Capitolo 9
Il picnic coincise con il ritorno di Verity dal Sud, e mentre Gwen, Laurence, Verity e la sua amica Pru Bertram si mettevano comodi sui tappeti scozzesi, si ritrovarono a essere sorvegliati da un macaco con una lunga coda appollaiato su un albero vicino. Anche Nick McGregor era stato invitato, ma aveva declinato, adducendo un problema di coolie.
Gwen era seduta sull’unica sedia disponibile, con un grande cappello che le proteggeva il viso dal sole, e indossava un abito ampio di cotone verde, tagliato in alto per creare volume sotto, dove ne aveva bisogno. Ogni mattina, quando faceva scorrere le mani sui seni e sulla pancia dopo il bagno, osservava meravigliata il proprio corpo che cambiava rapidamente e si strofinava con cura una cucchiaiata di olio di noce mescolato con zenzero. Ora che le nausee erano definitivamente superate, sperava di avere un po’ di tregua prima di diventare ancora più grossa.
«Ci sono altri problemi negli slum?» sussurrò a Laurence.
«Ci sono sempre dispute marginali. Niente di cui tu debba preoccuparti».
Lei annuì. Dal giorno dell’incidente con il tàmil con il piede ferito, McGregor era stato tranquillo con lei. L’aveva aiutata a comunicare con i nuovi giardinieri e aveva dimostrato un tiepido interesse per il suo progetto di lavorazione del formaggio; ma, a parte questo, si era tenuto a distanza. Gwen aveva provato a coinvolgerlo nei suoi piani per la tenuta, ma a lui interessava soltanto il tè.
Era una giornata splendida, con il sole che luccicava sul lago, e una leggera brezza che rinfrescava la pelle. Gwen guardò un nugolo di farfalle chiare che svolazzavano proprio sopra la superficie dell’acqua. Spew ci saltò dentro, sguazzando e divertendosi a dare fastidio. Bobbins, che non era avventurosa quanto il fratello, rimaneva seduta sulla riva, con la testa appoggiata sulle zampe. Anche la cagnetta era incinta. Gwen la stava guardando con interesse, e provò una certa empatia nei confronti dell’animale, con la sua pancia enorme.
«Che buffo», disse Gwen. Si appoggiò allo schienale per sentire un po’ di sole sul viso. «Bobbins osserva e Spew agisce. Un po’ come me e Fran. Vorrei tanto che fosse qui, Laurence».
«Ne abbiamo già parlato, tesoro».
«Prometto di fare qualsiasi cosa in mio potere per esserti utile», disse Verity. «È per questo che non sono tornata in Inghilterra».
«Sono sicura che Gwen te ne è grata».
Verity le rivolse un ampio sorriso. «Cara, apriamo il cestino».
Due dei garzoni avevano portato il cestino da picnic, insieme alle coperte, e avevano anche preso la sedia per Gwen dalla rimessa per le barche in riva al lago, sempre esposta alle intemperie. Laurence aprì i ganci, tirò fuori due bottiglie di champagne, diversi bicchieri che distribuì e poi tre vassoi di panini.
«Mmm», disse togliendo il coperchio da uno dei vassoi e annusandolo. «Questo sembra salmone e cetriolo».
«E poi?» chiese, Gwen, famelica.
«Perché non ci dici cosa c’è negli altri due, Pru?».
Pru era tranquilla e modesta, una tipica donna inglese dalla pelle diafana che, sotto il sole di Ceylon, sembrava diventare di un rosa acceso; sebbene avesse qualche anno in più, era una cara amica di Verity.
«Certo». Prese i due vassoi. «Uova e lattuga in questi, e qualcosa che non riconosco in questi… Ah, certo, è brinjal».
«Brinjal in un panino?», chiese Gwen, ricordando il pranzo da Christina.
Verity annuì. «Certo. Portiamo sempre un piatto locale ai nostri picnic, vero, Laurence? È una tradizione di famiglia. Nella tua famiglia non ci sono usanze di questo tipo?».
