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Al termine della riunione e una volta che i Barwood se ne furono andati, Abby si concesse di sedersi. Sprofondò su una poltrona in un angolo dell’ufficio di Travis e gli chiese: «Com’è andata?».

«Un successo senza precedenti» rispose lui.

«Dici sul serio?»

«Assolutamente. Li hai stregati.»

Travis si alzò e fece il giro della scrivania. Era un uomo alto, di quarantaquattro anni, con i capelli corvini leggermente diradati sulla fronte spaziosa. Sotto una giacca blu scuro indossava una camicia elegante con il colletto sbottonato, un paio di pantaloni marrone chiaro senza cintura e mocassini neri. Ogni indumento del suo look era prevedibile: possedeva una dozzina di giacche blu scuro, una dozzina di camicie, una dozzina di pantaloni marrone chiaro e altrettanti mocassini neri. Ogni giorno indossava lo stesso abbinamento. Era una delle sue manie. Non gli piaceva sprecare tempo prezioso a riflettere su come vestirsi.

«È bello riaverti qui, Abby» disse.

«Non ero sicura che volessi ancora lavorare con me dopo quello che è successo l’ultima volta. A proposito, grazie per aver detto che sono competente.»

«Lo credo davvero. Sono quattro mesi che ti colpevolizzi per il caso Corbal. Buttati tutto alle spalle adesso.»

Abby distolse lo sguardo. «Non avrei dovuto allontanarmi da lei.»

«Dovevi telefonare per comunicare la tua posizione.»

«Dovevo trovare il modo di farlo senza perderla di vista.»

Travis si sedette sul bracciolo. «Una piccola distrazione.»

«In questo business non possiamo permetterci nessuna distrazione.»

«Abby, se continuerai a fare questo tipo di mestiere, dovrai fronteggiare qualche imprevisto di quando in quando.»

«Un imprevisto? È di questo che si è trattato con Corbal?»

«Corbal era un idiota. Noi non volevamo che andasse al Lizard Maiden né in qualsiasi altro locale lungo la Strip. Gli avevamo detto di smettere di bazzicare per un po’ i club abituali. Le possibilità che potesse incontrare Sheila Rogers erano troppo alte.»

«Il mio compito era impedire che qualcosa di simile succedesse.»

«Quello che voglio dire è che Corbal era un tipo cocciuto. Non ci dava ascolto. Insisteva, dicendo che voleva rischiare, e alla fine ha pagato per la sua testardaggine. Comunque sarebbe riuscito a scappare, se il privé fosse stato evacuato più velocemente. C’erano troppi amici insieme a lui e i nostri hanno impiegato troppo tempo a farli uscire tutti. Sono passati dalla pista da ballo e ci è voluta un’infinità, dato che il locale era affollatissimo. Poi gli agenti del nostro staff hanno dovuto portare Corbal sul retro del…»

«Perché io ho suggerito di usare la porta sul retro.»

«Era la cosa giusta da fare. E comunque non è che adesso sarebbe meno morto se fosse uscito dall’ingresso principale. Sheila gli avrebbe sparato sulla pista.»

«Forse no. Forse in tutta quella confusione non l’avrebbe visto. O forse… forse l’avrei potuta fermare.»

«Ce l’avevi quasi fatta.»

«Peccato che Corbal non sia quasi morto.»

«Hai fatto tutto quello che potevi. Non è colpa tua.»

Abby rimase in silenzio.

«Come sei venuta dall’aeroporto?» chiese Travis.

Lei batté le palpebre, sorpresa da quel cambio di discorso. «In taxi.»

«Allora ti serve un passaggio a casa.»

«Ne chiamo un altro.»

«No. Ti accompagno io. Durante il viaggio ti posso fornire informazioni più dettagliate sul caso Barwood. Stamattina al telefono non ho avuto abbastanza tempo per darti i particolari.»

«Ok, Paul. Grazie.»

