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Al porto di Liverpool la gente si muoveva in gruppi irrequieti, la giornata grigia in meraviglioso contrasto con le nuvole scure e le tempeste tropicali della Malesia. Uomini che odoravano di olio per macchinari e indossavano berretti e unte tute blu lottavano con pesanti funi e catene. Uno strato di fuliggine ricopriva il terreno, eppure, dietro la confusione e lo sporco, c’era la tranquillità tipica degli inglesi. Lydia osava appena pensare alle figlie e ai tre anni trascorsi dall’ultima volta che le aveva viste. Ricordava come un sogno il periodo in cui le aveva credute morte.

Era sorpresa che non fosse arrivato un altro telegramma da Miss Cooper-Montbéliard. Aveva contato sul fatto di avere un indirizzo presso cui recarsi, ma aveva deciso di provare comunque dai genitori di Alec. Tenendo stretta la mano di Maz, provò un brivido pregustando i prossimi avvenimenti e immaginò l’ondulata campagna verde che la aspettava. Alcune persone la fissarono quando, il volto piegato all’insù, le braccia allargate e i palmi rivolti verso l’alto, lasciò che l’umidità le si posasse sulla pelle.

 

Il taxi procedeva piano. Aveva dato istruzioni all’autista di parcheggiare nelle vicinanze e gli aveva chiesto di aspettarla.

Lydia diede un colpetto sulla testolina del piccolo. «Maz, rimani in auto. Non ci metterò molto».

Da lontano, la casa dei genitori di Alec sembrava ancora esattamente la stessa. Da vicino, però, vide che il giardino era abbandonato. C’era qualcosa che non andava. Il padre di Alec non l’avrebbe mai lasciato deteriorarsi così. Notò un’insegna, “In vendita”, caduta tra l’erba incolta vicino alla siepe. Il cuore le sprofondò.

Si guardò in giro. Due porte più in là, un vicino stava rastrellando il prato. Gli si avvicinò e tossicchiò. L’uomo alzò lo sguardo.

«Mi dispiace disturbarla. Sto cercando Eric Cartwright e la moglie. Non è che lei sa dirmi dove sono?».

L’uomo si tirò su e si sfregò la schiena, quindi alzò una mano a coppa dietro l’orecchio. «Che c’è, cara?»

«Sto cercando Eric Cartwright», ripeté a voce più alta.

«Oh, no, sono andati via», rispose lui scuotendo il capo. «Mi dispiace, cara». Afferrato il rastrello, tornò lentamente verso la porta del garage.

«Sa dove sono andati?», gli gridò, ma l’uomo non la sentì e chiuse la porta.

 

Al banco del telegrafo, nell’ufficio postale, Lydia parlò con una donna dai capelli grigi dietro una griglia metallica. Quando la donna fissò apertamente Maz, Lydia gli strinse la mano ancora più forte e fece quello che sperava fosse un sorriso convincente.

«Ho ricevuto un telegramma da una certa Miss Cooper-Montbéliard. L’indirizzo era quello di una casella postale. Le ho risposto e mi aspettavo un’altra replica, ma non l’ho ricevuta».

«Qual è la sua casella postale?»

«Oh, no, io non ho una casella postale».

«Ma mi ha appena detto che aspettava una risposta».

«Mi scusi, mi sono spiegata male. Quello che sto cercando è l’indirizzo di casa della persona che mi ha spedito il telegramma da una casella postale». Lydia frugò nella borsa, pescando un foglio di carta. «Guardi, il numero è questo. Me lo sono segnato».

«Oh, no. Non diamo mai gli indirizzi. È proprio questo il senso delle caselle postali».

«Ma è davvero importante».

La sua interlocutrice si irritò. «Lo è sempre, tesoro. Ora, se è tutto…».

Lydia scosse il capo. Non aveva fatto tutta quella strada per farsi snobbare. «No, non è tutto. Guardi, il numero è questo. Può perlomeno controllare se mi è stato spedito un altro telegramma? Mrs Lydia Cartwright».

«Be’, questo posso farlo». Facendo una pausa, la donna guardò il numero e si accigliò.

«È sicura che sia il numero giusto?».

Lydia annuì.

«Per caso ha il telegramma originale?».

Lydia tornò a frugare nella borsa, sempre più agitata. Oh cielo, non è che l’aveva lasciato nell’appartamento di Adil? Ricordava di essersi segnata il numero su un pezzo di carta volante, di aver lasciato il telegramma in un posto sicuro per non perderlo e di aver portato all’ufficio del telegrafo un foglio. Lo stesso che aveva adesso.