Laurence si raddrizzò il cappello mentre squadrava la sorella. «Siamo noi la famiglia di Gwen ora, Verity».
Verity arrossì. «Ma certo, non intendevo…».
Lui stappò lo champagne, riempì i loro bicchieri e poi si alzò in piedi, alzando il calice. «Alla mia meravigliosa moglie».
«Senti, senti!», esclamò Pru.
Quando si furono rimpinzati per bene, Verity, che aveva tracannato un po’ troppo champagne, si alzò. «Be’, come sai, Laurence, adesso è il momento della pessaggiata attorno al lago. Tu vieni?»
«Non credo di farcela», disse Gwen, tendendo una mano a Laurence.
«Ma tu verrai, vero, Laurence? Vieni sempre. Gwen starà bene insieme a Pru».
«Lo so ma preferisco restare con Gwen».
Gwen gli rivolse un sorriso riconoscente e lui le strinse la mano.
«Stai attenta al bufalo d’acqua», disse a Verity, mentre si cominciò ad allontare con aria offesa.
In quel momento Spew saltò fuori dal lago per inseguire a un gruppo di aironi, e poi corse intorno a Verity, schizzandole addosso tutta l’acqua. Gwen cercò con lo sguardo Bobbins che sembrava essere scomparsa.
«Maledetto cagnaccio!» disse Verity, pulendosi il vestito zuppo. Come al solito aveva scelto il colore sbagliato, pensò Gwen. L’arancione non era adatto a una carnagione giallastra. E il sole giallo, riflettendosi sul suo viso, la rendeva piuttosto verde acido.
«Ti accompagno io, Verity», disse Pru, e fece per avviarsi.
«No. Mi porto Spew. Tu non sei abbastanza in forma e ti stancheresti troppo. Vieni, Spew».
Pru sembrò delusa e si rimise a sedere. «No, certo, hai ragione. Non ho l’energia che hai tu».
Gwen chiamò Laurence. «Pensi che potrei almeno bagnare le dita dei piedi?».
Laurence si voltò. «Non vedo perché no. Non voglio tenerti troppo sotto una campana di vetro».
«Vuoi venire, Pru?» disse Gwen, mentre si toglieva le scarpe.
Quando Pru scosse la testa, Gwen scese verso la riva; una volta giunta a destinazione, si sedette e srotolò i calzini con una mano, mentre con l’altra si teneva il cappello. Laurence la aiutò a rialzarsi e si addentrarono un po’ nel lago. L’acqua gentilmente lambiva la riva, e lei mosse le dita per il freddo.
«È piacevole, vero?» disse.
Lui la circondò con un braccio. «Sei tu che lo rendi piacevole».
«Oh, Laurence, sono così felice. Spero che questo momento non finisca mai».
«Non c’è assolutamente nessun motivo per cui debba finire», disse lui, e la baciò.
Lei guardò un uccellino saltare su una roccia lì vicino. «Guarda quel pettirosso», disse.
«Veramente è un passero pigliamosche del Kashmir. Mi chiedo come sia arrivato fin qui. Di solito si vedono al campo da golf di Nuwara Eliya. È un posto meraviglioso, proprio tra la città e le colline».
«Sei un esperto di uccelli».
«Uccelli e tè».
Lei si mise a ridere. «Devi dirmi i nomi di tutti gli uccelli, così potrò insegnarli al nostro bambino».
«Ai nostri bambini, vorrai dire!».
Mentre la abbracciava, Gwen lo osservò. I suoi occhi scintillavano e sembrava così orgoglioso e felice che lei si sentì il cuore scoppiare.
Ma quando le prese le mani e la guardò dritto negli occhi, sembrava serio. «Gwen, se solo potessi farti capire quanto mi hai cambiato la vita».
Lui si allontanò di un poco. «In meglio, spero».
Una folata di vento le soffiò i capelli negli occhi. Lui le mise un ricciolo dietro l’orecchio. «Dopo Caroline pensavo che la mia vita fosse finita, ma tu mi hai ridato speranza».