Non si scambiarono più una parola finché non uscirono dagli uffici della TPS. Prima ritirarono il trolley di Abby alla reception, quindi presero l’ascensore e scesero fino al parcheggio sotterraneo. Una volta lì, Abby chiese a Travis: «Come vanno le cose? Intendo dire gli affari».

Paul si strinse nelle spalle. «Potrebbero andare meglio. Venerdì ci ha scaricato un altro cliente. La stessa vecchia storia. Non si fida più dei servizi della TPS

«A causa di Devin Corbal.» A causa mia, avrebbe voluto dire.

«Non è tanto per l’incidente in sé, quanto per la copertura mediatica. Si direbbe che finalmente hanno trovato qualcos’altro di cui parlare. La scorsa settimana il Times ha pubblicato un articolo bomba su di noi… scritto dal solito giornalista che giudica con il senno di poi e sputa sentenze come un vecchio bavoso. I nostri clienti l’hanno letto e la metà di loro sono pronti ad abbandonare la nave.»

«Molti l’hanno già fatto» disse lei, mesta, pensando alle scrivanie vuote, ai tagli del personale. Sapeva che Travis si era sempre vantato di aver mantenuto il suo business un servizio esclusivo. Non c’erano mai stati più di cinquanta nomi sulla lista di clienti della TPS. Era una politica che lasciava pochi margini di errore. Da quando i clienti avevano iniziato ad andarsene, mese dopo mese, Travis doveva però fronteggiare la fine dell’agenzia che aveva fondato.

«Abbiamo subìto delle perdite» ammise. «Ma ne usciremo. Alla fine torneremo più forti di prima.»

Sembrava crederci davvero. Anche lei avrebbe voluto essere così sicura.

La Mercedes C43 di Travis era nel parcheggio. L’uomo mise il trolley di Abby nel bagagliaio e la fece sedere sul sedile del passeggero. Prima di chiudere la portiera, si chinò e le diede un bacio, un bacio breve ma intenso che le fece accelerare il battito cardiaco.

Non l’aveva baciata nel suo ufficio. Una delle loro regole era nascondere ogni gesto di intimità in presenza dei dipendenti della TPS o dei clienti.

Ora Travis teneva una mano sul volante, l’altra era stretta in quella di Abby. Guidava la berlina nel traffico della Avenue of the Stars. «Come ci si sente a essere tornati in città?» le domandò.

«Niente male. Oggi fa caldo.» Il finestrino era leggermente abbassato e l’aria le investiva la faccia.

«Siamo sui venti gradi. Più caldo che nel New Jersey, scommetto.»

«Ho dovuto comprare un cappotto. L’ho usato per un paio di giorni, poi l’ho regalato. Non entrava nel trolley.»

«E la pistola? Come l’hai trasportata?»

«Me la sono fatta spedire con FedEx dall’aeroporto di Newark questa mattina. Spedizione in giornata. Dovrebbe essere già stata consegnata a casa mia.»

«Per chi lavoravi là?»

«Gil Harris. Si è trasferito da San Diego un paio di mesi fa. Dirige un’agenzia di sicurezza a Camden. Uno stabilimento manifatturiero del luogo gli ha fatto un contratto quando hanno capito che il servizio di security interno non era in grado di gestire un ex dipendente di nome Frank Harrington. Non smetteva di minacciare la compagnia. Volevano che scoprissi se faceva sul serio.»

Travis svoltò su Santa Monica Boulevard, in direzione ovest. «E faceva sul serio?»

«Cavolo, sì. Ho trovato una lettera d’addio nell’hard disk del suo PC. Aveva intenzione di sfondare il cancello della fabbrica e fare fuoco con un paio di carabine automatiche ad alto potenziale.»

«Come sei riuscita a entrare nel suo computer?»

