Capitolo 30

Nei due giorni successivi, Gwen sentì Laurence camminare per la casa durante la notte. La rinnovata angoscia che aveva provato nel sentire il nome di Ravasinghe, in aggiunta al fastidio che le procurava la presenza di Christina, le aveva suscitato una certa nostalgia di Laurence. Avrebbe voluto che dormisse con lei, ma non fu così. Inoltre, con grande irritazione di Gwen, anche Verity era rimasta da loro e prendeva apertamente le parti di Christina. La faccenda del marchio e della pubblicità era diventata l’argomento principale in casa, e la questione della permanenza di Verity non era più stata sollevata.

Mentre tutti erano presi da quelle preoccupazioni, Gwen aveva permesso a Liyoni e a Hugh di giocare insieme in camera sua. La luce del sole entrava dalla finestra e Gwen, seduta alla scrivania con Naveena, si godeva il calore del sole dietro il collo, osservando i gemelli che saltavano sul letto, cantando qualcosa che sembrava la versione singalese di Fra’ Martino. Ripensò a Christina e all’effetto che l’arrivo di quella donna aveva avuto su Laurence, che di giorno si mostrava ancora più distaccato.

Guardò fuori dalla finestra e osservò i due passeggiare sottobraccio in giardino, tentando di convincersi che stavano solo discutendo di affari. Ma le sensazioni negative ebbero il sopravvento su di lei. Si sentiva fuori posto, un’estranea per suo marito, un’estranea in casa propria. Si rese conto che la casa non era un posto fisico. Era l’insieme delle relazioni che aveva con ogni cosa che toccava, vedeva e sentiva quotidianamente. Era la certezza di essere in un posto familiare e di sentire l’odore di un sentiero conosciuto. Le stoffe e le trame dell’ordinario. Conoscere l’esatto colore della sua tazza di tè al mattino. Era l’immagine di Laurence che leggeva il giornale prima di andare al lavoro e di Hugh che correva su e giù per le scale centinaia di volte al giorno. Adesso qualcosa era cambiato, il terreno le franava sotto i piedi ed era tutto diverso.

Sentì una vampata di calore e per un momento, confusa e non molto in sé, odiò Christina quasi quanto Savi Ravasinghe. Più di tutto odiava che l’avesse trasformata in una donna gelosa e spaventata. Avrebbe voluto trovare una via d’uscita, ma guardando i bambini provò un moto di vergogna e tutta la rabbia rifluì.

«Stai attento, Hugh. Ricordati che Liyoni ha una gamba ferita».

«Sì, mamma, è per questo che cade solo sul sedere».

Qualcuno bussò alla porta e subito dopo entrò Verity. «Pensavo fosse giusto informarti che Laurence ha accettato la proposta di Christina».

Gwen si massaggiò il collo. «Oh, mio Dio, sul serio?»

«Gli serve la tua firma su un documento. Ne dovrai firmare parecchi». Verity si interruppe e guardò i bambini che ora erano seduti tranquilli sul letto. «Se fossi in te, mi sbarazzerei di quella ragazzina».

«Non capisco che intendi».

Verity inclinò il capo e proseguì con un sorrisetto. «I domestici chiacchierano. Non capiscono perché goda di un trattamento di favore. Sai come sono».

Gwen si accigliò. «Io invece stavo pensando che forse è ora che tu faccia le valigie».

Verity sorrise di nuovo. «Non credo, Gwendolyn. Potrai anche essere sua moglie, la sua seconda moglie per essere precisi, ma io sono la sua unica sorella. Sto andando a giocare a tennis con Pru Bertram al club. Ci si vede».

«E tuo marito? Non è molto carino nei suoi confronti».

Verity scrollò le spalle. «Questi non sono affari tuoi».

«È vero?», chiese Gwen a Naveena quando Verity fu uscita. «È vero che i domestici chiacchierano».

L’anziana donna sospirò. «Non vuol dire niente».

«Sei sicura?»

«Dirò che lei è contenta che Hugh ha un’amica».

