47

 

 

 

 

Lydia iniziò la giornata successiva piena di speranza, pur essendo stanca per la mancanza di sonno. Una volta che Adil aveva espresso il dubbio che le figlie non fossero più in Malesia, Lydia non aveva più saputo cosa pensare. Lui era certo che avrebbero sentito qualcosa; lei non ne era così sicura. Osservò le navi mercantili caricare da magazzini enormi: gomma, legname, seta. E, più avanti nel mare, le lontane navi di linea scivolavano come grosse balene bianche. Una di quelle si era forse portata via le sue bambine? Mentre si dirigeva verso l’ufficio di navigazione sul molo gremito, Lydia immaginò la loro vita su una di quelle navi. L’eccitazione, il brivido gelido quando di notte le luci guizzavano sull’acqua, e l’odore di pesce dell’oceano che ti seguiva mentre l’acqua sferzava rumorosamente le fiancate della nave.

Ma all’ufficio non c’era alcuna registrazione che dicesse che Alec era salito a bordo con due bambine. Il sudore le si gelò sulla pelle. Nessun viaggio in mare per l’Australia, il Borneo, l’Inghilterra o qualunque altro posto. Lydia scese lentamente lungo il molo trattenendo le lacrime. Nemmeno le basse imbarcazioni di Sumatra che dondolavano nelle onde orlate di bianco riuscirono a suscitarle un sorriso.

Lydia si diresse negli uffici del «The Straits Times», dove un giornalista la aspettava per intervistarla per la pagina femminile. I telefoni squillavano, le macchine per scrivere ticchettavano e la radio era troppo alta. Un gruppo di fumatori accaniti con le dita macchiate di nicotina espresse la propria ammirazione con un fischio e le fissò apertamente le gambe. Lydia sentì i loro sguardi sulla schiena ma tenne la testa alta mentre la speranza si riaffacciava timidamente. Era una congettura un po’ azzardata, ma se Adil si fosse sbagliato e le ragazze fossero state ancora in Malesia quell’articolo poteva servire a risvegliare la memoria di qualcuno. «Una donna convinta che le sue bambine siano morte scopre che sono vive ma non sa dove si trovano: le nostre lettrici adoreranno questa storia», le disse il giornalista accendendosi un’altra sigaretta.

Poi Lydia si fermò a spedire un telegramma. Rimase in coda mezz’ora sentendo il familiare pizzicore sul collo e sul petto. Alec aveva sempre sostenuto che, qualunque cosa fosse accaduta, niente l’avrebbe indotto a tornare in Inghilterra; eppure, anche se non era in contatto con i suoi genitori, era possibile che sapessero dove si trovava? Il padre di Alec si rifiutava categoricamente di farsi installare il telefono, ma comunque Lydia controllò la guida internazionale, giusto per sicurezza. In effetti no, non c’era, quindi si trattava di inviare un telegramma o una lettera, e un telegramma sarebbe stato più veloce. Pensò di indirizzarlo ai genitori del marito ma, con un’intuizione improvvisa, decise di indirizzarlo a Emma, pur se a casa dei nonni. Il cuore le fece un balzo al pensiero di Emma che lo leggeva.

 

L’idea di recarsi al bacino idrico per vedere il mare diventare zaffiro fu di Adil. Aveva appena finito di chiamare la polizia inglese e quella australiana. Era una serata umida e Lydia si deterse ripetutamente il sudore dalla fronte mentre si dirigevano verso l’automobile.

«Allora, cosa ti hanno detto esattamente?», gli chiese.

«Hanno detto che, dal momento che non ci sono prove che Alec si trovasse nel loro Paese, non può essere considerato disperso».

«E avviare un’indagine?»

«Possono indagare solo su un crimine commesso nel loro Paese. La polizia britannica perlomeno ha suggerito di scrivere all’ufficio dell’erario o al ministero delle Pensioni».

«Lo farò non appena torniamo, in modo che parta con la prima posta di domani mattina».

«Se preferisci, posso tornare indietro».

Lydia esitò. «Adesso o tra qualche ora non fa molta differenza. Andiamo».

«Non staremo via a lungo. Ho solo pensato che potesse farti bene».

«Lo so». Lydia rifletté. «Potrei andare direttamente in Inghilterra. Provare a casa dei genitori di Alec. Dopo tutto tu non pensi che siano in Malesia».