«Per prima cosa mi sono fatta rimorchiare da Frank in un bar. Lui mi ha portata a casa sua e abbiamo bevuto il bicchiere della staffa. Gli ho messo una pastiglia di Roipnol nel bicchiere, che l’ha steso in un secondo. Dopo ho setacciato l’appartamento, ho trovato la lettera e l’ho stampata. L’ho lasciata dove la polizia l’avrebbe sicuramente trovata. Poi ho chiamato il 911, denunciando un’effrazione all’indirizzo di Frank. Stava ancora dormendo quando me la sono squagliata.»

«Qualche rischio?»

«La polizia è arrivata un po’ prima di quanto mi aspettassi. Sono dovuta uscire da una porta sul retro. Per il resto, tutto liscio come l’olio.» Sorrise. «Un’altra giornata di lavoro.»

«Qual era la data sulla lettera d’addio?»

«Mercoledì 23 marzo.»

«Domani.»

«Esatto.»

«L’hai fermato in tempo.»

«Così pare.»

«Hai salvato molte vite, Abby.»

«Già. Forse, se ne salverò abbastanza, potrò compensare per quella che non ho salvato.» Sospirò. «Allora, com’è questa storia, Paul? Parlami di Raymond Hickle.»

«Ha trentaquattro anni, bianco, celibe. Vive da solo, niente animali, basso reddito. Lavora da Zack’s Donut Shack

«Cassa o cucina?»

«Tutte e due, ma soprattutto alla cassa.»

«Capacità sociali accettabili, quindi.»

«Sì, nei limiti. Non va in giro borbottando fra sé e neanche a fotografare bambini al parco.»

«Peccato. Altrimenti potevamo toglierlo dalla strada.»

«Non sarà facile. È molto ben considerato dai suoi ex datori di lavoro, almeno da quelli che siamo riusciti a rintracciare, e ne abbiamo trovati un bel po’. Quelli con cui abbiamo parlato ci hanno detto che Hickle è il miglior dipendente che abbiano mai avuto.»

«E allora perché l’hanno licenziato?»

«È lui che se n’è andato. È sempre stato lui a decidere.»

«Perché?»

«Perché gli avevano offerto una promozione. Sembra essere il nodo della questione.»

«Che tipo di promozione?»

«Supervisore. Questo tizio ha paura di prendersi delle responsabilità, a quanto pare.»

Abby scosse la testa. «No, non credo. Parlami di questi altri lavori.»

«Ha sempre occupato posizioni di basso livello. Assistente all’autolavaggio, maschera a teatro, lavapiatti in un bar, impiegato in un negozio di fotografia, inserviente in un palazzo di uffici.»

«Denominatore comune: mestieri in cui non si deve pensare troppo. Impari le basi e poi passi ai fatti. Se ti promuovono a supervisore, devi iniziare a pensare.»

«Non credo sia uno stupido.»

«Non ho detto questo. Sto dicendo che vuole tenere la mente libera di pensare a qualcos’altro invece che al suo lavoro. O a qualcuno come Kris Barwood, la conduttrice numero uno di Los Angeles e… unico vero amore di Hickle.»

«E anche l’unica cliente che la TPS non può permettersi di perdere.»

«Dici? Perché?»

«Perché ora come ora è l’unico personaggio mediatico che è rimasto dalla nostra parte. Channel Eight non ci ha voltato le spalle. Grazie a lei. Continua a dire che l’agenzia è stata vittima di accuse infondate. Ha rilasciato una dichiarazione pubblica. Se ci scarica anche lei, siamo fritti.»

Abby continuò per lui. «E se la TPS risolve il caso senza incidenti e se Channel Eight fa le cose in grande…»

«Darà un enorme contributo all’agenzia, infoltendo la nostra lista di clienti. Sì» disse Travis aggrottando la fronte, come se quel discorso l’avesse messo in imbarazzo.

«Quindi dammi più dettagli. Non tralasciare nulla.»