Il vento si alzò ancora e lei si tolse il cappello, e poi, attratta dal calore del petto di suo marito e sentendo il suo cuore palpitare, si voltò a guardare di nuovo il lago. Laurence non era sempre bravo a esprimere ciò che sentiva, ma ora che le accarezzava i capelli, capiva quanto l’amasse. Laurence chinò il capo e poi la fece voltare. Lei chiuse gli occhi per l’intenso bagliore del sole che si rifletteva sulle onde, e poi sentì le sue labbra sul collo proprio dietro all’orecchio. Fu percorsa da un brivido. “Se solo potessi fissare questo momento nella mia mente per sempre”, pensò.
Camminarono un altro po’ e poi tornarono indietro, ma la loro tranquillità fu disturbata da un abbaio agitato. Gwen vide Spew che grattava la porta della rimessa delle barche.
«Scommetto che dentro c’è Bobbins che partorisce i suoi cuccioli», disse Laurence. Si voltò al suono di un remo che fendeva l’acqua, che attirò subito la sua attenzione. «Non ci posso credere. Cosa ci fa lui qui?»
«Sembra insieme a Verity. E a Christina».
Mormorò qualcosa a fior di labbra, e poi corse ad aiutare Verity e Christina a scendere dalla canoa a bilanciere. Mentre Verity si rassettava il vestito, Christina sorrideva.
«Ciao, caro», disse lei, afferrando il volto di Laurence con entrambe le mani e baciandolo sulle guance. Fece un passo indietro per far scorrere il palmo lungo il braccio nudo di lui, facendogli un lieve solletico con le dita.
Mentre Laurence arrossiva, Gwen si stizzì per quel gesto di eccessiva confidenza, ma si sforzò di sorridere. «Che bello vederti, Christina».
«Accidenti, stai benissimo. Devo ricordarmi di rimanere incinta prima o poi». Fece l’occhiolino a Laurence.
“Che faccia tosta”, pensò Gwen. Come osava flirtare con suo marito davanti a lei. Si avvicinò a lui, scostandogli i capelli dalla fronte come a marcare il territorio.
«Li ho incontrati durante la mia passeggiata», disse Verity. «Stava facendo uno schizzo di Christina con una delle isole alle spalle. La loro canoa era legata lì vicino, e così mi ha offerto un passaggio. Non posso resistere a una gita in canoa con un uomo affascinante».
Mr Ravasinghe sorrise, ma Laurence sembrava teso.
«Scusate l’intrusione», disse Savi Ravasinghe.
«Nessun problema». Gwen gli tese la mano. «Ma temo che il picnic sia finito».
Lui sorrise mentre la prendeva. «Ha un aspetto floridissimo, signora Hooper, se posso permettermi».
«Grazie. In effetti mi sento magnificamente. È bello rivederla. Com’è andato il suo viaggio a Londra? A volte penso che…».
«È ora di rientrare», disse Laurence, interrompendoli e facendo un brusco cenno a Savi prima di voltargli le spalle e tendere una mano a Christina. «Tu vuoi fare un salto da noi?».
Gwen si accigliò.
«Grazie, Laurence. Ovviamente sono molto tentata», disse lei, mandandogli un bacio con un soffio, «ma credo che questa volta tornerò con Savi».
Laurence non parlò.
«Veramente ho qualcosa per la signora Hooper», disse Savi. Infilò la mano in una cartellina di pelle marrone e tirò fuori un foglio di carta da disegno ruvido, protetto da carta velina. «È un po’ che me lo porto in giro ormai. È un semplice acquerello».
Gwen tese la mano per prenderlo e tolse la carta velina. «Oh, ma è bellissimo».
«Sono partito da quel rapido schizzo che le ho fatto a casa di Christina».
Il volto di Laurence si adombrò. Non parlò, semplicemente afferrò Gwen e si allontanò a grandi passi verso la riva da dove Pru li stava osservando. Quando la oltrepassarono e proseguirono, Gwen si voltò verso gli altri che sembravano mortificati. Un po’ più avanti esplose.
