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La svegliò l’odò le spalle. «Allora saprai pure che lo zerbino non è esattamente il luogo ideale dove parlarne. Tieni, ti ho portato un po’ di vestiti».
«Come sapevi che ero qui?»
«Oh, tesoro, non essere sciocca. Ovvio che lo sapevo».
Lydia le permise di entrare e la seguì. Cicely andò a fermarsi davanti alla finestra, quindi spostò in fretta su di lei lo sguardo attonito. «Vedo che hai seguito il mio consiglio».
Lydia abbassò gli occhi sulla vestaglia in seta nera di Adil. Durante la notte era stata svegliata da un sogno su Lili. Si era diretta in bagno a passi felpati e, mentre passava, aveva sentito il suo respiro regolare. La luna piena gli aveva inondato la fronte e gli zigomi di una luce argentea, gettando le parti incavate del volto nella massima oscurità. Adil si era agitato nel sonno e Lydia si era affrettata a tornare a letto.
«Non è quello che pensi».
«Ti credo. Non lo farebbero molte», sottolineò Cicely. «Anche se devo concordare, è assolutamente fascinoso». Inarcando le sopracciglia, Cicely le rivolse un ampio sorriso. «Permettimi solo un piccolo consiglio, cara: sta’ lontana dai doni caduti dal cielo. È pericoloso. D’altro canto, a te piacciono i cattivi ragazzi, non è vero? Molto più bravi a letto. Ma dimmi, dov’è?»
«Ti ha detto lui che ero qui?».
Cicely fece spallucce.
Lydia distolse lo sguardo. «Non ho idea di dove sia».
«Be’, vieni qui a sentire quel che ho da dirti».
Le mani sui fianchi, Lydia rimase dov’era. «Aspetta un attimo. Non mi hai spiegato perché non mi hai mai detto del tuo lavoro. O che lavori con Adil. Anzi, quando l’ho nominato non mi hai nemmeno detto che lo conoscevi».
«C’è più di un Adil, tesoro, anche se perfino Ralph ne sa solo una parte. Te l’ho detto che gli uomini non sanno mai cosa sta davvero succedendo».
«Sto iniziando a crederti».
Lydia guardò alle spalle di Cicely il cielo azzurro tipico delle mattinate di Malacca. Dov’era Adil? Aveva promesso di sentire un collega di quando lavorava con George ma non aveva accennato a quanto sarebbe rimasto via. Attraversata la stanza, aprì il frigorifero e prese una birra.
Cicely si accese una sigaretta, i capelli biondi accuratamente sistemati dietro un orecchio. «È successa una cosa alquanto singolare», esordì. «Giura di non agitarti».
Si avvertì un leggero cambio d’atmosfera.
«Si tratta di Lili».
Lydia si irrigidì.
Nello sguardo dell’altra guizzò un lampo divertito. «È stata presa dalla polizia del porto. Sai, devono controllare l’eventuale presenza di sovversivi sui pescherecci. Anche se è più probabile che i comunisti traffichino sullo stretto di Johore, non qui. Comunque, Lili è coinvolta nell’omicidio di Jack. Ho pensato che volessi saperlo… continuo?».
Lydia inspirò di colpo e annuì bruscamente.
Cicely le raccontò l’intera storia e, quando ebbe terminato, si diresse alla porta. «Bene, buon proseguimento. Torna a casa quando sei stanca del tuo giovane amante».
Lydia sedette sul divano e si abbandonò contro lo schienale. Stando a quanto le aveva detto Cicely, un commento casuale di un capitano di porto aveva messo in allerta la polizia e Lili era stata trovata a vagare per i moli. La ragazza aveva dichiarato di essere rovinata e che Jack l’aveva stuprata. Insisteva che voleva solo vendicarsi. Lydia trangugiò la birra per sbarazzarsi del sapore amaro che aveva in bocca. Con in testa l’immagine della bottiglietta di profumo di Lili, Lydia sapeva che erano menzogne. La falsità della donna la lasciò senza fiato. Strinse i pugni, la rabbia si faceva tanto intensa che dovette sedersi per non fracassare qualcosa. Lili era stata assolutamente consenziente. Era stata la gelosia a causare la morte di Jack, nient’altro. Su quello, George aveva avuto ragione. Lydia chinò la testa e si coprì gli occhi, desiderando con tutta se stessa cancellarsi dalla mente l’immagine del sangue di Jack.