«Hickle ha iniziato a spedire a Kris delle lettere personali circa cinque mesi fa. Il nostro sistema di controllo le ha intercettate. All’inizio non sembravano pericolose. Le solite lettere dei fan, niente di speciale.»

«Erano firmate?»

«Sì. Ha sempre firmato con il suo nome. Ha inviato anche una sua foto, come faresti per un’agenzia di appuntamenti. Non ha mai cercato di nascondere il proprio aspetto.»

«E per questo non è meno pericoloso.» Abby sapeva che quelli che facevano stalking alle celebrità raramente rimanevano nell’anonimato. Al contrario, volevano che il loro bersaglio sapesse benissimo chi fossero. E volevano che tutto il mondo sapesse, in caso di un attacco violento.

«Chiedeva sempre una foto della conduttrice» disse Travis, «allora abbiamo permesso all’emittente di spedirgliene una di Kris con un autografo falso, senza dedica. Non volevamo incoraggiarlo in alcun modo, non volevamo che lo interpretasse come una risposta personale.»

«Ok.» Fino a quel punto era tutto nella norma.

«Purtroppo non è andata come speravamo. Ha iniziato a scrivere lettere più lunghe e più profonde, raccontandole il genere di cose che diresti a un amico intimo. Sono diventate piuttosto intense. Ha cominciato a mandarle persino dei regali.»

«Che tipo di regali?»

«Gioielli, soprattutto. Bigiotteria scadente. Una volta le ha mandato delle candele profumate perché aveva letto che pratica l’aromaterapia.»

«Qual è la sua storia? Casi di violenza?»

«No.»

«È stato mai internato o ricoverato?»

«No.»

«Arresti? Questioni con la polizia?»

«Non posso escludere un diverbio con la polizia, ma non ci sono denunce contro di lui.»

Abby annuì. Gli stalker imparavano a odiare in età precoce, ma non come i criminali comuni. Imparavano a dominarsi, riuscivano a tenere l’acredine sotto controllo. Pochi di quelli pericolosi, quelli con la mentalità dell’assassino, passavano guai con le forze dell’ordine. Erano attenti e distaccati. Rimanevano in attesa, aspettando il momento giusto.

«Ha smesso di scriverle tre settimane fa» disse Travis, «ma continua a chiamarla.»

«Ha il suo numero…» Non era una domanda, la cosa non la stupiva.

Travis annuì. «Di casa e del lavoro, anche se nessuno dei due è sull’elenco telefonico. All’inizio le chiamate non erano controllate e lui è riuscito a mettersi in contatto con lei. Kris ha cercato di parlargli e così ha commesso un errore madornale. Non ha fatto altro che aggravare la situazione.»

«Certo. Lui cerca il contatto.»

«Gliel’ho spiegato. Le ho fatto installare una seconda linea a casa e abbiamo monitorato tutte le chiamate che riceveva sulla prima grazie a una segreteria telefonica, ma non ha funzionato. In qualche modo Hickle ha intuito che avesse una seconda linea e ha trovato anche quel numero.»

«Ostinato, il pazzoide.»

«E intelligente.» Travis svoltò su Westwood Boulevard, in direzione nord. «Kris gli ha chiesto come ha fatto ad avere il suo indirizzo e lui gliel’ha detto. Ha cercato su Internet il nome di suo marito, Howard Barwood, e ha trovato l’ordine del giorno della California Coastal Commission dell’aprile 1999. Pubblicano sul loro sito i verbali di tutte le assemblee. Uno degli argomenti discussi allora era la richiesta di Howard Barwood di Malibu di far costruire un cottage, una dépendance, accanto al garage. Il suo indirizzo era indicato nel riepilogo della domanda.»

Abby sospirò. La privacy non esisteva più. «La domanda venne approvata?»

«Come no. Quel cottage si è rivelato molto utile. Ci abbiamo installato la nostra postazione di controllo.»

«Quanto spesso telefona Hickle?»

«Sei volte al giorno, in media.»

