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Abby cadde dal letto e collassò a terra. Fu scossa da un breve fremito, poi non si mosse più.

«Niente più bugie, puttana» sussurrò Hickle.

Si erse sopra di lei, per controllare che non stesse recitando. Avrebbe potuto fingere di essere svenuta, ma Hickle ne dubitava. Col calcio del fucile aveva assestato un colpo molto violento. In ogni caso mantenne la presa sull’arma mentre si inginocchiava di fianco a lei e le alzava una palpebra. L’occhio era rivolto in alto, nella parte superiore dell’orbita. Era svenuta ma respirava. Era ancora viva. Be’, non per molto.

Aveva ragione quando aveva detto che sparare un colpo di fucile in un palazzo affollato non era una buona idea. Se ci avesse pensato meglio, anche lui se ne sarebbe reso conto. Ma c’erano altri modi per ucciderla. Per esempio tagliarle la gola con un coltello da cucina. Sì, avrebbe fatto così. Era a metà strada dalla camera da letto quando si ricordò che le posate e gli utensili di Abby erano di plastica.

Poteva sempre spezzarle il collo, allora. Si inginocchiò e l’afferrò per la gola irrigidendosi per imprimere una forza letale ai suoi polsi, ma qualcosa in quel gesto intimo lo fece ritrarre. Doveva esserci un altro modo.

Asfissia. Avrebbe potuto soffocarla. Si voltò verso il letto, prese un cuscino, poi si fermò.

Oltre al letto c’era l’armadio con le ante aperte. Dentro c’erano delle apparecchiature elettroniche. Nella frenesia dell’attacco e nella calma successiva non si era reso conto di tutta quella roba.

Gli parve strano che Abby avesse un’attrezzatura audiovisiva montata nell’armadio e la cosa ancora più strana era che l’immagine sullo schermo della TV mostrava il suo salotto. Come mai il suo salotto era in TV? Poi capì. Stava guardando una trasmissione a circuito chiuso. La TV doveva ricevere un segnale da una telecamera che Abby aveva impiantato.

Ma ciò significava che era stata nel suo appartamento. Era entrata di nascosto e aveva piazzato delle cimici. Poi, comoda comoda, l’aveva guardato quando lui credeva di essere solo.

«Mi ha osservato.» Trasse un profondo respiro. Il pensiero lo fece rabbrividire.

Con passo rigido si avvicinò all’armadio, sotto la TV c’era un videoregistratore per registrare le riprese dal vivo. Vicino, un impianto audio con delle bobine a nastri che giravano. Abby doveva aver registrato la sua voce tutte le volte che aveva parlato da solo, come spesso capitava. Conosceva ogni suo pensiero. Non aveva semplicemente invaso la sua vita nella maniera più ovvia. Si era introdotta nei suoi momenti più privati, nella sua solitudine. Aveva guardato e ascoltato e registrato tutto.

Un nuovo pensiero gli attraversò la mente. Un pensiero orribile. Hickle si domandò quale fosse il giorno esatto nel quale Abby si era introdotta nel suo appartamento. Prima o dopo essere entrato di soppiatto nella lavanderia? Perché se era successo dopo…

… allora lei aveva visto quel che le aveva rubato dalla lavatrice. Gli slip bianchi che indossava sul suo corpo. I suoi slip.

Li aveva visti, aveva capito chi li aveva rubati e di certo aveva immaginato perché li voleva.

O forse, forse non era stato necessario tirare a indovinare. Forse aveva montato una telecamera anche nella sua stanza.

Forse quella telecamera aveva lenti a infrarossi capaci di mostrarlo al buio.

L’aveva guardato la notte prima, quando aveva portato quegli slip a letto con sé, quando li aveva utilizzati nel modo in cui gli altri uomini utilizzavano le immagini pornografiche? Aveva visto tutto? Aveva registrato tutto sul nastro?

Avvertì un moto di rabbia.

Estrasse la cassetta dal videoregistratore e la spaccò in due, poi tirò il nastro fuori dai rocchetti e se lo attorcigliò fra le mani.