«Hai avuto un atteggiamento veramente fuori luogo. Era un regalo. Perché sei stato così maleducato? Almeno potevi essere cortese con lui!».
Laurence incrociò le braccia. «Non lo voglio qui».
«Ma qual è il problema? A me piace Savi, e quello era solo un disegno fatto in cinque minuti».
Lui rimase immobile, anche se poteva quasi sentirlo tremare.
«Non voglio che tu lo riveda».
Lei strinse gli occhi. «E tu e Christina?» lo rimbeccò lei, con la voce che si alzava pericolosamente.
«Io e lei cosa?»
«Subisci ancora il suo fascino. Non ti ho visto allontanare la sua mano. Non pensare che non veda come tenta di sedurti».
Lui sbuffò. «Stavamo parlando di Mr Ravasinghe, non di Christina».
«È per il colore della sua pelle, vero?»
«No, non essere ridicola. E ora basta. Andiamo».
«Decido io quando è ora di dire basta, tante grazie, e deciderò anche di chi essere amica».
Aprì le braccia e le tese una mano. «Non gridare, Gwen. Vuoi che Pru ci senta?»
«Non mi importa un accidente se ci sente. Comunque se ti fossi preso la briga di voltarti avresti visto che è molto a disagio». Le tremarono le labbra e protese il mento all’infuori. «E sempre se ti fossi preso la briga di guardare avresti visto che la tua santa sorella è tornata sulla barca con Mr Ravasinghe e Christina, e Mr Ravasinghe le sta controllando le caviglie per vedere se si sono attaccate delle sanguisughe. Evidentemente c’è qualcosa in lui che piace alle donne!».
Gwen smise di cercare di controllare la propria rabbia, se ne andò infuriata, per quanto la sua stazza glielo permettesse.
Stette male per giorni, ma non riparlarono più dell’episodio; Gwen perché non voleva arrabbiarsi di nuovo – il cuore le batteva all’impazzata dopo la discussione – e Laurence perché era un testardo. I silenzi tra loro diventarono sempre più lunghi e gli occhi le bruciavano per le lacrime non versate. Non si erano neanche chiesti scusa e Laurence continuava a tenere il muso. Lei non avrebbe voluto ferirlo così duramente con la sua sparata, ma era chiaro che l’aveva fatto, e il loro rapporto ne stava soffrendo; l’esatto opposto di ciò che voleva veramente Gwen. Era già abbastanza brutto che Verity fosse di nuovo lì, ci mancava solo che si sentisse così distante da Laurence. Desiderò toccargli la fossetta sul mento e farlo sorridere di nuovo, ma era troppo caparbia per farlo.
In una serata uggiosa che vide l’arrivo della migrazione degli uccellini pitta himalayani blu e gialli, il cielo viola dell’autunno monsonico si impossessò delle loro vite. Tutto sembrava impregnato di umidità. I cassetti non si aprivano e, se si aprivano, non si riusciva a richiuderli. Le porte all’improvviso non si incassavano più bene. Il terreno era infangato, gli insetti si moltiplicavano, e nelle poche occasioni in cui Gwen si avventurava in giardino, l’aria era bianca di foschia.
La pioggia si prolungò fino a dicembre, ma una volta cessata, Gwen aveva il ventre troppo ampio per allontanarsi da casa. Il dottor Partridge la visitò di nuovo e ripeté di nuovo che era molto probabile che fossero due gemelli, ma disse anche che non poteva esserne certo.
Dopo dieci settimane nella rimessa delle barche, i cuccioli – ne erano nati cinque – ottennero il permesso di scorrazzare in giro per la casa. Gwen, che non riusciva a vedersi i piedi a causa delle pancia, trascorreva le giornate terrorizzata dall’idea di calpestarli. O che una di quelle palle di pelo la facesse inciampare. Ma quando Laurence suggerì che magari avrebbero potuto vivere in una dependance esterna, lei scosse la testa. A quattro di loro era stata trovata una casa, e se ne sarebbero andati presto, ma il suo preferito, il piccoletto della cucciolata, non lo aveva reclamato ancora nessuno.