«Ha cercato il contatto fisico?»

«Ripetutamente. Da un lato però siamo fortunati. Kris vive nella Malibu Reserve. Si è trasferita lì qualche anno fa per motivi di sicurezza, una precauzione comprensibile per una nella sua posizione. È un luogo pressoché perfetto. Hickle non è mai riuscito a superare le guardie all’ingresso. Stessa cosa all’emittente. La KPTI è dotata di recinzione e cancello, e quelli della sicurezza hanno la foto di Hickle.»

«Ha mai cercato di entrare in casa o al lavoro? Quante volte in tutto?»

«Più di una ventina di tentativi.»

«Con frequenza in aumento?»

«Sì.»

«Male.»

Su Wilshire Boulevard, Travis svoltò verso est. Il viale, ampio e trafficato, era fiancheggiato su entrambi i lati da alti condomini e da alcuni grattacieli di uffici. Abby abitava in una traversa a metà della strada.

«Prima dicevi che Kris Barwood è ancora dalla tua parte» disse Abby mentre si iniziava a intravedere casa sua. «Come si è sentita dopo l’incidente con Corbal?»

«Impaurita, agitata. Anche se è con la TPS da anni, stava quasi per lasciarci. Howard era pronto a strappare il contratto, ma Kris ha avuto l’ultima parola. L’ho dissuasa dal farlo.»

«E adesso è la tua cheerleader preferita. Devi averle fatto proprio un bel discorsetto di incoraggiamento.»

«Diciamo che so essere persuasivo, quando voglio.»

La Mercedes entrò nel viale che portava al piazzale del prestigioso palazzo in cui viveva Abby, il Wilshire Royal.

«Vuoi salire?» chiese lei in tono vago.

Travis esitò. «Meglio di no. Ho un sacco di cose da fare oggi.»

«Già, direi che anch’io ho la mia bella mole di lavoro da sbrigare.» Era brava a nascondere il disappunto.

Scesero dalla macchina e Travis le prese il trolley. Aprì la sua valigetta e diede a Abby una busta che conteneva uno spesso fascicolo di fogli. «La tua copia del caso.»

«La lettura della buona notte» disse Abby, infilando la busta nella valigia. «Grazie per lo strappo, Paul. E… grazie per avermi dato un’altra possibilità.»

«Non ti ho mai ritenuta responsabile, Abby. Mai.»

«E se la TPS fallisse, continueresti a pensarla così?»

«Non fallirà e le cose si sistemeranno.»

«Certo. Lo so.»

Abby fece per voltarsi, ma lui la afferrò per le spalle e la baciò, un bacio intenso e impetuoso anche se troppo breve. Quando si staccò dalle sue labbra, Travis aveva un’aria accigliata. «Sai, credo di averti dato l’impressione sbagliata.»

Lei rimase confusa per un momento. Poi capì che si stava riferendo al caso e non alla loro relazione. «Come mai?»

«Ho messo l’accento sugli aspetti più sinistri di Hickle, ma c’è anche un lato positivo. È un dipendente affidabile senza precedenti penali, nessuna malattia mentale accertata, nessun atteggiamento violento riscontrato. Non ha mai spedito minacce formali a Kris. Lo so che tutte queste cose non ci danno alcuna certezza, ma mettendole insieme inizia a sembrarmi sempre meno un pazzo assassino e sempre più un tizio innocuo, un tipo con comportamenti stravaganti.»

«Forse hai ragione tu.»

«Non voglio che affronti il caso con dei pregiudizi.»

«Non lo farò. Devo conoscerlo. Sarà lui a dirmi chi è veramente e quali sono le sue intenzioni. Valutazione del rischio, è il mio campo. Raccogliere informazioni e analizzarle.»

«A sentire te sembra un lavoro banale.»

Abby sorrise. Ma era un sorriso triste, carico di saggezza. «Lo è… quando va tutto liscio.»