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Al mercato, Lydia sentì dei passi che le si avvicinavano rapidamente. Non ancora abituata ai vicoli di Malacca, stava facendo del suo meglio per prendere familiarità. Quel giorno si trovava alla periferia del quartiere cinese, nella speranza che qualcuno potesse fornirle un indizio sul ruolo di Lili. Aveva i capelli tutti increspati per l’umidità e si fermò davanti a un’agenzia di prestiti su pegno per ravviarseli. Mentre sbirciava nella vetrina, notò un riflesso indistinto tra le collane e i fili di perle a buon mercato. Si raddrizzò la gonna.

«Lydia».

Si girò ed eccolo lì. In abiti occidentali, pantaloni scuri, camicia color crema a maniche corte, una catena d’oro che gli scintillava al collo, camminò con calma verso di lei, la testa rasata e abbronzata, e le tese la mano.

Fermandosi a scrutarlo in volto, gli rivolse un sorriso titubante. «Mi stai seguendo, Adil?»

«Vieni con me. Non te ne pentirai».

Lydia corrugò la fronte. Il sole, all’apice della sua corsa, le piombava addosso a picco ma lei sentì una vampa di rossore salirle in volto. Adil indicò la direzione e lei si lasciò condurre in una stradina stretta dove il rombo del traffico era ridotto. L’uomo si fermò davanti a una piccola caffetteria, con l’insegna “Arabica” azzurra e oro sopra la porta.

All’interno si appollaiarono su scomodi sgabelli nell’angolo più lontano del bar pieno di vapore, tenendosi a distanza dai giocatori di mah-jong curvi all’altra estremità. Adil le sorrise. Ricambiandolo, Lydia raccolse una copia di «The Straits Times» che qualcuno si era lasciato dietro.

«Ti sorprende che George non ti abbia aiutata?», le chiese.

Lydia alzò lo sguardo sulla sua fronte liscia, studiando le due rughe profonde che gli correvano dai lati del lungo naso fino alla bocca carnosa.

«Cosa?».

Adil chinò la testa di lato, la guardò dritto negli occhi, versò il dolce caffè aromatico da una caffettiera di rame e parlò piano. «Credo che sappiamo entrambi cosa intendo».

Lei eluse il suo sguardo indagatore. «Come fai a conoscere George?».

Adil scrollò le spalle.

«Be’, per rispondere alla tua domanda, non mi ha aiutato e no, suppongo di non esserne stata sorpresa. A te cosa importa?».

Il suo interlocutore le rivolse un’occhiata sagace.

Il sole si riversava attraverso l’unica vetrina gettando una macchia di luce bianca sul bancone. Lydia si massaggiò le tempie con le punte delle dita per alleviare la pressione, percependo lo sguardo di lui sulla scollatura troppo audace, la pelle che le si ricopriva delle familiari chiazze. Non si sarebbe mai abituata a quell’umidità.

Per un attimo, nessuno dei due parlò.

Adil si sfregò il mento e le rivolse un sorriso affettuoso. «Mi dispiace per il tuo amico. E per le tue figlie. So che le parole sono inadeguate».

Lydia esalò un lento respiro.

«Andrà meglio», aggiunse l’uomo.

Il cuore le si rivoltò mentre ripensava ai visi di Fleur ed Emma e cercava di non irritarsi. «Naturalmente lo sai già».

«Mi dispiace tantissimo».

«Non compatirmi… Comunque, come hai saputo di Jack? O delle bambine, se è per quello».

Lui fece spallucce. «Queste voci girano».

Lydia non avrebbe voluto pensare a Jack in quel momento, ma alla radio passò una canzone di Pat Boone. Era la preferita di Jack e un’immagine della prima volta che l’aveva visto le attraversò la mente. Scosse la testa.

«Ti propongo un patto», stava dicendo Adil. «Niente tentennamenti. Ti fidi di me?».

Lei si asciugò l’umidità dall’attaccatura dei capelli, quindi scolò quel che restava del caffè. Desiderava il suo aiuto, ma poteva fidarsi di lui? Non ne era sicura, nonostante fosse stato buono con lei anche prima. Si sentiva accaldata e goffa. Uno scoppio proveniente da un camioncino che stava scaricando sulla strada la fece sobbalzare e il bel bicchiere azzurro le scivolò di mano.

«Oh, Dio! Mi dispiace».

Dopo che il barista ebbe tolto di mezzo le schegge di vetro, Adil la fissò con aria grave. «Di preciso perché sei andata a trovare George?», le chiese.

«Non che siano affari tuoi, ma era per fargli delle domande. Non ho ottenuto risposte. Ha insinuato che dovrei prendermi una vacanza, per i nervi».

«Magari ha ragione», disse Adil con un sorrisetto, quindi continuò a parlare con una nota divertita nella voce. «Pagaiare risalendo la corrente in mezzo alle mangrovie mentre gli uccelli volteggiano in alto. C’è molto da vedere. Per esempio, sapevi che le radici delle mangrovie crescono in parte fuori dal terreno?».

Lydia socchiuse gli occhi. «Hai scordato le zanzare e il caldo opprimente».

Lui fece una smorfia. «Già, credo di sì. Devi stare attenta anche al serpente corallo blu. Terribilmente velenoso».

«Be’, grazie per il sermone, ma adesso dimmi cosa ci facevi tu da George. Mi sembrava di averti visto lì davanti, il giorno che c’ero stata».

«Lavoro per lui. Be’, talvolta. Soprattutto io…».

