nessuna apertura.»

«I tuoi hanno controllato di recente?»

«Tutti i giorni.» Si allontanò dalla finestra, girando in cerchio per la stanza.

Lo sguardo di Abby seguiva il bagliore della sua immagine riflessa sul lungo tavolo lucido. «È meglio che gli dici di controllare ancora, con più attenzione» disse. «C’è un altro modo per entrare nell’area?»

«Il cancello, ma è sorvegliato ventiquattro ore su ventiquattro.»

«Controllano chiunque voglia entrare, furgoni delle consegne, visitatori, tecnici?»

«La maggior parte degli agenti di sicurezza sono poliziotti in pensione. Sono piuttosto in gamba. Hanno appeso la foto di Hickle nella guardiola. Non credo sia passato di lì.»

«E la spiaggia? Non può essere completamente recintata. Sotto il livello dell’alta marea è proprietà pubblica, come tutte le spiagge della California.»

«È vero. C’è una recinzione al limitare della spiaggia e chiunque può aggirarla. Ma abbiamo coperto anche quell’angolo. Abbiamo installato una telecamera nascosta che trasmette immagini del punto di accesso della spiaggia ai poliziotti in servizio nella dépendance della tenuta dei Barwood. Gli agenti che abbiamo posizionato lì monitorano lo schermo tutto il giorno.»

«Sempre che non abbiano fatto dei casini e si siano distratti.»

«Una volta, forse. Non tre.»

«Be’, in ogni caso ci è riuscito, Hickle ha trovato un modo per entrare e può farlo ancora. La prossima volta potrebbe portarsi un fucile invece che una macchina fotografica, e poi…»

Travis distolse lo sguardo. «Devin Corbal, parte due.»

Abby sussultò per l’imbarazzo. «Diciamo che non ti è uscita benissimo.»

«Scusa. Sai cosa voglio dire.»

«Sì. Lo so.»

Il condizionatore emetteva un basso brusio. Dalla strada si sentì svanire in lontananza il suono di una sirena. Abby si chiese se fosse il caso di raccontargli il secondo sviluppo interessante delle ultime ventiquattro ore, l’attacco che l’aveva quasi uccisa la notte precedente.

Decise di non farlo. Non era riuscita a dare un senso a quell’incidente, non sapeva se potesse essere collegato al caso Barwood. Non voleva che Travis avesse dei ripensamenti sulla sua decisione di affidarle il lavoro. Non voleva che pensasse che stesse annaspando… tanto per rimanere in tema.

«Questa storia non finirà come il caso Corbal» disse Abby tranquillamente. «Non lo permetterò.»

«Non volevo insinuare…» Le parole gli rimasero incollate in bocca.

Finì lei la frase per lui. «Che sono io la responsabile per quello che è successo a Corbal?»

«Non è colpa tua.»

«Forse no. Ma la sostanza non cambia. Corbal è morto e tutti i giorni tu ti vedi con il tuo direttore finanziario per capire come tenere a galla questa azienda, con un personale ridotto allo scheletro, e ti assicuro che a volte sembra che la colpa sia tutta mia.»

«Te l’ho già detto, sei troppo dura con te stessa. Senti, dimentica quello che ti ho detto, d’accordo?»

«Certo. Tutto dimenticato.» Ma non era così. Sapeva benissimo che non si sarebbe mai dimenticata di quella storia.

«Devi dirmi qualcos’altro?»

«Sì, molte cose, ma dovrai aspettare.» Saltò giù dal tavolo e si mise la borsa sulle spalle. «È meglio che tu torni ai tuoi calcoli e io a Hollywood. Ho in programma una grande serata.»

«Davvero?»

Abby annuì. «Hickle non lo sa ancora, ma questa sera mi chiederà di uscire.»