Ci fu un rumore nel corridoio, poi il suono di passi. Gwen si voltò, colta di sorpresa.

Naveena fece schioccare la lingua. «È solo uno dei garzoni, signora».

Hugh e Liyoni ricominciarono a saltare sul letto e Gwen si perse nei suoi pensieri. Il commento di Verity l’aveva colpita. Da quando aveva portato Liyoni a vivere lì, era come se la sua vita si fosse divisa in tanti pezzi. Intrappolata nelle paure, trasaliva a ogni rumore inconsueto e ogni volta che sentiva uno scricchiolio si voltava aspettandosi il peggio e torturandosi a immaginare gli scenari peggiori finché non le facevano male gli occhi.

Avrebbe avuto bisogno di Laurence per ricordare chi era, invece si stavano allontanando. Si sentiva come divisa in due, impaurita al pensiero di stargli vicino, per timore che le sfuggisse qualcosa, mentre allo stesso tempo aveva un estremo bisogno di lui. Quando Laurence era gentile, lei invece era irritata e suscettibile, e quando lui era distante, lei si preoccupava dell’influenza di Christina.

All’improvviso si udì un tonfo sordo. Gwen alzò lo sguardo e vide che Liyoni era caduta dal letto e giaceva sul pavimento, immobile. Balzò in piedi.

«L’hai spinta tu, Hugh, vero?».

Hugh divenne tutto rosso e cominciò a piangere. «No, mamma, non sono stato io!».

Gwen si avvicinò mentre il bambino scendeva dal letto. Prese la bimba tra le braccia e la strinse a sé, mentre Hugh si accovacciava vicino a loro.

«Mi dispiace, Hugh, non è colpa tua. Sono io che non vi ho tenuti d’occhio».

Accarezzò la guancia di Liyoni e la guardò negli occhi spaventati. La bimba sbatté le palpebre e si lasciò sfuggire una lacrima. Gwen sentì il proprio cuore fermarsi quando realizzò che stava guardando la figlia, senza fare caso al colore della sua pelle ma vedendo soltanto che era sangue del suo sangue. In quell’istante di chiarezza il tempo parve fermarsi. Quella era la sua bambina, la figlia che non aveva saputo amare e che aveva dato via come un cucciolo indesiderato. Il senso di colpa per ciò che aveva fatto e la dolorosa consapevolezza che non avrebbe mai potuto riconoscerla apertamente come sua le spezzavano il cuore. Emise un suono strozzato mentre cercava di ricacciare indietro le lacrime e cinse le spalle di Hugh con un braccio, attirando entrambi i bambini a sé. Quando alzò lo sguardo sorrise a Naveena, ma l’ayah era come impietrita, con gli occhi fissi sulla soglia della stanza e la bocca leggermente aperta.

Gwen dava le spalle alla porta ed era concentrata sui bambini, perciò non l’aveva vista aprirsi. Solo un colpo di tosse la avvisò della presenza di Laurence.

«Bambina caduta», disse subito Naveena.

Gwen sollevò Liyoni e la posò sul letto, ma il senso di colpa era un’ombra evidente sul suo viso, e se Laurence aveva visto la bimba cadere, doveva aver visto anche tutto il resto.

Lui rimaneva immobile e li guardava.

Gwen tentò di riprendersi. Non sapeva se aveva detto qualcosa o se l’aveva solo immaginato. La paura le paralizzava la bocca e i polmoni, mente inspirava tentando di formulare una sequenza di suoni che avesse senso.

Laurence si schiarì la gola, la interruppe e si rivolse direttamente a Naveena. «Telefona al dottor Partridge. Digli di venire».

Poi si avvicinò per guardare meglio la bimba e Hugh gli prese una mano. «Lei è la mia migliore amica, papà».

«È solo caduta. Ed è atterrata male. Tutto qui».

Gwen tentò di scacciare la paura dai propri occhi. Cosa aveva visto Laurence? Cosa aveva sentito? La pelle di Gwen prudeva e bruciava. Si grattò la testa, poi la base del collo e le scapole. Ma non servì. Il prurito si diffuse in tutto il corpo fino a farle venire voglia di urlare.

