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Abby si svegliò in un letto che non era il suo. Immediatamente in allerta, capì dove si trovava: nella camera da letto di Travis. Sapeva anche che era tardi, ben oltre mezzogiorno, e che Paul l’aveva lasciata dormire quando era andato al lavoro.
Guardò l’orologio sul comodino. Le 15.47. Aveva dormito quasi tutto il giorno. Si sarebbe dovuta sentire in colpa ma sapeva che doveva riposare. Il corpo riusciva a funzionare sotto adrenalina solo per un po’.
A svegliarla era stata la fame. La spinse fuori dal letto. Andò in cucina è svaligiò il frigo di Travis, dove trovò una porzione di pasta congelata che mise nel microonde e che mangiò direttamente dal contenitore di plastica. La confezione indicava che il pasto conteneva solo duecento calorie, non abbastanza, ma l’avrebbero rinvigorita.
Quando finì, tornò in camera da letto per prendere le chiavi di casa che Travis le aveva lasciato sul cassettone. Diede un lungo sguardo alla televisione che in realtà era una cassaforte. Quando Paul aveva digitato le sette cifre sul telecomando lei lo stava osservando. Conosceva il codice.
Sentendosi vagamente sleale, sollevò il telecomando e premette i tasti giusti. Il falso pannello della televisione si aprì. Guardò all’interno. I CD erano in ordine alfabetico. Passò le dita tra le custodie di plastica finché non trovò quello che voleva. Quando lo sollevò, la superficie del CD riflesse la luce.
L’etichetta recitava SINCLAIR, ABIGAIL.
Non ne fu sorpresa. Se Travis controllava amici e soci d’affari dei suoi clienti, c’era da aspettarsi che prendesse simili precauzioni anche con i propri collaboratori.
Ovviamente lei era più di una semplice collaboratrice, o no? Era l’amante di Travis da quattro anni, la sua protetta, la sua confidente. Eppure la sua vita, o almeno tutto quello che se ne poteva raccogliere in un database, era stata memorizzata su quel disco magnetico e conservato lì, nella stessa camera da letto in cui lei e Travis avevano fatto l’amore, non solo quel giorno, ma tante altre volte.
Forse si sarebbe dovuta sentire oltraggiata. Ma sapeva come funzionava il loro lavoro. Nessuno si poteva fidare ciecamente. Tutti dovevano essere controllati.
«Anche le persone che ti porti a letto?» si chiese ad alta voce, ma conosceva già la risposta.
Soprattutto le persone che ti porti a letto.
Quelle erano le regole del gioco. Doveva accettarle.
Rimise il CD nella custodia di plastica e chiuse la cassaforte, poi uscì di casa desiderando essere abbastanza ingenua da arrabbiarsi. La rabbia sarebbe stata una bella sensazione in quel momento.
La casa di Culver City sorgeva in una stradina anonima, appena fuori Sawtelle Boulevard. Piccoli condomini decrepiti e intramezzati da bungalow in vecchio stile americano, case che una volta erano stati nidi confortevoli per giovani famiglie. All’epoca i prati venivano curati, veniva passata una mano di vernice ogni anno, adesso le macchine erano parcheggiate su cemento armato, su vialetti dove crescevano erbacce, e i graffiti decoravano le pareti di mattoni innalzate inutilmente come barriere contro il crimine. Ovunque si vedevano finestre sbarrate. Sebbene fosse pomeriggio inoltrato, non c’erano bambini che giocavano nelle strade e in giro non si vedeva un’anima. L’unica forma di vita era un cane randagio che annusava i rifiuti accumulati lungo il ciglio della strada.
«Sembra che quelli della Trendline abbiano fatto un grande investimento» mormorò Abby mentre parcheggiava.
L’indirizzo era apparso sullo schermo del computer mentre Travis visionava i dati con lei. Era rimasto visibile abbastanza a lungo perché lei lo memorizzasse. Aveva avuto la sensazione che dovesse fare una visita a quella proprietà.
Uscì dalla macchina e si avvicinò al bungalow. A differenza di quello dei vicini, era stato verniciato di recente e il prato non aveva l’aspetto di una giungla. Alla fine di un corto vialetto c’era un garage separato dal resto della casa. Passò tra la casa e il garage e raggiunse un piccolo cortile senza recinzione, facendo una breve pausa accanto al garage e sbirciando attraverso la finestra laterale. Nessuna macchina. Probabilmente in casa non c’era nessuno.
La porta posteriore era nascosta agli occhi dei vicini dal garage da una parte e da un albero di fico dall’altra. Avrebbe potuto forzare la serratura senza timore di essere vista. Il suo set completo da fabbro era rimasto nell’appartamento a Hollywood, ma nella borsa aveva un grimaldello e un tensionatore. Inserì il grimaldello nella serratura e mise la barra contro il chiavistello. In due minuti aveva aperto.
Non scattò nessun allarme.
«C’è nessuno?» disse e la sua voce echeggiò nella casa.
Nessuno rispose, nessun cigolio del pavimento, niente che indicasse la presenza di un’altra persona all’interno.
Rapida, iniziò a esplorare l’ambiente. Era il tipico villino della California del sud, un edificio su un unico piano, soffitti alti, finestre grandi. Il salotto aveva un finto camino. La cucina era talmente piccola e priva di utensili che assomigliava più a un angolo cottura. Due camere da letto e un bagno.
