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Quando giunse il tanto agognato inizio delle vacanze, Veronica mi sarebbe dovuta venire a prendere per riportarmi a Kingsland Hall. Era una giornata fredda ed era talmente presto che una nebbia bianca ancora aleggiava sui terreni. La trovai parcheggiata di fianco alla scuola, dove il maltempo aveva aperto crepe nel muro.

Fu solo quando entrai in auto che mi resi conto che qualcosa non andava. Le domandai di cosa si trattasse ma lei mi guardò appena e, quando le chiesi se saremmo andate direttamente a Kingsland Hall, si voltò leggermente verso di me con un sorriso triste sul volto.

«No, mi dispiace. Dobbiamo tornare dritte a casa».

«Cos’è successo?»

«Tuo padre l’ha scoperto».

Mi rabbuiai.

«Sa che l’abbiamo ingannato, che ti ho portato a Kingsland Hall senza dirglielo. È furibondo. Dice che sono stata sleale».

«Come può dire una cosa del genere dopo quel che ha fatto?».

Veronica scosse appena la testa e sembrò vicina al pianto.

«Come l’ha scoperto?»

«Mi ha sentita al telefono con tua nonna, ieri sera. Parlavamo dei biglietti».

Aveva usato un tono indifferente, ma capii subito cosa intendesse. Nonostante il malumore, Veronica sorrise. Era magnifico. Non riuscivo a crederci. Gongolai, fremente di eccitazione.

Biglietti per la Malesia!

«Ricordi che, dopo aver visto l’articolo, tua nonna era riuscita ad avere l’indirizzo di un’amica di tua madre? Cicely. Credo l’abbia avuto proprio dal giornalista».

«Me la ricordo Cicely». Personalmente non avevo ricevuto risposte dal direttore, per cui fui arcicontenta che mia nonna invece avesse avuto più successo.

«Le ha spedito un telegramma ma, non avendo ricevuto risposta, adesso ha intenzione di inviare una lettera per posta aerea, in cui dice che andrete entrambe in Malesia».

Mi assalì un pensiero terribile. «E se papà cercasse di impedirmi di andare?»

«In tal caso, tua nonna andrà da sola. Comunque, questo è il motivo per cui stiamo tornando dritte a casa. Tuo padre è di pessimo umore e voglio vedere se riesco a calmarlo. Dobbiamo procurarti un nuovo passaporto e non posso farlo senza il suo aiuto. Non voglio dargli troppo tempo per rimuginare».

A casa l’atmosfera era tesa. Fleur restava a dormire da una compagna di scuola e io rimasi in camera mia con la porta socchiusa. Da sotto mi arrivava la voce del papà e, anche se non riuscivo a distinguere tutte le parole, dal suo tono di voce ero certa che stesse facendo difficoltà.

Alla fine Veronica venne di sopra con gli occhi rossi e ancor più smorta del solito. «Noi usciamo. L’ho convinto a fare un giro fino alle Costwolds per fermarci a pranzo a Chipping Camden. Per te va bene?».

Risposi con un sorriso.

Finché avevo mia nonna, cosa poteva fare papà? Mia nonna. Mi ripetei quelle parole e mi diedi un pizzicotto. Però mi preoccupava l’idea di come se la sarebbe cavata con il clima estremo della Malesia, e bisognava sempre risolvere il problema del passaporto.

Il pomeriggio passò lentamente. Stavo cullando una tranquilla speranza e sognando il caldo della Malesia quando udii un suono all’esterno. Aggrottai la fronte. Forse Fleur era tornata prima del previsto? Scesi giù e guardai fuori dalla finestra della cucina il sole basso che splendeva dietro i rami spogli del faggio in fondo al giardino. Era quasi il crepuscolo. C’era qualcuno. Aprii la porta sul retro.

«Un giorno scriverai di tutto questo», disse Billy mentre avanzava verso di me e mi dava un bacio sulla guancia.

Non ne ero così sicura. Da quando avevo abbandonato Claris al suo destino, avevo scritto ben poco. «Di cosa?»