Lo interruppe di colpo. «Lavori per George! E allora perché mai dovrei fidarmi di te?»

«In realtà, lavoravo per lui. Ora non più».

Colta alla sprovvista, Lydia sgranò gli occhi. «Stai mentendo».

Lui scosse la testa. «Mi spiace che lo pensi. Ti racconterò tutto. Ma usciamo di qui».

Si alzarono e si fermarono l’uno di fronte all’altra. Lydia ebbe un capogiro. Rendendosene conto, Adil allungò una mano per sostenerla, gli occhi pieni di calore. Perché si era scordata di quel calore? Se l’era dimenticato semplicemente perché non era bianco? Tenendole una mano sotto il gomito, Adil la guidò lungo il vicolo.

«Che ne dici del parco? Aria fresca», propose lui.

Strada facendo, attraversarono una pulsante galleria di negozi cinesi. L’uomo la guidò attentamente oltre cortine di pesce secco appeso attraverso un vicolo. Quando raggiunsero il parco, la folla si era diradata e passeggiarono lungo un sentiero che si snodava tra alberi frondosi. Neri ratti degli alberi fuggirono su per i tronchi per sparire in alto tra i rami. In un angolo tranquillo prospiciente un piccolo laghetto e circondato da ibischi rosa, Lydia sedette sulla panchina che lui indicava, le scarpe nuove che le stringevano le punte dei piedi.

«Simboleggia la pace», spiegò lui indicando l’ibisco. «Pace e coraggio».

Il sole era un po’ nascosto e, dietro le nuvole che avanzavano, un fronte di pioggia era sul punto di riversarsi sulla città. Lydia osservò un pavone incedere impettito tra i papaveri selvatici, una fantasia piumata di verde turchese e oro nei punti in cui gli ultimi scampoli di sole gli illuminavano la coda.

«Stai sorridendo, ma non hai un viso felice», notò Adil.

Sentendosi accaldata e appiccicosa, Lydia scalciò via le décolleté e fece ruotare le caviglie. Un silenzio imbarazzato scese tra loro.

Lydia si voltò verso di lui. «Non mi hai ancora detto come puoi aiutarmi».

«L’ho sentito parlare del ragazzo con qualcuno. Di Maznan, intendo».

«Vuoi dire che George ne era a conoscenza? Lo sapevo! Bastardo ipocrita. Mi dispiace, ma proprio non lo sopporto». Lydia si abbandonò contro lo schienale della panchina, premendosi le dita sulle tempie. «Perché mi ha mentito?».

Il volto dell’uomo era cupo. «Ci sono cose che non posso dirti».

«Adil, ti prego, se lo sai dimmelo».

Lydia trattenne il fiato mentre il suo interlocutore taceva per un attimo prima di iniziare a parlare.

«Stavo aspettando nell’atrio. George era al telefono nello studio, ma la porta era aperta. Ancora non so dove sia il bambino, ma ho tutte le ragioni di credere che sia vivo».

Lydia si premette una mano sul cuore ed esalò un sospiro di sollievo. «Questo significa moltissimo per me. Grazie».

Un gruppo di studentesse nella vecchia uniforme scolastica di Emma e Fleur dal grembiule blu scuro attraversò la sua linea visiva. Si stavano dando delle gomitate nelle costole e ridacchiavano, quindi si voltarono a fissare lei e Adil. La vista le si annebbiò e Lydia chiuse gli occhi. La sensazione passò e una leggera brezza spirò dal laghetto fendendo l’aria pesante.

Adil fissava davanti a sé, incurante delle occhiate. «Farò quel che posso. Tutto il possibile per aiutare. Ripeto, mi dispiace tantissimo per il tuo amico Jack e per le bambine. So cosa significa perdere qualcuno che si ama, ma ho bisogno che ti fidi di me».

Lydia non riusciva a respirare. Adil le prese la mano e gliela strinse affettuosamente, come per convincerla delle sue buone intenzioni. Una lucertola crestata verde le passò proprio sulle punte dei piedi.

«Le hai viste? Quelle bambine», gli chiese.

«Sviluppare una visione selettiva aiuta».

Lydia si godette la fugace sensazione delle sue mani fresche sulla propria pelle nuda. Dopo un attimo, si ritrasse.

«Scusa», disse lui, le spalle che si incurvavano. «Non intendevo passare il segno».

Lydia scosse il capo e alzò lo sguardo. Un cielo buio, adesso, le prime tiepide gocce di pioggia grandi come il pugno di Emma. Si costrinse a pensare a qualcos’altro.

«Che lavoro facevi per George?»

«Essenzialmente operazioni sotto copertura».

La donna pensò che sembrava a disagio. «Continua».

«Non posso dirlo, davvero. C’è un mucchio di corruzione. Gli indigeni chiamano gli europei i diavoli dai capelli rossi, lo sai. Talvolta penso che abbiano ragione».

Lei si alzò. Gliel’aveva detto anche Alec. Dispiaciuta di andarsene, gli posò una mano sul braccio. «Sarà meglio che ci avviamo prima dell’acquazzone».

Lui le restituì il sorriso.

La sua prima impressione, tanto tempo indietro, era stata sbagliata. Adil le era sembrato freddo e distante, ma invece poi si era rivelato gentile. In quell’istante, Lydia intuì che era un uomo dai sentimenti profondi. Glielo leggeva negli occhi.

«Come faccio a mettermi in contatto con te?»

«Non preoccuparti, ti troverò io», replicò lui.

Lydia fu sconvolta dall’intensità con cui sperò che lo facesse.

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