«Io no, ma hai detto tu stessa che non sarebbe mai tornato lì. È inutile viaggiare a vuoto per mezzo mondo. Costerebbe una fortuna e potrebbero essere ovunque. Vediamo se riusciamo a scoprire qualcosa di concreto, prima».

«Magari un investigatore privato?».

Adil fece una smorfia. «Nella mia esperienza, sono una massa di disonesti. Si prendono tutti i tuoi soldi e ti lasciano in braghe di tela. Ma potrebbe valere la pena contattare la Somerset House, in Inghilterra. Se si è risposato, lì ci deve essere una copia del certificato di matrimonio».

«Che ne dici dell’Interpol?».

Adil sorrise. «Improbabile. Se vuoi posso scrivere al segretariato generale dell’Interpol, ma si occupano soprattutto di criminalità organizzata».

Lydia sospirò e, mentre procedevano sulla strada a scorrimento veloce, si perse nel ritmo dell’auto, componendo lettere nella testa.

Venne strappata dai propri pensieri quando Adil deviò dalla via principale per imboccare una serpeggiante strada di montagna. Parcheggiò vicino alla cima. Il vento spirava fresco dal mare e nella fragrante aria della sera seguirono quel che restava di un sentiero soffocato dalle felci. L’uomo la aiutò a superare massi enormi e, quando la mano di lui toccò le sue, Lydia fu consapevole di qualcosa che non poteva spiegare, una sensazione di destino. I cinesi la chiamavano yuanfen, una sorta di forza vincolante. Lydia non poteva ancora dire se fossero destinati a stare insieme, ma di sicuro lui l’aveva aiutata almeno a rendersi conto della propria forza. Una luce color malva filtrava tra le vette delle montagne gettando nel buio le vallate. Adil la guardò e sorrise. Crollata la facciata protettiva, l’uomo si stava aprendo e quel calore che Lydia aveva intuito per la prima volta quando avevano preso il treno insieme ora si manifestava apertamente.

«Guarda», le disse allontanandosi di un passo. «Laggiù: la casa dei Parrott».

«Sembra vicinissima».

«In linea d’aria sì, ma seguendo la strada è decisamente più lontana».

Procedettero superando vecchie cascate e piscine di roccia. Giunta in cima, Lydia guardò giù verso il fianco della collina. Iniziavano ad apparire minuscoli puntini luminosi, come una collana di lucine colorate tesa attraverso la valle. Alla fine della terraferma, a occidente, dove il cielo si tuffava nell’oceano, una striscia di lilla chiaro si dileguava in un’esplosione di arancio e oro. La donna girò sui tacchi, vide l’ampia superficie del bacino idrico diventare rossa ed emise un fischio basso, quindi tornò a voltarsi per vedere il cielo scomparire in fretta nell’oceano, solo i movimenti di minuscole imbarcazioni porpora a indicare il porto.

Adil guardò il cielo che si stava scurendo. «Meglio che torniamo. Il tempo sta peggiorando».

«Grazie per questo. È meraviglioso».

Un’espressione che Lydia non avrebbe saputo definire gli si allargò sul volto. Quando gli toccò la mano, la donna capì di averlo saputo fin dall’inizio, ma voleva che fosse lui a dirlo. Senza parlare, Adil le si mise di fronte, le abbassò le spalline dell’abito e le mise le mani sulle spalle. Lydia piegò il capo e si protese a toccargli il volto.

Tacevano entrambi.

«Forse questo non è il momento giusto», disse Adil, rimettendo le spalline al loro posto e tornando a guardare il cielo.

«Non sarebbe magnifico se, solo per una volta, la vita potesse non avere complicazioni?».

Lui rise. «Forse. Ma temo che ci annoieremmo tutti a morte».

«Dopo quel che ho passato mi accontenterei volentieri di una porzione di noia, grazie».

Adil sorrise, le prese la mano e insieme corsero all’auto, inciampando nei massi e ridendo mentre cercavano di battere la pioggia e il buio.

Quando giunsero a casa di Harriet, grosse gocce di pioggia stavano schizzando sul suolo. Si fermarono nel portico per evitare un rovescio, ma un grosso fico rampicante che cresceva sul muro in alto dell’edificio si era allargato sotto il tetto di vetro e gocciolava loro sui capelli e sui volti.