«Del vento che ti soffia tra i capelli, Em. Ho preso la moto di mio papà. Dove vuoi andare?».

 

Mentre ci dirigevamo a Kingsland Hall, guardai il fiume, nero e freddo, e ricordai quando facevo ciondolare le gambe nell’acqua con Billy. Quando risalimmo il lungo viale d’accesso, sulla casa spuntò la luna nuova. Esalai un lungo, lento respiro. Luna nuova. Vita nuova.

Alla porta ci accolse l’assistente della nonna. «Lei non c’è», ci disse con uno sguardo ansioso.

Il cuore mi balzò in petto. «Allora dov’è?»

«Tua nonna è in ospedale. Mi dispiace tantissimo».

Mi voltai verso Billy. «Mi ci puoi portare? Ti prego, Billy».

L’assistente alzò una mano. «Temo sia gravemente malata. Con tutta questa eccitazione, sapevo che sarebbe successo qualcosa del genere. Ho appena parlato con l’infermiera. Non lasciano entrare nessuno fino a domani mattina».

«Billy?»

«Andiamo, Em. Torneremo domattina, come ha detto lui».

 

Le gambe molli come gelatina, mi fermai al bancone. L’addetta al ricevimento ci indirizzò all’ultimo piano dell’ala principale. Anche se era presto, l’ospedale era del tutto sveglio e un forte odore di etere ci seguiva ovunque. Gli inservienti spingevano carrelli e dovemmo schivare capannelli di dottori in camice bianco che parlavano a bassa voce. Aprii una porta a vento che dava su una corsia rumorosa. Sembrava che tutti corressero, i macchinari emettevano di continuo segnali acustici e voci fioche chiedevano aiuto. Il cartello sopra la porta recitava “Terapia intensiva”. Stavano servendo la colazione, perciò feci un passo indietro e finii dritta addosso a un’infermiera cicciottella.

«Non è orario di visita», mi disse guardandomi accigliata. «Siamo molto rigidi in proposito».

«La prego, sono venuta a trovare mia nonna, Miss Cooper-Montbéliard».

Lei ci pensò su un attimo, quindi ci condusse fuori dalla porta principale e giù per un corridoio, fermandosi all’esterno di una stanza sopra cui era accesa una luce rossa. Mi guardò.

«È l’unica camera singola su questo piano. Puoi entrare, ma non farla agitare. Sta molto male».

Feci un respiro profondo. «Mi aspetti, Billy?».

Lui annuì e io aprii la porta e sbirciai dentro. Le tendine erano chiuse e la luce era bassa. Una bottiglietta di una bevanda energetica ancora avvolta nell’incarto arancione di cellophane, un barattolo di una bevanda all’orzo e una scatola di cioccolatini ancora chiusa erano appoggiati su un comodino metallico. Dapprima non riuscii a vederla: il volto pallido e i capelli bianchi si confondevano con i cuscini e le lenzuola. Sembrava che non ci fosse nessuno; solo un leggero sibilo mi disse che non ero da sola. Ascoltai il suo respiro, quindi mi avvicinai e sedetti sulla sedia dallo schienale rigido vicina al letto.

Era collegata a un monitor e aveva anche una flebo. Mi adagiai all’indietro sulla sedia e chiusi gli occhi. Non avevo mai desiderato tanto qualcosa in vita mia. Implorai Dio di farla stare meglio, di tenerla in vita così che la mamma potesse conoscerla. Sapevo che andare in Malesia adesso era fuori questione, ma non importava, volevo solo che la nonna vivesse. Sarebbe stato troppo ingiusto ritrovarla e poi perderla così presto. Mi asciugai le lacrime, ma continuavano a sgorgarne di nuove.

Dopo un po’ la nonna aprì gli occhi e le vidi un’espressione strana sul volto ma non sembrò riconoscermi. Tornò a chiudere gli occhi. Entrò un’infermiera con uno sguardo preoccupato, mi fece un cenno e se ne andò. Rimasi seduta per ore, il fondoschiena addormentato sulla dura sedia di legno. Billy mi portò della cioccolata calda e una ciambella e poi tornò ad aspettarmi giù in mensa.