«Mi dispiace, cara. Questo non è uno dei nostri numeri. Copriamo un’area molto grande, ma nessuno dei nostri inizia con 75. Le auguro buona giornata».

Lydia girò sui tacchi e si sforzò di calmarsi, lambiccandosi il cervello per cercare di ricordare. Doveva averlo portato. Rammentò di aver preparato una valigia per sé e una per Maz, ma proprio non riusciva a ricordare di aver ripreso il telegramma, o di averlo fatto scivolare nella borsetta. Come poteva esser stata così sbadata? Nella sua fretta doveva aver commesso un errore nel segnare il numero e poi, distratta per l’agitazione, si era lasciata dietro il telegramma vero e proprio.

Era chiaro che Miss Cooper-Montbéliard non avrebbe mai potuto ricevere la sua risposta.

Si fermò sulla strada insieme a Maz, il morale sotto i tacchi. E adesso? Non stava andando per niente come aveva programmato e la paura che, dopo tutto, non sarebbe riuscita a trovare le bambine le provocò un tale dolore al petto che quasi scordò di respirare.

«Ho freddo, Mem», protestò Maz battendo i denti.

Lydia lo avvolse sotto il suo stesso cappotto a mantella, di mohair. «Povero piccolo. Mi ero scordata del freddo. Dobbiamo comprarti un cappotto più pesante».

 

Una volta acquistato un bel montgomery pesante per Maz, sedettero in una caffetteria, al calduccio. Il bambino la guardava, pieno di interrogativi.

«Dove andiamo adesso?»

«Ci sto pensando».

Maz fissò i passanti attraverso i vetri appannati. Infagottati in sciarponi e cappelli di lana, non avrebbero potuto essere più diversi dalle persone a cui era abituato.

«Fa sempre così freddo?»

«D’estate no».

«D’estate è caldo come in Malesia?»

«No, tesoro».

Lydia sorrise, comprendendo di colpo cosa doveva fare. Ovvio: l’agente immobiliare. Balzando in piedi, tese la mano al bambino.

 

Maz affondò le mani nelle tasche del giubbone blu scuro e sedette nel taxi, a pochi metri dalla casa.

«Scusami, tesoro», gli disse Lydia. «Ci metto solo un minuto».

Erano tornati a casa dei genitori di Alec. Il vento ora soffiava con forza sull’erba alta. Lydia trovò una matita e un pezzo di carta nella borsa, aprì il cancello e si chinò sull’insegna caduta presso la siepe. Copiò con grande attenzione il nome, l’indirizzo e il numero di telefono dell’agente immobiliare, senza accorgersi che un’auto stava accostando.

«Questo dannato maltempo. Le conviene martellarla come si deve, questa volta. Per forza non abbiamo avuto fortuna!», urlò un uomo.

Lydia riconobbe immediatamente la voce. Si raddrizzò, si asciugò le mani sudate sul cappotto e si voltò ad affrontarlo.

L’altro la fissò e fece un passo indietro. «Lydia!».

Scese un lungo silenzio.

Di tutti i sentimenti che avrebbe potuto provare, Lydia si sorprese del guizzo di compassione. Alec aveva un’aria esausta, come se la vita l’avesse scosso e l’avesse svuotato. Con indosso un cappotto scuro, i capelli corti diradati, gli occhi cerchiati da ombre bluastre, sembrava molto più vecchio. Nell’auto, una ragazzina guardava fuori dal finestrino. Il cuore di Lydia si mise a battere precipitosamente e gli occhi le si sgranarono mentre la bambina scendeva dalla Morris Oxford e si fermava accanto alla macchina.

Quella non era la sua piccola, minuscola biondina, con i capelli con la scriminatura e una molletta a fiocco sul lato. Questa aveva i capelli castano chiaro raccolti in un’unica lunga treccia e indossava gli occhiali.

«Fleur?».

Lydia cercò di dire altro, ma non ci riuscì, un nodo che le si formava in gola. Il momento si protrasse. Lydia aprì il cancello e iniziò a camminare, incapace di vedere bene attraverso le lacrime. Si fermò. La bambina non si era mossa. Lydia tese le braccia.

«Fleur, sono la mamma. Non mi riconosci?».