Quando il ragazzetto dai fianchi stretti di Harriet aprì, si accigliò e rivolse loro un’occhiata sospettosa. Adil lo convinse a farli entrare nel vasto atrio, ma il ragazzo rimase guardingo. Dopo qualche secondo si sentirono delle voci e Harriet apparve sulla soglia con indosso un kimono giallo acido. Il rossetto arancione le si era sparso sui denti ed era sbaffato sopra il labbro superiore. Lo sguardo della donna guizzò dall’uno all’altra. Le guance paffute le si imporporarono. Chiaramente non era felice di vederli. I rubini che aveva al collo scintillavano, quasi persi tra le pieghe di carne.

“È ubriaca o solo sfuggente?”, si chiese Lydia.

«Credo di averti già visto prima», commentò Harriet.

Adil annuì.

«Be’, sediamoci, per l’amor del cielo».

Mentre ne studiava il volto, Lydia pensò che Harriet era invecchiata parecchio dal loro precedente incontro. Le radici dei capelli erano bianche, le palpebre erano cadenti verso gli angoli e la donna aveva preso un ulteriore strato di grasso. Poteva essere stata la morte di George, oppure solo la tensione di continuare una logorante vita coloniale.

«Mi stai guardando in modo strano, tesoro. Non ti piace quello che vedi?». La voce di Harriet possedeva una durezza che prima Lydia non aveva sentito. Le rispose biascicando qualche parola senza senso.

«Eccoci qui», iniziò Adil guardando Harriet dritto negli occhi.

«Eccovi qui», lo interruppe Harriet. «Evitiamo i giri di parole. Immagino vogliate sapere la verità riguardo a George».

Adil rimase impassibile sul bordo della sedia, gli occhi risoluti.

Nella stanza scese un silenzio spinoso.

Harriet scoppiò in una risata innaturale. «Se solo George non fosse stato tentato di nuovo. Sei arrivato vicinissimo alla verità, Adil, ma quando sono arrivati i tuoi agenti avevamo già distrutto tutte le prove».

«La frode?», chiese Lydia.

«Traffico d’armi, mia cara. Alec lo sapeva, naturalmente, in una certa misura ne era parte. George si è rifiutato di dirmi fino a che punto. Ma è per questo che George l’ha aiutato ad andarsene. Passaporti falsi, pista falsa per te, cara. Mi dispiace tantissimo».

«Passaporti falsi? Pista falsa? Aspetta un attimo. Questo significa che deve aver portato le ragazze all’estero».

Un’ondata di panico rabbioso la inghiottì. Si voltò verso Adil, che annuì. Lydia avrebbe voluto parlare ma dovette accontentarsi di fare dei respiri profondi finché non passò l’attacco.

Mentre lei si dibatteva, Harriet si schiarì la gola e distolse lo sguardo.

Lydia riuscì a ritrovare la voce. «Non capisco. Perché Alec desiderava così tanto andare via? Di certo non può essere stato solo per me e Jack».

«Anche quello ha avuto il suo ruolo, credo. Mai sottovalutare l’orgoglio di un uomo, mia cara».

Lydia la fissò. «Oh, via! Ha preso le mie bambine!».

«Cionondimeno… ma hai ragione, naturalmente. George è diventato avido. Ha usato i fondi governativi. È lì che è entrato in gioco Alec, credo. Amministrazione finanziaria».

Lydia ebbe un tuffo al cuore. «Stai dicendo che c’erano dentro insieme?».

Harriet fece spallucce. «Temo di non sapere fino a che punto».

«Oh cielo, l’ho definito in molti modi, a suo tempo, ma non l’avrei mai pensato disonesto».

«Oh, non devi preoccuparti…».

«Preoccuparmi? Per Alec? Non ci penso proprio!».

«Be’, in ogni caso non è rimasta nessuna prova, a esclusione di un unico documento alquanto incriminante». Harriet guardò Adil con occhi interrogativi.

Lui scosse il capo.

«In tal caso è come mi aspettavo: ce l’ha Alec. Ed è improbabile che voglia denunciare se stesso, non è vero?»

«Che nome?», interloquì Adil lanciando un’occhiata scaltra a Lydia per avvisarla di stare tranquilla. «Sotto che nome viaggia?».

Harriet scosse il capo. «Mi dispiace, non lo ricordo».