Arrivò un medico.

«Starà bene?», chiesi, le spalle contratte.

Lui si schiarì la gola. «Ha la polmonite». Aveva un tono piatto, freddo.

«È mia nonna. La prego, me lo dica».

Sembrò rifletterci per un attimo. «Guarda, è difficile dirlo. Soffre d’asma e questa è una complicanza grave. La stiamo monitorando da vicino. Puoi aspettare qui, ma sarebbe meglio se andassi giù in mensa».

«Aspetterò».

Aprì la tenda e poi se ne andò.

Battei le palpebre nell’improvvisa luce del sole. La finestra dava su un parcheggio e guardai la gente andare e venire con tutto il suo carico di dolore e paura, quindi portai la sedia più vicina alla nonna e chiusi gli occhi, pensando a tutto ciò che era accaduto in quegli ultimi tre anni. Avevo lasciato la Malesia da bambina e adesso, mentre ascoltavo il respiro di mia nonna, mi resi conto di quanto ero andata lontano. Rimasi seduta così per secoli, fissando il grigio pavimento di linoleum e meditando.

La sua voce mi fece sobbalzare.

«Emma?».

Mi si bloccò il respiro. Gli occhi della nonna erano aperti, pieni di vita, pienamente coscienti.

«Nonna, starai bene».

Mi sorrise e parlò ansimando. «Ascolta, piccola. Ho preparato un nuovo testamento. Ce l’ha il mio avvocato e il mio assistente sa cosa deve fare. Se mi succede qualcosa, quando diventerete maggiorenni sarà tutto tuo e di Fleur».

«Ma non succederà…».

Lei alzò una mano tremante. «Nel frattempo, ho predisposto che fino a quel momento un fondo fiduciario possa provvedere a tutte le vostre necessità. Potrete vivere entrambe nella casa, non appena sarete abbastanza grandi, se è quello che desiderate. Non vedo l’ora di incontrare l’altra mia nipotina».

«E la mamma?»

«Certo. Se mi perdona. Avevo programmato di venire nella tua scuola e poi è successo questo. Volevo farti una sorpresa con i biglietti della Malesia, ma adesso…». Esalando un respiro leggero, si strinse appena nelle spalle.

Le presi la mano. «Cosa facciamo con la mamma? Riscriviamo alla sua amica?»

«L’ho già fatto. Ci vorrà un po’, anche con la posta aerea, ma ormai dovremmo sentirla a breve. Ovviamente questa Cicely potrebbe non sapere dove si trova, ma è pur sempre un punto di partenza. Tra parentesi, il mio assistente ha annullato i biglietti. Ma quando starò meglio, andremo».

Il cuore mi accelerò e, quando appoggiai la guancia sul copriletto, la nonna mi accarezzò i capelli.

«Non preoccuparti, tesoro, la rivedrai. Avete tantissime cose da raccontarvi».

Alzai lo sguardo. «E anche tu».

«Anche io». Chiuse gli occhi.

Feci un singhiozzo mentre in gola mi si formava un nodo. Le sentii il battito.

«Non preoccuparti», mi rassicurò lei riaprendo gli occhi. «Sono solo stanca. Sarò di nuovo in piedi prima di quanto ti aspetti. Ho troppe cose per cui vivere adesso. Molte più di quante ne meriti».

Avevo la gola secca e non riuscivo a parlare. Sarebbe stata bene. E un giorno avremmo vissuto tutte insieme a Kingsland Hall.

I soffitti alti e lo scalone di legno lucido mi balzarono in mente. Possibile? Nemmeno nelle mie storie più audaci avrei osato immaginare una cosa del genere. Ero così felice che avrei voluto saltare su e giù, eppure, allo stesso tempo, una vocina mi sussurrava: “Perché Cicely non ha risposto al telegramma di tua nonna? E se tua madre non vi volesse più?”. Scossi il capo per farla tacere. Non riuscivo a respirare da quanto desideravo la mamma e avevo bisogno di vederla. Era impensabile che non ci riuscissimo.

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