Lydia si asciugò le lacrime. Una donna alta, bionda, con un completo grigio, era ferma dall’altra parte dell’auto. Avanzando, sussurrò qualcosa nell’orecchio di Fleur, le diede un colpetto sulla spalla e la spinse leggermente verso di lei. Fleur fece qualche passo avanti, come una bambola a molla. Anche Lydia si mosse. Si fissarono, Fleur zitta e pallida. Quando si chinò davanti alla figlia, la gola di Lydia era completamente chiusa. Non riusciva a parlare, faticava anche a respirare.

Annusò il profumo di sapone dei capelli di Fleur, alzò una mano, quasi li toccò.

Fleur si voltò verso la donna bionda in cerca di conferma. L’altra annuì, ma la bambina non si mosse. Confusa, anche Lydia guardò la donna, che annuì di nuovo.

Lydia e la figlia rimasero a pochi centimetri di distanza, senza toccarsi. Poi, molto lentamente, Fleur si inclinò appena verso la madre. Cogliendo l’imbeccata, Lydia le accarezzò dolcemente i capelli.

«Ma guardati. Che capelli lunghi. Sono bellissimi».

Avvolse le braccia intorno alla figlia. Aveva immaginato quel momento un’infinità di volte, abbracciato le figlie fantasma nei suoi sogni, scrutato i loro occhi in cerca di luce. Ma questo era vero. Sua figlia, più preziosa della vita stessa, le era stata restituita.

«Be’, non possiamo starcene qui fuori al freddo. Sarà meglio che entri», le interruppe Alec.

Lydia rimase immobile.

«Lydia?».

Lei afferrò la mano di Fleur, si alzò e lo fissò dritto negli occhi. «Dove sono andati i tuoi genitori?»

«Non sono andati da nessuna parte».

«Il vicino ha detto che erano andati via».

«Mi dispiace tantissimo. Eric è morto e la madre di Alec si trova in una casa di riposo», disse la bionda facendo un passo avanti e porgendole la mano. «Io sono Veronica».

Lydia le strinse la mano ma erano le figlie a dominarle i pensieri e scrutò la strada.

«Dov’è Emma?».

Alec accennò a un punto a una cinquantina di metri da loro. Una ragazza alta stava scendendo da una motocicletta. Lydia la guardò togliersi il casco e scuotere i capelli, quindi alzarsi sulle punte per baciare sulla guancia il ragazzo che guidava.

«Parcheggiano lontano per non farsi vedere, ma ovviamente noi lo sappiamo», spiegò Veronica.

La ragazza si voltò e Lydia la vide immobilizzarsi. Una ragazza alta, in abiti moderni. Pantaloni alla pinocchietto, nonostante il freddo, stivaletti e capelli corti. Lydia baciò Fleur sulla fronte mentre Veronica cingeva la piccola con un braccio confortante e corse verso la ragazza alta. Scivolò sull’erba. Si bloccò. La ragazza non si era spostata. Quella ragazza così grande era sua figlia? Quella che si vestiva da pagliaccio e si precipitava fuori da scuola urlando «Mammina»?

Emma parve barcollare.

Lydia le si avvicinò e la tenne per le spalle.

Il mento di Emma tremò. «Mamma?».

Lydia studiò il volto adulto di Emma, vide gli occhi turchesi riempirsi di lacrime.

«Oh, mia cara, avevo tanta paura di non riuscire a ritrovarvi».

«Ti avevo lasciato una lettera. Ti avevo detto dove stavamo andando».

Senza fiato, Lydia voltò il capo a guardare Alec ma continuò a tenere la figlia per le spalle. Alec abbassò lo sguardo.

«Quando sono tornata a casa, l’edificio era vuoto e voi eravate spariti. Non ho trovato nessuna lettera». Si fermò ricacciando indietro le lacrime, vide la profondità del dolore negli occhi della figlia.

Aveva l’impressione che la stessero guardando tutti. Non solo Alec, Fleur e Veronica, ma il mondo intero.

«Oh, mamma», sussurrò Emma.

Lydia la strinse tra le braccia, sentì il cuore della figlia battere contro il proprio. Mai in tutta la vita avrebbe potuto immaginare qualcosa di così perfetto. Em iniziò a singhiozzare e lei le asciugò le lacrime con le dita.

Quando si separarono, si fissarono a vicenda, osservando i piccoli cambiamenti, una ruga qui, un mutamento di profilo, un punto arrotondato, uno smagrito.

Emma fece un passo indietro. «Hai più capelli grigi. Sei diversa».

«Anche tu».