Forse aveva registrato anche gli effetti sonori, il cigolio delle molle del materasso, i bassi sussulti del suo respiro mentre ansimava.

Estrasse con violenza le bobine, estrasse il nastro spargendolo dappertutto, finché non gli caddero dalle mani tremanti.

Era inutile. Non avrebbe ottenuto nulla. Chiunque avrebbe potuto riavvolgere la cassetta, metterla sul rocchetto, riavvolgere il nastro e vedere il video, sentire l’audio.

Razionalmente si rendeva conto che non aveva alcuna importanza ciò che gli altri avrebbero visto o sentito. C’erano buone probabilità che morisse nell’agguato a Kris. E anche se fosse rimasto in vita, sarebbe stato arrestato a causa di quel crimine imperdonabile.

Eppure non sopportava l’idea che degli sconosciuti potessero sbirciare nei suoi momenti personali, guardarlo come un animale allo zoo. Ridere della sua perversione. O, peggio, dispiacersi per lui, provare compassione per il povero mostro malato.

No. Si sarebbe assicurato che nessuno potesse mai vedere o sentire quei nastri. Si sarebbe sbarazzato di quei dannati affari, li avrebbe cancellati o qualcosa del genere.

Ma prima doveva rimuovere le cimici che Abby aveva impiantato. Non poteva permettere che qualcuno vedesse quello che aveva fatto.

Si accertò che Abby fosse ancora incosciente, poi tornò nel suo appartamento passando per le scale antincendio. Per prima cosa perquisì il salotto. Dalle immagini di Abby si capiva chiaramente che le riprese venivano da un punto sopra il divano. Aprì il rilevatore di fumo e trovò un obiettivo e un trasmettitore, ma nessun microfono. Mise la telecamera sotto il piede e la schiacciò con il tallone. Poi si guardò intorno alla ricerca di un posto in cui potesse essere nascosto un microfono. Il telefono? Lo capovolse e vide qualcosa che assomigliava a una microspia; scaraventò il telefono contro il bancone della cucina mandandolo in pezzi.

Ci potevano essere altre cimici nella stanza. Sbirciò dietro il divano, dietro la televisione, nei mobili della cucina, nel frigorifero. Non sapeva nemmeno cosa stesse cercando. Avrebbe potuto avere di fronte a sé una microspia e non l’avrebbe riconosciuta. Quella puttanella ingegnosa avrebbe potuto impiantare una dozzina di microfoni, o anche un centinaio. Non poteva saperlo.

Arrancò in camera da letto. Che avesse impiantato un microfono anche lì o che avesse ascoltato tutto attraverso la parete che avevano in comune tramite uno stetoscopio? E quella seconda telecamera? Poteva esserci un obiettivo nascosto che lo riprendeva attraverso un buchino dietro uno dei poster di Kris. Strappò via i manifesti dalla parete. Nessuna telecamera. Nessun microfono. Doveva esserci qualcosa. Era improbabile che avesse impiantato delle microspie in una stanza e nessuna nell’altra. Doveva essergli sfuggita. Controllò sotto il letto, dietro al comodino. Svitò la base dell’abat-jour, ma niente.

«Dov’è, dove l’hai nascosta, brutta puttana?» Il suo tono di voce era di un’ottava più alto del solito. In un paio di giorni avrebbe di sicuro trovato tutti i dispositivi che lei aveva impiantato. Ma lui non aveva neanche un giorno, e nemmeno un’ora. Doveva agire contro Kris quella sera stessa. Posticipare l’azione avrebbe messo a repentaglio tutta l’operazione; perché se Abby non si fosse fatta viva, i suoi colleghi avrebbero scoperto che qualcosa era andato storto. Sarebbero andati a cercarlo. E anche se fosse scampato all’arresto, Kris avrebbe ricevuto protezione aggiuntiva e lui non sarebbe mai più riuscito ad avvicinarla.