«Partridge ha già dato un’occhiata al suo piede?», chiese Laurence facendola sussultare.

Gwen annuì.

«E?», aggiunse lui.

Lei riuscì a ritrovare la voce. «Pensava che non fosse nulla. Ha detto che sarebbe tornato a visitarla. Ma tu come lo sapevi? Non c’eri nemmeno».

«Me l’ha detto McGregor».

Sebbene l’espressione di Laurence fosse immutata, nei suoi occhi c’era qualcosa. La fissò e Gwen si sentì gelare, mentre lo stomaco si contraeva. Passò qualche istante prima che lui parlasse di nuovo.

«Mi ha detto che sembravi molto preoccupata per questa ragazzina».

Gwen trasalì. Come aveva potuto dare per scontato che McGregor non la sorvegliasse? «È una bimba molto dolce e mi dispiaceva vederla qui da sola in mezzo a tutti questi estranei. È così piccola».

«Alla sua età io ho cominciato a frequentare il collegio in Inghilterra, da solo».

«E infatti sai come la penso in proposito».

Per qualche istante Laurence la guardò senza parlare. Gwen non aveva idea di cosa gli passasse per la testa. Se lo avesse perso…

Nel tentativo di calmare i nervi in quel silenzio teso, Gwen si concentrò sul proprio respiro.

«Hugh se ne andrà presto», disse infine Laurence. «A quel punto dovremo decidere che fare di lei».

Gwen distolse lo sguardo per impedire a Laurence di vedere i suoi occhi colmi di lacrime.

«In sala da pranzo ci sono dei documenti che vorrei che firmassi. Vieni dopo la visita del dottore. In ogni caso, partiremo per l’America tra un po’ di tempo. Christina se n’è già andata».

Andata. Se ne era andata.

Gwen trascorse l’ora di attesa prima che arrivasse il dottore a bere tè e a giocare a carte con Hugh. Liyoni dormiva e quando si svegliò rimase in silenzio, rifiutando la frutta e l’acqua che le venivano offerte. Il cuore di Gwen sussultava ogni volta che sentiva dei passi in corridoio, per timore che fosse di nuovo Laurence. Quando finalmente il dottore arrivò, Liyoni si era di nuovo indebolita.

Partridge posò a terra la borsa. «È meglio che l’ayah porti fuori Hugh, Gwen».

«No», disse il bambino pestando i piedi. «Voglio restare. Lei è una mia amica, non tua o di mamma».

«Ho dei leccalecca nella borsa. Se farai il bravo e andrai fuori con Naveena te ne darò uno».

«Sono quelli gialli?»

«Sì, e anche rosa».

«Solo se anche Liyoni può averne uno, dello stesso colore del mio».

«D’accordo al cento per cento, vecchio mio».

«E mi prometti che non le farai male?»

«Promesso».

«E dopo possiamo andare a nuotare? A lei piace tanto volare».

«Volare?».

Hugh annuì. «Lei nuotare lo chiama così».

Quando Naveena ebbe portato fuori Hugh a giocare a palla il dottore avvicinò una sedia e visitò con estrema attenzione Liyoni, tastandola con delicatezza.

Gwen si avvicinò a lui e la bimba le sorrise quando aprì gli occhi. Leggendo la fiducia nel suo sguardo, Gwen le restituì il sorriso. Quello scambio non sfuggì al dottore, che guardò prima lei e poi Liyoni. Gwen si spaventò e trattenne il fiato, sperando che lui non notasse il colore degli occhi della bambina, a metà tra il castano e il violetto, né i suoi riccioli scuri sparsi sul cuscino.

«C’è qualcosa che vuoi dirmi, Gwen?».

Di nuovo le si mozzò il fiato. Se solo lui avesse saputo quanto aveva bisogno di sfogarsi dopo tutti quegli anni.

«Intendo su come è caduta».

Gwen espirò. «È rotolata giù dal letto. Lei e Hugh stavano saltando. È stata colpa mia. Avrei dovuto sapere che non è forte come Hugh. Ma ero distratta».