Lydia ne dubitava ed evidentemente doveva averlo lasciato trapelare.

«È la verità», aggiunse Harriet. «L’ho sentito solo una volta. Era qualcosa di abbastanza simile al suo. Credetemi, non ne sapevo niente fino ad appena prima che George morisse».

«Allora, cos’è successo?», chiese Adil.

«Quando abbiamo bruciato tutto, abbiamo scoperto che mancava quel documento. George non sapeva chi l’avesse preso, se tu o Alec. Comunque fosse, non poteva lasciare che la vergogna infangasse il suo nome, qualora la verità fosse venuta a galla. Un uomo nella sua posizione. È stato allora che mi ha confessato tutto».

Harriet fissò il pavimento, quindi tornò a guardarli simulando un sorriso che non le raggiunse gli occhi.

Inspirando vigorosamente, Lydia strinse le labbra per tenere la rabbia sotto controllo mentre il pensiero che Harriet potesse sapere più di quanto stava dicendo le attraversava la mente.

«Se non avessi scoperto che le mie bambine erano vive me l’avresti mai detto o avresti continuato a lasciarmi pensare che erano morte?»

«Cara, te l’ho detto a modo mio. Sono stata io a scoprire Clara e sono stata io a chiedere a Cicely di presentarvi».

«Ma come hai potuto farmi questo? Come hai potuto essere così crudele? Quando ho scoperto che erano partiti sono venuta da te!».

«Ti assicuro che all’epoca non sapevo davvero niente».

«Forse allora no, ma l’hai scoperto da mesi».

«Mi dispiace davvero tantissimo. Dovevo trovare un modo di fartelo sapere che non incriminasse mio marito. Nonostante tutti i suoi difetti l’ho amato, persino dopo aver scoperto quel che ti aveva fatto».

Nella stanza scese il silenzio. Lydia si alzò e fece alcuni passi prima di tornare a rivolgersi a Harriet, il cuore che le batteva forte. «Cristo, è incredibile! Stai dicendo che il motivo per cui George ha ritardato il mio arrivo a Ipoh era concedere ad Alec un vantaggio iniziale? Che mi ha mentito su tutto?».

Harriet annuì.

«E tu mi hai lasciato credere che le mie bambine fossero morte».

«Mi dispiace. C’è stato uno scarto minimo».

«Cosa intendi?»

«Da quel che ha detto George, ho motivo di ritenere che l’organizzazione del viaggio abbia preso più tempo di quanto si fosse aspettato».

La mano di Lydia le corse alla bocca. «Oh Dio. Quasi non riesco a sopportarlo. Vuoi dire che potrei averli semplicemente mancati?».

Harriet si schiarì di nuovo la gola ma non rispose.

«Ma perché è stato necessario tutto questo? Alec non poteva semplicemente portarmi con sé?».

Harriet sospirò. «Lo sai perché. Pensava che fossi con Jack».

Lydia si sentiva scoppiare la testa. «E se non ci fosse stato il rogo? Cosa sarebbe successo se fossi arrivata a Ipoh e avessi scoperto che Alec non c’era?»

«Immagino che avesse pianificato un’altra pista falsa per te».

«E alla fine?».

Il senso di colpa adombrò i lineamenti di Harriet. «Mi dispiace».

L’unico suono che si udiva era la pioggia che scrosciava nel cortile; poi, all’improvviso, un tuono. Lydia sentì che le si serrava la mascella.

«Hai la minima idea di quello che mi hai fatto? Lo sai che, quando ho pensato che fossero morte, è stato come se una parte di me avesse cessato di esistere?».

Facendo un respiro profondo, Harriet fissò il pavimento.

«No, suppongo di no. Non hai mai avuto figli, vero?». La voce di Lydia si spezzò. Era incredibile fino a che punto le avevano tappato gli occhi, l’avevano imbrogliata. Mentre cercava di calmarsi, sentì la voce di Adil spezzare il silenzio.

«Resterai qui?», stava chiedendo a Harriet. «Voglio dire, con l’indipendenza è cambiato tutto».

«Oh, penso di sì», replicò la padrona di casa, la voce più vivace. «Dove potrei andare? È il brutto della vecchiaia. Hai avuto quel che hai avuto. Niente più seconde occasioni. Non che mi stia lamentando. Ho sempre saputo dei sordidi passatempi di George. Stranamente, quelli potevo sopportarli. Ma il traffico d’armi no».