Un mattino rispose a una telefonata di Christina.
«Puoi dire a Laurence che ha lasciato dei documenti qui l’ultima volta che è venuto?» disse la donna, con voce spigliata.
«Dove?»
«A casa mia, ovviamente».
«Molto bene. C’è altro?»
«Digli di farmi un colpo di telefono, oppure può semplicemente passare e prenderseli».
Più tardi, quando Gwen gli disse che Christina aveva telefonato sembrò sorpreso.
«Cosa voleva?»
«Documenti. Dice che hai lasciato dei documenti a casa sua».
«Non sono stato a casa sua».
«Ha parlato dell’ultima volta che ci sei andato».
«Ma è stato quando ho firmato gli accordi sugli investimenti, mesi fa. Ho già tutto quello che mi serve».
Gwen si accigliò. O lui non stava dicendo la verità oppure Christina continuava a fare giochetti.
Quando arrivò gennaio, Gwen entrò nel nono mese. All’alba, in piedi sull’uscio di casa guardava verso la boscaglia dove un usignolo stava fischiettando. Le venne un brivido e si sentì sola. Si prospettava una giornata fredda, e gli alberi e il sottobosco scintillavano di brina.
«Assicurati di essere ben coperta stasera. Le temperature possono crollare, lo sai». Laurence le diede un bacio sulla guancia e fece per allontanarsi.
«Devi proprio andare a Colombo?», chiese lei trattenendolo per un braccio e desiderando qualcosa di più.
Il suo viso si addolcì mentre si voltava verso di lei. «Lo so che non è il momento migliore, ma a te mancano ancora un paio di settimane. Il mio agente vuole parlare di finanza».
«Ma, Laurence, non puoi mandare McGregor?»
«Mi dispiace, Gwen, davvero non ho altra scelta».
Gli lasciò andare il braccio e abbassò lo sguardo, lottando per ricacciare indietro le lacrime.
Lui le inclinò il mento e la costrinse a guardarlo. «Ehi, starò via soltanto due o tre giorni. E non rimarrai sola. Verity si occuperà di te».
Gwen curvò le spalle mentre lui saliva in macchina, alzava il finestrino e metteva in moto. L’auto tossì un paio di volte, un garzone mise in moto il motore con la manovella, e lei per un istante sperò che non partisse. Poi però si accese e Laurence le fece un cenno con la mano mentre le passava davanti, rombando su per la collina.
Mentre la macchina scompariva dalla sua vista, Gwen si asciugò le lacrime che continuavano a scendere. Le cose non si erano ancora risolte da quando avevano discusso il giorno in cui Mr Ravasinghe era apparso con l’acquerello, e ancora un’ombra rimaneva tra loro. Era stato una sorta di momento cruciale. Si erano trattati con gentilezza, ma lui era rimasto un po’ distaccato e, sebbene condividessero il letto, a lui non andava di fare l’amore. Diceva che era per il bene dei bambini, ma a lei mancava la loro intimità e si sentiva molto sola.
Un paio di settimane prima che partisse avevano fatto l’amore, ma solo una volta. Sapeva qual era l’unico modo per smuoverlo e una notte, mentre lui era seduto sul bordo del letto, l’aveva baciato delicatamente alla base del collo, mentre gli accarezzava le spalle e faceva scorrere le dita sulla sua schiena. Poi si era messa a letto dandogli le spalle. Lui si era raggomitolato contro di lei, che aveva potuto avvertire quanto la desiderasse.
«Non credo che dovremmo», disse lei.
«Potrebbe esserci un modo».
«Oh?».
Lui la aiutò a mettersi sulle ginocchia e ad appoggiare le mani sul cuscino per reggere il resto del suo peso.
«Dimmi se ti fa male», disse mentre si inginocchiava dietro di lei.