Erano quasi le 22.30. Kris avrebbe lasciato gli studi della KPTI fra un’ora circa. Sarebbe arrivata a casa dopo mezzanotte. Doveva essere lì quando la sua macchina si fosse immessa nel viale della villa sulla spiaggia. Per fare in tempo doveva partire subito. Ma non aveva tolto tutte le cimici dall’appartamento. Non aveva ancora cancellato quelle registrazioni.

«Non c’è tempo.» Hickle girava su se stesso. Non poteva disfare tutto quello che Abby aveva fatto. Ma non poteva neanche permettere che la polizia scoprisse tutto quel materiale.

Distruggilo, allora. Distruggi tutto, tutto ciò che c’è negli appartamenti, ogni cosa.

«Va bene» sussurrò, riacquistando un po’ di autocontrollo mentre il piano prendeva forma nella sua mente.

«Va bene, sì, funzionerà, andrà tutto bene.»

Prima di uscire dall’appartamento, radunò tutte le cose che gli sarebbero servite per quella notte. Sia lì sia a Malibu. Prese il borsone dall’armadio e ci infilò dentro la carabina, l’obiettivo, il sistema di puntamento laser e l’HK 770 che era stato un investimento costoso e aveva intenzione di averlo con sé come arma di scorta nel caso in cui il fucile avesse fatto cilecca.

Cos’altro gli serviva? Altre munizioni per entrambe le armi. Una torcia. Una giacca, di notte faceva freddo. Prese l’impermeabile blu scuro e lo indossò. Vestito di scuro si sarebbe mimetizzato meglio.

E poi il lucchetto e la catena con cui aveva chiuso l’armadio. Prese anche quelli con sé, insieme al borsone. Uscì dall’appartamento passando dalla finestra, senza voltarsi indietro.

Ora lo schermo della televisione di Abby mostrava solo delle interferenze. Abby era ancora incosciente. Hickle la calciò debolmente con il piede. Lei non si mosse di un millimetro. Le si inginocchiò accanto per un minuto o due, poi rivolse lo sguardo verso la finestra della camera da letto. La zanzariera si era danneggiata a causa della sua effrazione, ma il vetro era intatto. Chiuse bene sia la finestra della camera sia quella del salotto. Ora l’appartamento era a tenuta stagna. Si accovacciò per accertarsi che la fiamma pilota blu della caldaia fosse accesa.

Ora veniva la parte difficile. Facendo lavorare i muscoli, spostò il forno lontano dalla parete della cucina finché non sentì un rumore metallico e uno sfiato di gas. Il manicotto del tubo del gas si staccò, permettendo alla sostanza aeriforme di espandersi dalla tubatura principale in tutto l’ambiente. Puzzava di uova marce. Il gas era la bomba. La fiamma pilota, la miccia. Quando una quantità notevole di gas avesse riempito la stanza…

«Bang» sussurrò Hickle.

Metà del quarto piano sarebbe stato spazzato via. L’appartamento di Abby, il suo e, con un po’ di fortuna, anche il 422 in cui abitava quella ficcanaso della signora Finley, tutto sarebbe stato cancellato in una violenta esplosione accecante. Voleva a tutti i costi cancellare quelle registrazioni. E quello era l’unico modo per farlo. E in più avrebbe cancellato ogni traccia della sua vita precedente e… ah sì, anche Abby.

Mise il secondo fucile nel borsone e si diresse verso il corridoio, chiudendosi la porta dell’appartamento di Abby alle spalle. Veloce, salì sull’ascensore, scese nell’atrio e corse frenetico verso il parcheggio. Mentre correva, un pensiero lo spronava. Lo stava facendo, lo stava facendo sul serio. Dopo mesi di indugi aveva trovato la forza e il coraggio.

Hickle lanciò il borsone sul sedile del passeggero della sua Volkswagen e accese la macchina. L’orologio del cruscotto segnava le 22.59.

In quell’esatto momento il notiziario della sera di Channel Eight stava per finire, e Kris Barwood sarebbe uscita dalle porte della KPTI per l’ultima volta.