Lydia la fissò. «Immagino di no».

Seguì un altro breve silenzio, quindi Harriet fece un debole sorriso. «Mi piace la Malesia. Non riesco a immaginare di tornare nel Surrey. La vita e la morte qui sono inseparabili, non è vero? Lo sono ovunque, naturalmente, ma qui lo sai. Il tuo amico Jack. Lui lo sapeva».

Lydia sussultò.

«Roulette russa. Sai come funziona. Naturalmente è stato prima di conoscere te. Penso sia stata la futilità della vita dopo la guerra a causare la sua depressione. Incontrare te l’aveva tirato fuori, ma era solo questione di tempo per uno come lui…». Harriet tacque.

«Direi che ne ho abbastanza», commentò Lydia. «Jack è morto e non vedo lo scopo di rivangare il passato. Penso che faremmo bene ad andare, ora. No, Adil?».

Harriet la ignorò. «Abbiamo lasciato la Malesia solo una volta, durante la guerra. 1941. Opera di George, poco prima del primo raid aereo dei giapponesi su Singapore».

Mentre Harriet divagava tornando al passato, Lydia e Adil si scambiarono uno sguardo. Ancora arrabbiata, lei gli mimò una domanda. “Cosa facciamo adesso?”. Adil scosse appena la testa. All’esterno la pioggia continuava a flagellare il terreno, un suono simile a quello di una mitragliatrice. Lydia si sentiva in trappola, voleva andarsene, e si rese conto che se fosse rimasta un minuto di più avrebbe perso l’autocontrollo.

«Devo la vita a George», disse Harriet. «Quando la Malesia è caduta, nel 1942, i vecchi amici sono morti. La vita. Quello che guadagni da una parte lo perdi dall’altra, vedrai».

«Possiamo finirla, per favore? Adesso». Lydia sentì che la voce le si alzava. «Preferirei non ripensare al passato».

«Hai ragione, mia cara, e spero che possiamo stendere un velo anche sugli sventurati traffici di George». Harriet guardò Adil.

L’uomo incrociò il suo sguardo ma rimase impassibile. Lydia aveva bisogno di tempo per pensare. Mentre gli altri due continuavano a parlare, lei si concentrò su un vaso di stupefacenti rose rosa appoggiato su un tavolino davanti alla finestra dalla fragranza stucchevole e nauseabonda che la raggiungeva fin lì.

«Fermatevi per questa notte», stava dicendo Harriet. «Dei letti gemelli vanno bene? Ci sono altre camere, naturalmente, ma nessuna ha i letti rifatti. Il nubifragio è troppo violento per tornare indietro adesso».

«Forse», disse Adil guardando Lydia in cerca di conferma.

Lei osservò la pioggia e fece spallucce.

Harriet indicò loro quale porta prendere e, mentre lasciavano la stanza, Lydia si voltò a parlarle da dietro la spalla. «Mi stavo chiedendo: avresti della carta da lettere per la posta aerea e una penna da prestarmi?»

«Carta da lettere? Certamente. Te la faccio portare in camera».

 

Nella piccola stanza per gli ospiti sul retro della casa, Lydia socchiuse appena la finestra e spense il lampadario centrale. Una piccola lampada da tavolo gettava una luce fioca in un angolo della stanza. Adil le si avvicinò. Fermandosi, fece un passo indietro per poterle studiare il volto.

«Stai bene?»

«A dir la verità sono dannatamente infuriata».

Lo shock di aver ascoltato la confessione di Harriet le aveva lasciato una sensazione di irrealtà, rafforzata dal fatto di trovarsi da sola con Adil in una camera nella casa della stessa Harriet. Stava accadendo tutto molto in fretta e Lydia era spaventata dalla forza della propria rabbia e dalla furia che la stava dilaniando.

«Stendiamoci insieme su uno dei letti. Solo finché non ti sentirai meglio», propose Adil.

Entrambi supini, giacquero completamente vestiti sopra il copriletto, le dita allacciate. Lydia si voltò verso di lui appoggiandogli una mano sulla coscia e guardò il riverbero della luce della lampada brillargli negli occhi. Adil le strinse la mano. I pensieri andavano e venivano mentre ripensava a tutto quello che aveva raccontato Harriet.

«Più calma, adesso?», le chiese Adil dopo un po’.

