30
Fuori dalle alte mura grigie della casa di riposo, il gelido vento di gennaio mi pizzicò le guance. A quasi quattordici anni, papà aveva detto che ero abbastanza grande per prendere l’autobus e andare a trovare la nonna da sola. Nel mio sogno, la notte precedente, c’eravamo io e Fleur, da piccole, che giocavamo a nascondino nel parco in Malacca. Sorrisi al ricordo dei giorni in cui chiamavo mia sorella Verme farinoso e la mamma incedeva impettita fingendo di non sapere dove fossimo e chiamandoci con voce artefatta. «Ma chissà dove saranno andate quelle bambine? Sono praticamente certa che fossero qui un minuto fa», diceva. E noi ci stringevamo l’una all’altra pigolando eccitate.
Sbirciai attraverso una grossa finestra il cui telaio si stava scrostando. Sperai che non fosse un segnale d’avvertimento… L’interno era come me l’aspettavo, sedie consunte piazzate sui lati della stanza come piccole isole solitarie.
Venni introdotta in una stanza prospiciente il giardino posteriore, le finestre drappeggiate con un tessuto sottile a fiori, e lì sedetti rigidamente su una sedia di legno dallo schienale alto. Osservai le lancette di un orologio da muro muoversi lentamente. Che cosa terribile vivere circondati dall’odore stantio della vecchiaia, guardando la propria vita ticchettare via senza altro da mangiare che semolino.
Quando una giovane inserviente dalle guance rosee portò dentro la nonna, battei le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. La nonna era sempre stata piccola, ma mi faceva male vederla così debole. Le spalle curve e lo sguardo abbassato, sembrava che non si fidasse dei propri piedi. E le avevano fatto un taglio di capelli squadrato, con una strana frangetta sghemba che sembrava fuori posto.
Lei alzò lo sguardo e gli occhi blu intenso si illuminarono. «Oh, Emma, paperella. Sei come un raggio di sole». Si portò le dita tremanti a una vena che le pulsava sul collo.
Io la abbracciai con cautela e la condussi verso un divano ricoperto di nylon marrone. L’inserviente promise di portare tè e biscotti. Mentre la nonna si adagiava contro i cuscini mi sentii tesa. La speranza che potesse aiutarmi si stava affievolendo.
«È l’anca, cara. Non sono più tanto sicura sulle gambe, ora. Ma non stiamo a pensarci. Per quanto ti fermerai a casa?».
Perlomeno si ricordava che non vivevo a casa. «Non molto, nonna. Stanno finendo le vacanze di Natale. Papà ultimamente è venuto a trovarti?»
«Temo proprio di non riuscire a ricordarmelo. Penso che sia venuto con quella donna».
«Veronica?»
«Proprio lei. Povera donna. Voleva una famiglia, sai? Sono venuti con suo fratello. Un uomo sgradevole».
Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo, il mio crimine che mi inondava la mente.
«Non preoccuparti, cara, non ti biasimo per avergli conficcato un coltello nel collo. Se solo avessi potuto, avrei fatto lo stesso».
«Nonna! Sei tremenda. E comunque era una freccetta». Sghignazzammo entrambe e la tensione svanì.
La nonna mi diede dei colpetti affettuosi sul ginocchio e fece per lisciare i lacci del grembiule ma era solo un gesto dettato dall’abitudine, dato che ora non lo indossava. «È andato di nuovo all’estero. Quell’uomo non mi è mai piaciuto».
Non avendo ancora avuto l’occasione di parlare con Veronica, non avevo sentito le notizie su Mr Oliver. Mi lasciai sfuggire un respiro profondo e non potei nascondere il mio enorme sollievo.
Quando arrivò il tè, la nonna sospirò con intenzione. Era decisamente troppo caldo per me, ma lei lo trangugiò rumorosamente. Le piaceva il tè che bruciava, proprio come a papà. La guardai sgranocchiare i biscotti Digestive. Diverse briciole le caddero sul petto e le cosparsero la gonna ma, disordine a parte, sembrava che stesse bene, la sua memoria non così pessima.
«Sempre Digestive, anche se quelli che piacciono a me sono i biscotti farciti», borbottò, quindi si fermò come se stesse cercando di recuperare un ricordo. «Avevo qualcosa da dirti, paperella».
Alzai lo sguardo.
«Sì. Qualcosa», ribadì lei.
Il pensiero corse dritto a mia madre. Poteva forse riguardare quel che le era successo? Ma la nonna si accigliò e scosse la testa. In ogni caso, ero praticamente sicura che non ne sapesse nulla. Nessuno lo sapeva.
«No, è andato».
«Non preoccuparti, nonna: se è importante, tornerà».
«Era proprio quello che diceva sempre la tua cara mamma. Ma temo di non poter più contare sul fatto che le cose tornino. Perlomeno, non quando mi servirebbero».
La nonna mi appoggiò sul braccio una mano piena di vene in rilievo e mi studiò il volto. «Come va in quel posto, tesoro? Dico come va davvero. A scuola».
Io scrollai le spalle nel tentativo di sembrare indifferente e parlai con voce disinvolta. «Va bene. Ma, nonna, volevo chiederti una cosa. Riguardo a mio papà e a chi paga le mie rette».
«Oh, paperella…». Le labbra della nonna tremarono mentre mi guardava ma poi, proprio quando pensavo che stesse per dirmelo, si girò e guardò fuori dalla finestra con occhi assenti. «Il giardino oggi è un po’ grigio, ma presto tornerà in vita».
Vidi una lacrima scenderle lungo la guancia sinistra. «Mi manca tuo nonno», disse. «Penso a lui ogni giorno. Stupido vecchio burbero».
Le accarezzai la mano. «Non era burbero, nonna. Solo con papà».
«Si sono presi per il verso sbagliato, paperella. L’hanno sempre fatto. E che quella canaglia mi abbia lasciata quando tuo papà era solo un bambino non ha aiutato».
«Davvero? Non lo sapevo. È stato questo a rendere burbero papà?».
Lei torse le labbra. «Adesso è tutto superato».
«L’hai perdonato?»
«Naturalmente. È così che si fa con le persone a cui si vuole bene».
«Papà prima era burbero?»
«Prima quando, cara?»
«Da giovane. Quando era un pilota».
«Pilota, paperella? Oh, no. Non lo è mai stato».
«Durante la guerra, nonna. Me l’ha detto la mamma».
Lei corrugò la fronte. «Tuo papà non è mai stato un pilota. Controllore di volo, ecco cosa. E io ne ero parecchio orgogliosa».
Io non parlai. In fondo al giardino, il vento scuoteva i rami. Le spalle della nonna si incurvarono e il suo sguardo triste sul volto esausto mi fece davvero male. Impossibile sapere se era vero o se di nuovo la sua memoria la ingannava. Povera nonna. Era come una foglia secca, ancora appesa ma sul punto di venire strappata via.
«Allora, cos’è che volevi sapere?», mi domandò.
«Le rette?», provai un’altra volta.
Un raggio di sole si riversò sul pavimento e uno sguardo cauto si impossessò dei suoi occhi.
«Guarda», disse la nonna strizzandoli mentre la luce le cadeva sul viso. «Si sta schiarendo. Però sta’ attenta, copriti bene, farà ancora un po’ frescolino», aggiunse scuotendo il capo. Ero sicura che aveva capito, ma non sarebbe stato giusto forzarla.