Quando l’avevano portata alla centrale per interrogarla, Lili aveva confessato il proprio coinvolgimento con i rivoltosi, pur ribadendo che era scappata per liberarsi da Jack. Annichilita e scoraggiata, si era nascosta nell’unico posto in cui lui non l’avrebbe potuta trovare: la giungla. Quando i comunisti l’avevano presa, aveva convinto la madre di Maznan che il piccolo era in pericolo. Allora avevano passato al setaccio la casa di Jack e ne erano venuti via con del cibo ma senza denaro, ma la cosa più importante era che avevano trovato il modo di accedere e il giorno successivo avevano preso Maz.
Lydia ripensò alla vita e alle spalle esili di Lili, ai lunghi capelli neri che le scendevano dritti fino alle natiche sode, alte. Immaginò Jack che dormiva con lei, notte dopo notte. La immaginò gridare e li vide giacere insieme dopo, Jack che fumava, le mani dietro la testa, gli occhi azzurri che fissavano il soffitto nel suo solito modo. Avvertiva la fitta della gelosia persino ora. Per un attimo pensò ad Alec e alla loro vecchia vita insieme. Al modo in cui era solita uscire dal bagno, lasciando cadere intenzionalmente l’asciugamano sul pavimento per poi, completamente nuda, alzare le braccia davanti a lui per legarsi i capelli. Alec non la notava nemmeno. Era il prezzo che Lydia aveva dovuto pagare per affermarsi e per aver ignorato i primi presentimenti della catastrofe.
Avrebbe voluto incolpare Lili, ma non poteva liberarsi dell’idea che se non fosse andata alla piantagione niente di tutto ciò sarebbe accaduto. Lili sarebbe stata felice nel suo ruolo di amante di Jack e Jack sarebbe stato ancora vivo. Invece, qualche mese dopo la scomparsa di Maz, su una linea disturbata e parlando con una voce burbera che voleva imitare quella di Bert, un ribelle aveva fatto quella telefonata fatale.
Lydia si tirò su e prese a misurare a grandi passi l’appartamento di Adil. Raccolse gli oggetti, guardò i suoi libri, cercò di capire cosa rivelava quel posto. Prese un grosso volume illustrato su Monet da scaffali straripanti di dischi e libri, soprattutto opere filosofiche e testi d’arte, e lo sfogliò velocemente. Quando Adil non c’era, pensava troppo a lui. Sul tavolino alcuni modellini molto accurati davano vita agli animali della giungla e sulle pareti grandi quadri astratti dalle pennellate pesanti si alternavano a ritratti fotografici in bianco e nero.
Adil non aveva lasciato indicazioni su quando sarebbe tornato e non chiamò, perciò Lydia si preparò un pasto leggero a base di pane tostato e sardine in scatola. Il pane sapeva di muffa e la scatoletta di sardine era l’unica cosa che era riuscita a scovare in fondo a una credenza. Il frigorifero conteneva essenzialmente bibite e qualche bottiglietta di birra.
Pensò di tornare a casa di Cicely ma voleva rivedere Adil, perciò sedette alla finestra e guardò la gente passare, osservando come era vestita e come si muoveva. Quando si assopì venne disturbata da immagini di Lili dai capelli ondeggianti.
Quando si fece vivo, a mezzanotte passata, Adil la trovò seduta al buio, paralizzata dal senso di colpa, il volto cinereo.
«Lydia?».
Per un attimo quasi non si accorse che le si stava sedendo accanto. L’uomo le prese la mano e le accarezzò dolcemente una guancia. Il rombo sordo del traffico e il suono di un pianoforte giungevano da sotto. Lydia si coprì il viso con le mani; poi, sentendo il fiato di Adil sul collo, pianse.
Lui la tenne molto stretta, i respiri che fluivano in sincrono, ma uno scoppio sulla strada spezzò l’armonia del momento.
Adil diede un colpo di tosse e Lydia si scostò, sentendosi piuttosto sciocca. «Chi ha dipinto i quadri?», chiese evitando il suo sguardo.
Seguì una pausa.
«Qualcuno che conoscevo», rispose Adil alla fine. Sembrava stesse studiando il volto di lei nella penombra. «Mi dispiace di averci messo così tanto. Devo raccontarti le novità».
Tenendo a freno i sentimenti, Lydia lo guardò. «Sono belle? Le tue novità».
«Lo spero».