«Sì».

Improvvisamente timida, gli sfiorò il viso e qualcosa passò tra di loro. Adil si girò molto piano, si sbottonò la camicia, quindi, appoggiandosi su un gomito, si allungò ad aprirle la lampo dell’abito. Sembrava in attesa. Lydia gli fece scivolare la mano nella camicia, sentì la freschezza della sua pelle e gli fece correre il palmo lungo la schiena.

«Mettiamoci a letto come si deve», lo invitò.

«Sicura?»

«Sicura. Adesso, per l’amor del cielo, togliti quella camicia!».

Adil alzò lo sguardo e le sorrise. Lydia lo fissò per un istante, quindi rovesciò indietro la testa e scoppiò a ridere mentre lui le sistemava i capelli dietro le orecchie e si tirava su a sedere per togliersi la camicia. Dopo essersi levata il vestito facendolo passare sopra la testa, Lydia si precipitò sotto il copriletto, le gambe che si impigliavano nelle lenzuola. Adil calciò via le coperte. Facendo un respiro profondo, Lydia chiuse gli occhi.

C’era stato un tempo in cui aveva creduto che non avrebbe mai più avuto pace. Anche se aveva sempre lo stesso aspetto, la vita l’aveva invecchiata, rubandole l’innocenza e sostituendola con una consapevolezza che lei non aveva mai chiesto. L’aveva messa da parte ma, in quell’occasione, aveva anche trovato Adil. Tornò ad aprire gli occhi, batté le palpebre e gli sorrise.

Fecero l’amore accendendosi molto lentamente, la sensazione di incredulità che si fondeva con un brivido fin lì sconosciuto. Adil fu gentile, completamente in sintonia con lei, così tanto che in certi momenti Lydia si sentì mancare il fiato al punto da faticare a respirare.

Dopo, Adil recuperò un lenzuolo dal pavimento e se ne servì per coprire i loro corpi nudi. Lei gli si raggomitolò contro nel minuscolo lettino a una piazza. Adil la baciò sulle palpebre. L’uomo aveva la fortuna di essere uno di quelli che si addormentano all’istante e prese a russare piano. Lydia trasse conforto da quell’intimità. Al chiaro di luna, lo guardò sorridere nel sonno, il suo russare che si mescolava con il suono dell’acqua piovana che schizzava dal tetto. Non voleva lasciarlo ma, incapace di dormire e sopraffatta dagli eventi della giornata, si districò da lui e decise di dedicarsi alle lettere.

Dopo aver scritto all’ufficio del fisco, al ministero e alla Somerset House, spense la luce e si mise comoda sotto le lenzuola fresche del secondo letto gemello. Adil si sarebbe fatto dare gli indirizzi precisi in mattinata. Lydia allungò una mano e toccò l’altro letto, sentendo il calore dell’uomo. Nel sollievo semplice portato dalla notte, quando le parole e le azioni della giornata sono concluse, il suo corpo giacque immobile, ma non la sua mente.

La serata si era sviluppata in modo inatteso e i suoi pensieri continuavano a turbinare. Non sapere ancora dove fossero Emma e Fleur era insopportabile. Le immaginò, sentì le loro mani nelle sue e cercò di capire come mai non avessero trovato nessuna prova del loro viaggio. Se Alec era ancora in Malesia, di certo avrebbero scoperto qualcosa, soprattutto con i contatti di Adil. Ma non c’era segno di loro da nessuna parte e a cosa poteva servire un passaporto falso se non per viaggiare all’estero? Ripensò ai genitori del marito, eppure era certa che Alec non vi sarebbe mai tornato. Quante volte le aveva detto quanto odiava quel posto? Si chiese se non si fosse procurato un’auto diversa e non si fosse diretto a nord passando per la Thailandia. Eppure Adil aveva fatto controllare tutte le frontiere.

Certo che spedirla a seguire una pista falsa, causarle tutto quell’enorme dolore… E George, che aveva deciso di ingannarla in quel modo. Lydia scosse la testa. La relazione con Jack doveva aver ferito Alec più di quanto lei avesse creduto. Quando giunse l’alba e lunghe strisce di rosso si allargarono nel cielo, da un’altra finestra aperta la raggiunse il suono di un pianto. “Harriet”, pensò e, le palpebre pesanti, finalmente si addormentò.

La Separazione
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