«Bene. Probabilmente la debolezza è causata da qualche deficienza alimentare. Fatela mangiare».

«Oh, è un sollievo. Quindi non è niente di contagioso?».

«No, solo lo shock della caduta».

Un mese dopo Gwen era in camera e infilava in valigia gli ultimi vestiti che Hugh avrebbe portato a scuola. Aveva riflettuto molto sul suo abbigliamento oltre la divisa scolastica, in modo che fosse pronto per qualsiasi eventualità. La divisa era arrivata da Nuwara Eliya qualche giorno prima. C’erano due paia di tutto ciò che era elencato nella lunga lista. Gwen era grata che suo padre li aiutasse a pagare il conto, anche se una parte di lei non voleva che Hugh se ne andasse.

Lui era seduto sul suo cavallo a dondolo, che adesso era in camera di Gwen, con aria piuttosto triste. «Perché non posso venire nel far west con voi?»

«Non stiamo andando nel far west. Andiamo a New York».

«Ma ci saranno lo stesso i cowboy, giusto?».

Gwen scosse la testa. «Credo che sia più facile vedere un cowboy a Nuwara Eliya che a New York».

«Non è giusto. Anche tu puoi insegnarmi l’aritmetica e la grammatica».

«Tesoro, devi ricevere una buona educazione, così diventerai intelligente come papà».

«Lui non è intelligente».

«Oh, certo che lo è».

«Be’, non è molto intelligente dire che non posso andare alle cascate con Liyoni».

«Papà pensa che sia un po’ troppo pericoloso».

«Ma Liyoni adora l’acqua. Le piacerebbe tantissimo. Io ci sono stato, mi ha portato Verity».

«Ti ha portato in cima?»

«Sì, proprio in cima. Ma non mi sono avvicinato al bordo».

«Be’, sono felice di sentirtelo dire. Adesso vieni ad aiutarmi con i ganci del baule. Mi serve l’aiuto di un uomo forte».

Hugh rise. «Okay, mamma».

Più tardi, mentre stava cercando di fare la valigia, Laurence entrò in camera con un ampio sorriso stampato in faccia. Da quando Christina era partita per avviare le trattative a New York lui pareva più felice e sempre più occupato a incontrare i proprietari delle piantagioni e a stringere accordi.

Gwen lo vedeva a malapena, e in realtà ne era grata. Quando era lì con lei non mostrava alcun segno di aver capito il motivo della presenza di Liyoni in casa, per quanto Gwen lo osservasse con attenzione.

«Ciao», disse. «Mi mancavano proprio le mie due persone preferite».

«Papà!», gridò Hugh saltando giù dal cavallino e correndo ad abbracciarlo.

«Piano, vecchio mio. Papà è stanco. Non vorrai mica stendermi?»

Hugh rise. «Certo che sì, papà».

Laurence sorrise e posò lo sguardo su Gwen. «Ho sistemato tutto con la scuola. Hugh potrà restare al dormitorio a tempo pieno per i primi mesi».

«Cioè non tornerà a casa nei weekend? No, Laurence, non gli piacerebbe».

«È solo finché noi saremo via. Un viaggio a New York non è una sciocchezza. Comunque, è tutto pronto. Christina ha preso i biglietti».

«Hugh, va’ a giocare», disse Gwen. «Perché non provi la nuova altalena nel giardino?»

Hugh fece una smorfia ma ubbidì. Come tutti i bambini della sua età, riusciva a percepire quando i genitori volevano discutere.

Laurence rimase in piedi dando le spalle alla luce. Gwen lo guardò, schermandosi gli occhi dalla luce splendente del sole che penetrava dalla finestra. «Naveena potrà badare a lui nei weekend».

«Mi pare che sia troppo impegnata con la ragazzina». Laurence sospirò. «Speravo davvero che avresti trovato una soluzione».

«Ci ho provato».

«Oh, ne sono sicuro».

«Che intendi?»

«Niente, solo quello che ho detto. Da quando sei così suscettibile? Lo sei sempre di più da quando quella bambina è arrivata qui. Qual è il problema?».