Nel mobiletto del bagno trovò qualche oggetto personale. Un rasoio elettrico, dopobarba, una boccetta di colonia, articoli per l’igiene personale femminile e un rossetto. C’erano degli asciugamani appesi e altri erano dentro un piccolo armadio. Controllò il guardaroba della camera da letto ma lì c’erano solo due accappatoi. Il letto era comodo e di qualità superiore al resto del mobilio. Diede una sbirciata nel cestino e trovò un preservativo usato. «Lui almeno fa sesso sicuro» mormorò.
Lui. Aveva utilizzato un pronome. Voleva credere che Barwood fosse il lui in questione, ma niente di quello che aveva trovato in casa poteva essere collegato a quell’uomo.
Evidentemente chi usava quel bungalow seguiva una routine semplice: due salti a letto e poi una doccia veloce. Il luogo non veniva utilizzato per altri scopi. Non c’era cibo nella dispensa né nel frigo, a parte cioccolatini, un pezzo di formaggio smangiucchiato e una bottiglia di vino sigillata. Non c’erano libri né riviste, nessuna prova di corrispondenza inviata a quell’indirizzo. Con ogni probabilità le bollette venivano spedite direttamente alla Trendline Investments e venivano domiciliate sul conto corrente delle Antille Olandesi.
Abby perquisì i cassetti di tutti i mobili e armadi, sperando di trovare qualche documento di Howard Barwood o un cellulare intestato alla Western Regional Resources. Non fu fortunata.
La maggior parte dei cassetti era vuota, ma nel comodino accanto al letto trovò una pistola. Era una Colt 1911, calibro .45, caricata a sette colpi. Era un’arma eccellente, solida e affidabile. Una delle poche che poteva essere smontata e riassemblata senza l’uso di utensili, anche se richiedeva cura e attenzioni che l’attuale proprietario aveva trascurato. Doveva essere lubrificata, e l’estrattore aveva perso un po’ di tensione e sarebbe dovuto essere sostituito.
Abby aggrottò la fronte. L’idea di una pistola nelle mani di un dilettante non le piacque, e per di più un dilettante disattento e imprudente. E se il dilettante in questione fosse stato davvero Howard Barwood, e Howard fosse stato davvero il complice di Hickle, quell’idea le piaceva ancora meno.
Si diresse verso la seconda camera da letto che era stata trasformata in studio. La stanza disponeva di poco mobilio: una TV tredici pollici, un mobile di qualità scadente, un divano logoro e una poltrona, un paio di mensole a parete tristemente vuote e un telefono.
Non era un cellulare come quello utilizzato per chiamare Hickle la sera precedente, eppure le poteva rivelare qualche indizio. Alzò la cornetta e digitò il tasto R. Rimase in attesa e poi il segnale vibrò come se la chiamata fosse stata trasferita. Un attimo più tardi si sentì una voce femminile registrata: «Questa è la segreteria di Amanda Gilbert».
Abby riagganciò. Quel nome non le diceva niente. Non l’aveva visto in nessuna delle cartelle dei file di Barwood. Forse il proprietario della casa aveva chiamato Amanda al lavoro, o la stessa Amanda aveva chiamato per riascoltare i suoi messaggi. In ogni caso fu portata a supporre che gli interessi di Amanda in quella casa andassero oltre il lavoro.
Prima di uscire dallo studio, Abby cancellò le proprie impronte digitali dal telefono, una procedura che aveva eseguito su ogni altro oggetto della casa. Controllò le altre stanze e alla fine ritornò nella camera padronale. Le era venuto in mente che avrebbe dovuto controllare meglio gli accappatoi dentro l’armadio.
La perseveranza la ripagò. Quano portò un accappatoio sotto la luce, nell’esaminarlo con più attenzione trovò un monogramma: HB. Ovviamente c’erano un sacco di HB nel mondo, le vennero in mente Halle Berry e Humphrey Bogart. Ma non se la vedeva Halle Berry a fare due passi in quel quartiere, e Bogart era morto.
«Ti ho beccato, Howard» bisbigliò. «Sei stato un bambino molto molto cattivo.»
Rimise l’accappatoio al suo posto, poi rimase ancora qualche tempo in camera da letto. Alla fine, uscì dal bungalow dalla porta posteriore. Con la macchina fece un giro intorno all’isolato e parcheggiò lungo la strada, abbassò il finestrino e reclinò il sedile, mettendosi comoda. Aveva intenzione di aspettare un po’ e vedere se Howard e Amanda sarebbero arrivati. Travis aveva detto che Barwood usciva quasi tutte le sere per fare un giro con la nuova macchina. C’erano buone probabilità che quell’indirizzo fosse la sua destinazione.
Ormai non aveva più dubbi: Howard era il proprietario della casa, ma la faccenda era troppo importante per fidarsi unicamente di una sigla. Se Howard era veramente l’HB in questione, Abby avrebbe saputo tre cose con certezza: la casa era ancora sua, stava tradendo Kris, era il proprietario della misteriosa Trendline. E se la Trendline poteva essere collegata alla Western Regional Resources, be’, avrebbe messo insieme tutti i pezzi del mosaico.
Dentro di sé, però, sperava che la situazione non si risolvesse in quel modo. Kris era stata ferita già abbastanza. Sarebbe stato meglio per lei se tanto la Trendline quanto Amanda Gilbert non avessero il benché minimo legame con suo marito. Ma Abby non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Il mondo non era un bel posto.