Emma avvampò e cercò di parlare, scossa da un nuovo accesso di singhiozzi. Lydia le diede un colpetto sulla schiena, guardò il suo petto alzarsi e abbassarsi a ogni respiro. Fleur si unì a loro e le due figlie si fermarono fianco a fianco. Lydia le fissò, così orgogliosa da temere che le scoppiasse il cuore.

«Siete bellissime».

Fleur sorrise dolcemente ed Emma arrossì.

Alec e Veronica erano fermi poco più in là.

«È simpatica», sussurrò piano Fleur a Lydia. «L’ha perdonato, anche se papà voleva fare di lei una bigama».

“Ah, lui voleva proprio!”, pensò Lydia, quindi mosse qualche passo verso il marito tenendo le figlie per le mani.

«Penso che sarà meglio entrare», ripeté lui.

«Sì, per favore, venga dentro», aggiunse Veronica. «Preparerò il tè e potrete parlare in privato».

Per un attimo nessuno si mosse, quindi il ragazzo che era arrivato con Emma iniziò a indietreggiare. «È una faccenda di famiglia. Ci vediamo dopo, Em».

«Può venire anche Billy, vero?», chiese Emma.

«Forse è meglio di no, cara. Abbiamo alcune cose di cui discutere», disse Lydia. «Perché non inizi a entrare con Veronica e Fleur mentre io parlo un attimo con vostro padre?».

Fleur scoccò un’occhiata interrogativa a Veronica, che sorrise in segno d’approvazione.

Mentre Fleur e Veronica entravano dal cancello ed Emma salutava Billy con un bacio, Lydia e Alec allacciarono gli sguardi.

Lontano dagli altri, l’uomo permise ai propri lineamenti di contorcersi. «Ti amavo, Lydia. Tutte quelle sciocchezze su un’amica malata. Mi avevi semplicemente lasciato, dannazione!».

«Avevo scelto te».

Lui la fissò. «Hai smesso di scegliere me tanto tempo fa. Sono le ragazze, quelle che hai scelto».

Lydia gli studiò il volto, vide un taglio da rasoio sul mento, un punto logoro sul colletto della camicia. Non più tanto perfettino, ora. Ma, quando lo guardò negli occhi, fu nella speranza di ritrovare una traccia dell’uomo che un tempo aveva amato.

Nel silenzio esitante che seguì, Alec incrociò le braccia sul petto.

Congedatasi da Billy, Emma si diresse verso Fleur e Veronica, già sulla porta di casa. In quel mentre Lydia sentì dei passi e una vocina che la chiamava.

«Mrs Lydia, Mem?».

Voltandosi vide Maz correre verso di lei.

«Oh mio Dio, mi ero dimenticata». Afferrando la mano del piccolo la strinse e poi si voltò verso le figlie. «Bambine, per favore, venite qui un attimo prima di entrare».

Fleur tornò indietro con Emma.

Lydia diede un colpetto sulla schiena di Maznan. «Maz, saluta le tue sorellastre».

Emma sbiancò. Lydia scosse il capo. «No, tesoro. Non è mio figlio». Lydia guardò Alec, che stava fissando Maz.

Seguì un lungo silenzio.

Lydia notò che il vento era tornato ad alzarsi. Lo sentiva frusciare tra l’erba. Le tornarono in mente gli ultimi anni. Il dolore. L’angoscia che Alec le aveva causato. Non c’era niente che suo marito potesse fare per rimediare a quel che aveva fatto. Niente, tranne forse quell’unica cosa.

Alec la fissò per un momento, poi, sentendo Veronica trattenere il respiro, si voltò verso di lei e abbozzò un sorriso. Veronica scosse il capo e indietreggiò. Alec guardò le ragazze, ferme in attesa, e alla fine tornò a girarsi verso Maznan Chang.

Il bambino fece un sorriso, riconoscendolo.

Tutti lo guardarono mentre si chinava a prenderlo in braccio.

Il piccolo lo abbracciò e rivolse a Lydia un sorriso radioso.

«Mem, la mamma mi ha detto di non dirlo mai a nessuno. Questo è il mio papà».

Fleur rimase senza fiato ed Emma le mise un braccio sulla spalla a confortarla. Veronica aprì la porta.

«Penso che abbiamo sentito abbastanza», osservò con voce dura. «Suggerisco di entrare tutti quanti. Non fingerò di capire questa faccenda, ma è chiaro che mi aspetto diverse spiegazioni».

La Separazione
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