Gwen scosse la testa.

«Molto bene», disse lui. «In ogni caso, vorrei parlarti di Verity. Le ho detto che non può restare qui se noi non ci siamo. Deve tornare da Alexander».

Gwen aveva trattenuto il fiato e adesso espirò di colpo. «Ottimo. A quanto pare hai pensato a tutto. Ti ha detto che problema c’è tra lei e Alexander?»

«Ha accennato a qualche difficoltà».

«Che difficoltà?»

«Non lo immagini?»

«Davvero?»

«Le ho detto che deve vedersela con lui. La verità è che non può continuare a comportarsi così. E poi ha ripreso a bere troppo. Adesso è una responsabilità di suo marito, non più mia».

“Alleluja”, pensò Gwen, cercando di non mostrare quanto fosse soddisfatta.

«Possiamo decidere cosa fare della ragazzina quando torneremo. So che avevo detto che ci saremmo presi cura di Naveena quando si fosse fatta troppo vecchia, ma non pensavo di includere anche la sua lontana parente ritrovata, se davvero quella bambina lo è».

«Oh, Laurence, ma certo che lo è».

«C’è qualcosa di strano in lei. Sto facendo cercare le vecchie cronache familiari di mia madre, nel caso ci sia qualche indizio che può rivelarci da dove viene. Magari qualche accenno che la colleghi a Naveena».

«Dubito che troverai qualche spiegazione lì. Persino Naveena non sapeva dell’esistenza della bambina».

«Lo so. Ci ho parlato».

Il cuore di Gwen ebbe un sussulto. «E che ti ha detto?»

«Niente di più di ciò che già sapevamo». Si interruppe. «Gwen, sei pallida».

«Sto bene, sono solo un po’ stanca».

Lesse la preoccupazione negli occhi di Laurence, e fu sollevata nel vederlo spostare lo sguardo sui vestiti appoggiati sul letto.

«Sono tutti splendidi, ma non mettere troppa roba in valigia. Ho pensato che magari Christina potrebbe accompagnarti a fare shopping sulla Fifth Avenue. Pensa che ti servano abiti un po’ più alla moda».

Gwen raddrizzò la schiena, si portò le mani sui fianchi e lo fissò. «Ma chi si crede di essere Christina? Non sono mica un caso umano, e non ho bisogno che lei mi accompagni a fare shopping».

Laurence sollevò il mento. «Pensavo che ti avrebbe fatto piacere».

«Be’ non è così. E mi sono stufata di essere trattata con condiscendenza da lei. E da te».

«Tesoro, scusami. So che sei nervosa per la partenza di Hugh».

«Non sono nervosa», rispose Gwen.

«Tesoro…».

«E non chiamarmi tesoro! Non sono per niente nervosa». Scoppiò in lacrime.

Laurence l’abbracciò per consolarla. Lei si divincolò, ma lui la stringeva così forte da renderle impossibile liberarsi. Non poteva dirgli quello che provava davvero per Liyoni, e anche se Hugh le sarebbe mancato da morire, sapeva che si sarebbe divertito a scuola. Però il pensiero di lasciare tutto nelle mani di Dio per così tanto tempo le provocava un fremito di paura, e in più non credeva affatto che Verity se ne sarebbe stata alla larga.

«Torneremo prima di quanto immagini, tesoro». Laurence le sollevò il mento e la baciò sulle labbra, e in quel momento Gwen lo desiderò così tanto da non riuscire a parlare.

«Devo chiudere a chiave la porta?», disse lui sorridendo.

«E anche la finestra. Da fuori si sente tutto». Gwen lanciò un’occhiata al letto ingombro di vestiti.

«Non preoccuparti», disse Laurence, raccogliendoli tutti e ammucchiandoli in una pila sul pavimento, prima di andare a chiudere la porta.

«Laurence! Li avevo fatti stirare!».

Ignorando le sue parole Laurence la sollevò, se la caricò in spalla e la portò sul letto. Gwen rise quando la buttò sul materasso e poi l’aiutò a spogliarsi.