Era ancora stupefatta da quello che succedeva quando stavamo insieme, ma in quel momento lui era stato così attento che le sensazioni che le fece provare erano ancora più intense. Forse era la gravidanza ad averla fatta accedere a un altro livello di femminilità. Qualunque cosa fosse, quando fu tutto finito lei si addormentò velocemente e dormì molto di più dei giorni precedenti. Dopodiché le cose tra loro andarono un po’ meglio, anche se non del tutto, e quando lei gli chiedeva cosa lo turbasse, lui le rispondeva che andava tutto bene. Sperava davvero che Christina non c’entrasse niente.
Ora che se n’era andato, Gwen ne sentì la mancanza e desiderò essersi sforzata di più. Fece un giro attorno alla casa per vedere il lago. Era quasi immobile, di un viola scuro sulla riva più vicina, con un’ampia venatura argentata nel mezzo. Il lago le risollevava sempre l’animo. Ascoltò il rumore regolare di un picchio per un paio di minuti e alzò lo sguardo mentre un’aquila volava sopra la casa.
«Riuscite a sentirli, piccolini miei?» disse, e si mise una mano sulla pancia. Poi rientrò velocemente in casa per scaldarsi vicino al caminetto. Aveva in mente di andare avanti con il suo lavoro di ricamo, ma si sentiva assonnata; cadde nel torpore di quel dormiveglia seducente che lascia più stanchi di prima. Si era resa vagamente conto che Naveena era entrata e uscita in punta di piedi, e che il maggiordomo aveva portato il tè e i biscotti, ma non riusciva a destarsi per prendere la tazza. Fu soltanto quando Verity entrò e tossì che Gwen si riebbe.
«Oh, cara, sei sveglia».
Gwen sbatté le palpebre.
«Senti, mi dispiace davvero tantissimo, ma una vecchia amica dà una festa a Nuwara Eliya stasera. Starò via soltanto per una notte. Tornerò domani, o al massimo dopodomani, te lo prometto. Starai bene? Mi sono persa così tante cose quest’anno».
Gwen sbadigliò. «Ma certo, vai pure. C’è Naveena e ho il numero di telefono del dottor Partridge a Hatton. Vai e divertiti».
«Porto Spew a fare una passeggiata al lago e poi vado. Ti saluto ora». Si avvicinò e baciò Gwen sulla guancia. «Se vuoi posso approfittare del viaggio per portare i cuccioli nelle loro nuove case».
Gwen la ringraziò e la guardò uscire dalla stanza. Era vero, per restare a casa a farle compagnia Verity era mancata a diversi balli durante quella stagione. Era andata al ballo di Capodanno al Grand a Nuwara, ma nient’altro. Di norma ci sarebbero andati tutti, disse Laurence, ma Gwen era in uno stadio troppo avanzato della gravidanza. Era giusto che avesse l’occasione di rilassarsi un po’ prima dell’arrivo dei bambini. E poi come avrebbe trovato un marito se non usciva mai?
Gwen si sentì grossa e sgraziata. Era complicato alzarsi dalla sedia ora, ma si sforzò e andò alla finestra. La partenza di Laurence e il clima più freddo le avevano fatto venire nostalgia di casa. Non soltanto le mancavano i genitori, ma anche Fran, nonostante le frequenti lettere la tenessero aggiornata. Fran aveva menzionato a malapena Savi nella sua corrispondenza, ma aveva accennato a una nuova relazione romantica, e Gwen sperava sinceramente che sua cugina avesse trovato qualcuno che l’amasse.
Guardò fuori verso il giardino. Era tutto immobile e, sebbene fosse sola, le sembrava che tutta la terra fosse in attesa insieme a lei. Individuò le grandi corna di un cervo che si muoveva tra gli alberi. Doveva essere sceso dalle foreste nebulose dell’altopiano di Horton Plains ed essersi smarrito. Anche Laurence le aveva promesso che l’avrebbe portata a Horton Plains, una foresta avvolta in una nebbia lilla che rimaneva sospesa tra nodosi alberi dalle cime arrotondate. A Gwen sembrava un posto magico e le ricordava l’affresco di Caroline nella stanza del bebè. E con quel pensiero decise di andare a controllare che fosse tutto pronto.